Gli arbitri e il cambiamento, intervista a Gianluca Rocchi

Nuovi regolamenti, tecnologia, comunicazione: il designatore di Serie A, due volte premiato come Miglior Arbitro al Gran Galà del Calcio, racconta il futuro dei direttori di gara.

Tra i premi assegnati al Gran Galà del Calcio AIC, la manifestazione organizzata ogni anno dall’Associazione Italiana Calciatori che premia i protagonisti della Serie A e della Serie B, c’è anche quello per il “Miglior arbitro”. È un paradosso, se ci pensate, perché la peculiarità del Gran Galà del Calcio è che la stragrande maggioranza dei voti arrivano dai giocatori stessi, che in questo caso vengono chiamati a valutare coloro da cui sono giudicati in campo per il loro comportamento. Gli arbitri, per l’appunto. Gianluca Rocchi ha vinto il premio per due anni di seguito, nel 2018 e nel 2019. «Per me, ma credo anche per quanto riguarda i miei colleghi, questo è uno dei premi più graditi», confessa. «Ti votano le persone con cui abitualmente ti trovi in campo, quelle che riescono a capire per primi se sei un arbitro di qualità o meno, e soprattutto quelle a cui spesso, o saltuariamente, dipende dalle partite, togli qualcosa. E il fatto che qualcuno a cui togli qualcosa ti riconosca comunque il merito di averglielo tolto in maniera corretta è una cosa molto bella».

Oggi Gianluca Rocchi, a 48 anni e dopo 263 partite dirette nel massimo campionato, è il designatore di Serie A e Serie B. Molto è cambiato per gli arbitri negli ultimi decenni: «Io ho iniziato a 15 anni, mi accompagnò un amico. Giocavo a calcio, mi piaceva, ma mi rendevo conto di non avere grandi possibilità di riuscire a diventare un giocatore importante. Poi ero uno molto pigro negli allenamenti e mi sembrava che facendo l’arbitro potessi allenarmi di meno. In realtà oggi un arbitro deve essere indiscutibilmente preparato atleticamente. I dati statistici dell’ultima giornata di campionato del 2021, quella prima di Natale, indicano una media di 11 chilometri e mezzo percorsi a partita da ciascun arbitro. Alla fine si corre quasi più di un calciatore».

Nella nostra chiacchierata, Rocchi insiste molto sul concetto di posizionamento. Sostiene che se un arbitro è vicino all’azione, se la sta seguendo bene, 98 volte su 100 decide correttamente su un episodio controverso. Glielo hanno insegnato Pierluigi Collina e Massimo Busacca durante la preparazione al Mondiale 2018, un torneo in cui Rocchi diresse tre partite. «E per posizionarsi bene», spiega, «bisogna avere due caratteristiche: correre e capire di calcio, per spostarsi vicino all’azione. Noi stiamo lavorando su questi due aspetti. La ricerca che facciamo sulla corsa la spacchettiamo tra il tipo di intensità dei chilometri percorsi: da 0 a 6 chilometri orari, da 6 a 15, da 15 a 25. A noi serve capire soprattutto la qualità della corsa. Se un arbitro sprinta tantissimo, lavoreremo sulla resistenza e non sullo sprint. Viceversa, se un arbitro durante la partita non fa mai uno sprint, approfondiremo quell’aspetto lì. E oltre all’aspetto fisico abbiamo inserito due tattici, due professionisti che lavorano per la Fifa e per la Uefa, che danno una lettura tattica di ognuna delle dieci partite di Serie A per preparare la squadra arbitrale alla gara che dovrà affrontare. Questo secondo me è un lavoro straordinario perché gli arbitri si trovano catapultati nella gara già 12 ore prima del fischio d’inizio».

E poi c’è la tecnologia. Rocchi ricorda che all’inizio della sua carriera non era facile convivere con gli errori: «Io vivevo l’errore come un trauma personale, mi irrigidivo e a volte una partita andava in malora perché non avevo ancora superato il trauma di quella prima, non accettavo l’errore. Poi, soprattutto grazie all’avvento della tecnologia, ho iniziato a vivere l’errore come un’esperienza che mi avrebbe fatto maturare. Un arbitro chiaramente convive con l’errore, o meglio convive con la paura di sbagliare, ma dev’essere uno stimolo per fare meglio». Per questo la linea di Rocchi con le nuove leve è precisa: «Noi stiamo cercando di non penalizzare mai un arbitro per un singolo episodio, ma solo quando sbaglia la gestione della partita». E come si fa a non sbagliare la gestione della partita? «L’importante è far capire a chi va in campo che non sei una persona artefatta, ma sei così anche nella vita normale, e questo secondo me i giocatori lo apprezzano, perché la sincerità e la spontaneità sono le caratteristiche che, al di là del calciatore, chiunque nella vita apprezza di più. Io ero molto franco e molto diretto. Dicevo sempre quello che pensavo e volevo che loro facessero lo stesso».

Eppure c’è solo una cosa che si chiede agli arbitri di oggi, ed è un discorso che ha se le sembianze di un elefante nella stanza: è lì da molti anni è lì fermo e nessuno ancora è riuscito a spostare. Si tratta dell’urgenza/volontà di comunicare di più. Di comunicare meglio. Di spiegare le proprie decisioni dopo le partite, rendere pubblici i dialoghi tra arbitro e Var. Rocchi precisa: «Nessun dirigente arbitrale oggi vieta un’intervista a qualcuno, io sto autorizzando i ragazzi a fare tutte le interviste che mi chiedono. Il problema si pone quando devono farle a caldo: bisogna essere preparati. E non so se tutti e 48 gli arbitri di Serie A e B, ogi, e siano preparati da questo punto di vista. Non per la loro mancanza di capacità, ma perché non so se ci sarebbe la possibilità di un confronto franco e diretto».

Gianluca Rocchi è stato nominato designatore arbitrale di Serie A e Serie B il 3 luglio 2021; nel corso della sua carriera, ha diretto due gare ai Mondiali 2018 e la finale di Europa League del 2019, in cui si sono affrontate Chelsea e Arsenal (Benjamin Cremel/AFP via Getty Images)

Il 15 dicembre 2021, per la prima volta, la sala Var di Lissone è stata aperta ai giornalisti durante la partita di Coppa Italia tra Verona ed Empoli. «Sicuramente lo riproporremo, e poi l’idea è di poter ampliare la nostra comunicazione e di aprire un canale comunicativo con tutto il mondo, perché far ascoltare una conversazione tra arbitro e Var, o anche solo spiegare un episodio, secondo me dà una lettura completamente diversa rispetto a quello che accade. Anche perché oggi in campo accade qualcosa e in televisione, a spiegare quello che è successo, ci sono persone che, pur essendo stati dei grandi arbitri, non sanno quello che l’arbitro e il Var si sono detti. Quindi sono tutte ricostruzioni parziali e non reali». Rocchi anticipa anche che l’Aia sta preparando, insieme alla Figc, un progetto che andrà proprio in questa direzione e che dovrebbe avverarsi nel corso di questo 2022 appena agli inizi.

Tra le possibili modifiche regolamentari di cui ciclicamente si parla, il designatore è categorico: «Sicuramente introdurrei il tempo effettivo, tutta la vita. Anche perché risolverebbe due problemi: il primo è che daremmo a tutte le squadre lo stesso minutaggio in tutta la stagione, quindi non ci sarebbero incongruenze da questo punto di vista; il secondo, più egoistico, è che non avrei da lavorare con gli arbitri sulle perdite di tempo, penso ad esempio alla revisione Var, dove comunque bisogna essere rapidi. Talvolta la nostra lungaggine porta a recuperi lunghissimi che sono poi un disastro a fine partita». Sul Var a chiamata, invece, Rocchi è più scettico: «Io dico sempre che in futuro la Var potrebbe avere delle modifiche, ma non se questa sarà una di quelle. Quando abbiamo fatto ascoltare la partita live ai giornalisti alla fine più di uno mi ha detto: “Io ero favorevole al Var a chiamata, ma una volta ascoltato come lavorano arbitro e Var dico che la chiamata è inutile”. E poi un altro aspetto da non sottovalutare è che moltissimi allenatori non sono favorevoli, perché giustamente dicono: “Ma come, io devo sostituirmi all’arbitro quando ho altre cose da fare? Non ho la capacità dalla panchina di capire se e come devo intervenire”».

Gianluca Rocchi è stato il primo arbitro italiano ad aver sospeso una partita di Serie A a causa di cori razzisti: era il 12 maggio 2013, a San Siro si giocava Milan-Roma e in campo c’era Mario Balotelli. Gli arbitri di oggi sono pronti a fare lo stesso? «I ragazzi sono istruiti e da questo punto di vista abbiamo tolleranza zero», risponde. «Io sollecitavo sempre i calciatori a farmi presente qualcosa che magari loro avevano sentito e io no, perché magari ero concentrato su altre cose, ma mi auguro che, almeno in questo, il nostro calcio sia il numero uno in Europa, perché non avere problemi razzisti oggi dovrebbe essere la normalità e non la casualità». Rocchi, è davvero così in Italia? «Mi auguro di sì, perché è una roba che non si può proprio ascoltare. Non solo su un campo di calcio, parlo in generale, mi sembra una cosa talmente obsoleta che parlarne ancora oggi è drammatico».