La sessione di calciomercato appena conclusa ha portato un piccolo elemento di novità: se negli ultimi anni abbiamo assimilato e metabolizzato l’idea per cui la finestra di mercato estiva sia quella in cui si costruisce la squadra, mentre quella invernale serve per inserire qualche elemento utile a completare le carenze della rosa, a sostituire un infortunato o qualcosa del genere, quello che abbiamo vissuto a gennaio 2022 ha azzerato questo assunto. Basta ricordare l’acquisto di Dusan Vlahovic, che sfonda i record di spesa per una sessione invernale e cambia volto, ambizioni e prospettive future della Juventus; ma anche l’arrivo di Gosens all’Inter, per fare un altro esempio, può avere un impatto notevole per il presente e il futuro del club nerazzurro. In Serie A ci sono stati anche tanti altri movimenti significativi, per un motivo o per un altro: Gatti alla Juventus, il Bologna che prende Kasius dall’Utrecht, l’Empoli con Liberato Cacace dal Sint-Truden, il Sassuolo che acquista Emil Konradsen Ceide dal Rosenborg. Per i loro club non sono soltanto il pezzo che integra e completa la rosa per la seconda metà di stagione: possono essere un valore aggiunto in questo campionato e un asset importante per le prossime stagioni.
Sono acquisti mirati, il prodotto di una strategia e una pianificazione stratificata; sono, in altre parole, il frutto del lavoro dei talent scout. «Il lavoro dei nostri osservatori non si ferma praticamente mai», racconta a Undici Pietro Accardi, direttore sportivo dell’Empoli, squadra campione in carica del Campionato Primavera. Con le sue parole, Accardi ci aiuta a inquadrare una figura spesso misconosciuta nel mondo del calcio, quella dei talent scout, appunto, una volta definiti osservatori. L’aspetto prioritario che sottolinea Accardi sono le partite viste, la mole di materiale informativo che passa tra le mani di chi deve filtrare i talenti di molti campionati e molte categorie: «Il talent scout è quella figura che permette di scovare calciatori in ogni parte del mondo. La sua missione è cercare di tenere sotto controllo la maggior parte dei campionati, così di avere un quadro sempre più ampio e chiaro dei calciatori e dei profili da monitorare».
La cassetta degli attrezzi dell’osservatore non può prescindere da un set di abilità critiche e analitiche, capacità di giudizio ma anche di immaginazione: deve saper riconoscere le qualità di un calciatore, ma anche quello che può dare in contesti diversi. «Il talent scout, continua Accardi, «è inevitabilmente chiamato a muoversi, a vedere partite. Deve sapere di calcio, deve aver ben presenti quali sono le esigenze del club che rappresenta e allo stesso tempo deve riuscire a immaginare il calciatore dentro il nostro ambiente, nella nostra società, nel nostro campionato». Poi ovviamente c’è bisogno di saper curare i rapporti umani. Perché intuire le abilità tecniche, le conoscenze tattiche e le potenzialità atletiche di un calciatore non basta.
Lo scouting serve a fotografare un momento particolare nella carriera di un giocatore – anche se si tratta di una fase primordiale della carriera – e non può prevedere il futuro e lo sviluppo del ragazzo. Un osservatore, per quanto esperto, non può avere la certezza matematica che un giocatore avrà un rendimento positivo se inserito in un’altra squadra. Le variabili in gioco sono troppe e non possono essere inserite tutte nella stessa equazione. È per questo motivo che molti club iniziano a lavorare sullo sviluppo dei ragazzi – umano, non solo calcistico – molto presto. L’anno scorso Gianluca Baschieri, responsabile attività di base e del progetto Academy del Parma, individuava un elemento fondamentale nello sport di base per un club professionistico: «L’idea è quella di creare un rapporto personale di fiducia e di conoscenza reciproca con ragazzini o bambini che imparano a crescere nelle strutture di un club professionistico, con la mentalità e con i valori di una società grande e importante. Così si inizia a costruire un percorso di crescita condiviso, che non è un percorso solo calcistico, solo tecnico, ma soprattutto umano. Lungo questo cammino, allo sport viene riconosciuta una funzione anche formativa per la persona».
Il lavoro del talent scout non si può ridurre ai report compilati da un esperto chiamato dare una valutazione di un calciatore sulla base delle osservazioni a occhio nudo. Anzi, la figura del talent scout è una di quelle che negli ultimi anni si è evoluta e aggiornata di più in senso tecnologico. Non che gli osservatori abbiano smesso di andare a vedere le partite, ma in un mondo in cui sono tutti sempre interconnessi e le distanze geografiche si possono abbattere fino quasi a scomparire, i computer, i tablet e gli smartphone degli osservatori sono diventati una specie di hub per lo studio dei giocatori, per iniziare a inquadrarli prima di partire e seguirli dal vivo.
L’Atalanta ha vinto il premio “Miglior Società dell’Anno” nelle ultime due edizioni (2019 e 2020) del Gran Galà del Calcio AIC, il premio annuale dell’Associazione Italiana Calciatori assegnato tramite i voti di allenatori, arbitri, giornalisti, ma soprattutto dei giocatori stessi. Questi successi, ovviamente, sono frutti della strepitosa crescita dei risultati sul campo. Ma quanto c’entrano e quanto contano gli scout in un progetto come quello della società bergamasca? Domanda forse banale, quindi risposta semplicissima: sono fondamentali. Anzi, il fatto che l’Atalanta sia riuscita a imporsi e stabilirsi ai massimi livelli in Serie A e pure in Champions League è dovuto proprio a una capacità quasi unica, nel contesto italiano, di individuare i giocatori giusti per la squadra di Gasperini. Il player trading è uno dei pilastri su cui poggia l’intero modello di business della società. Un lavoro che viene fatto partendo proprio da numeri e algoritmi. «Credo che la tecnologia possa essere un valido aiuto», ha detto Giovanni Sartori, direttore sportivo del club bergamasco. «La forza degli algoritmi risiede nella precisione dell’analisi sulle performance dei calciatori che riescono a individuare grazie ai dati e che rendono il giudizio oggettivo. Per fare lo stesso lavoro di analisi e di scrematura sui calciatori di tutti i campionati in giro per l’Europa il Sud America e il nord America ci vorrebbero centinaia di osservatori». Sartori ha detto queste parole presentando la nuova partnership con Wallabies, azienda che fornisce strumenti di supporto allo scouting calcistico.
Qualche mese fa Rivista Undici aveva raccontato di Delphlyx, la nuova piattaforma di analisi statistica che è stata lanciata nel 2021 e che si propone come strumento di supporto per gli scout e i direttori sportivi di club di dimensioni medie. «L’obiettivo è permettere ai nostri club partner di non sprecare risorse: attraverso il nostro database, il nostro algoritmo proprietario e i nostri tools, i dirigenti e gli osservatori, ma anche gli agenti di calciatori, possono arrivare subito a compilare una lista di atleti con delle determinate caratteristiche fisiche, tecniche ed esperienziali, così da velocizzare e rendere più economica la parte iniziale della ricerca», aveva detto Guido Boldoni, responsabile mercato sud europeo della società. L’idea è che negli ultimi anni la tecnologia abbia moltiplicato le possibilità e le potenzialità di osservatori e club, costringendo gli addetti ai lavori a un aggiornamento professionale rapidissimo.
Quello che prima era affidato alle conoscenze, al know how e alla capacità di interpretazione della realtà del talent scout adesso è affiancato e amplificato da database sconfinati, algoritmi e informazioni statistiche di ogni tipo. È chiaro però che la componente umana sia ancora la parte dominante, come ha spiegato Accardi: «La tecnologia fornisce un prezioso supporto, parte del lavoro viene svolto davanti alla tv o un computer, riuscendo a farsi una prima idea del calciatore. Poi però è fondamentale vedere il calciatore del vivo per chiarire tutto».