La Juventus ha deluso le aspettative, nonostante Allegri

Il primo anno del nuovo corso bianconero lascia più dubbi che certezze, e anche una vittoria in Coppa Italia non cambierebbe la sostanza.

La sconfitta con il Genoa di venerdì sera non è stata importante, per la Juventus. E non sono stati importanti nemmeno l’errore di Moise Kean a porta vuota, l’espressione corrucciata di Vlahovic in panchina dopo la sostituzione, la delusione per una partita persa negli ultimi istanti a campionato sostanzialmente finito. Per i bianconeri, una volta raggiunta la qualificazione alla prossima Champions League, conta solo la finale della Coppa Italia. Che è una gara oggettivamente importante, è un piccolo pezzo di storia di questo 2022 calcistico, vale la partecipazione alla prossima Supercoppa. E poi vincere una competizione è sempre e solo un dato positivo. Ma il paradosso nasce proprio qui, in questo punto: la Coppa Italia cambierebbe davvero la sostanza della stagione della squadra bianconera? La risposta è no. Non la cambierebbe. L’annata della Juventus è stata talmente interlocutoria che una vittoria o una sconfitta contro l’Inter sfumerebbero comunque in grigio. Bisogna solo capire, dunque, se sarà un grigio chiaro o un grigio scuro.

Perché tutto resterebbe grigio? Perché i risultati della Juventus sono al di sotto delle aspettative, del valore della rosa, delle ambizioni  del club. La classifica di Serie A dice che la squadra di Massimiliano Allegri non ha reso secondo i suoi reali valori, è un dato di fatto che si intuisce anche da un dato più o meno empirico come il valore della rosa: 555,6 milioni di euro secondo Transfermarkt, il più alto del campionato. Una squadra del genere avrebbe dovuto come minimo competere per lo scudetto, soprattutto in un campionato come la Serie A 2021/22, un torneo la cui la lotta per il titolo si chiuderà con una quota punti non elevatissima, mentre invece la Juve avrà scollinato a fatica i 70 punti. Ecco perché questa stagione non diventerà improvvisamente buona perché potrebbe esserci un trofeo, nel caso in cui dovesse arrivata la quindicesima Coppa Italia della storia bianconera. Perché in ogni caso la Juventus non porterà via molto di buono da questa stagione: non c’è alcun valore aggiunto rispetto al passato, rispetto a quello che c’era prima, cioè un anno fa. Se non quello che è arrivato dal mercato.

Quando la Juventus ha affidato la panchina ad Allegri, la scorsa estate, non gli ha affidato proprio una squadra-gioiello. E di certo Allegri non ha trasformato una corazzata in una bagnarola. Però non è nemmeno riuscito a dare un nuovo senso alla sua rosa. Per capire cosa intendiamo, può essere utile dare uno sguardo poco più in alto in classifica: grazie al lavoro di Luciano Spalletti, pur senza aggiunte significative rispetto all’organico dello scorso anno, il Napoli è riuscito a creare un piccolo valore aggiunto, se non in classifica – la squadra azzurra ha già conquistato la Champions ma in pratica chiuderà con gli stessi punti della scorsa stagione – quantomeno in una rosa che oggi ha trovato elementi di spessore, anche in ottica mercato, in Rrahmani, Lobotka, Elmas. Vale a dire dei calciatori nuovi, molto distanti da quelli mortificati e dimenticati durante l’era-Gattuso. Lo stesso Simone Inzaghi, arrivato all’Inter con un’eredità difficile e una squadra priva di due pedine chiave della stagione precedente, ovviamente stiamo parlando di Hakimi e Lukaku, ha lavorato per rendere più fluidi i meccanismi rigidi del suo predecessore. E per dare alla squadra un’imprevedibilità che non aveva e non poteva avere per come era costruita l’anno scorso. Insomma, per cambiare le cose. Ce l’ha fatta, per alcuni segmenti di questa stagione l’Inter è stata una squadra con caratteri nuovi, diversi rispetto al passato. Allegri non è riuscito a fare lo stesso, ed è una costante della sua carriera, almeno in epoca recente: al di là della scarsa qualità della proposta di gioco – fatte salve alcune eccezioni, legate più a dei periodi brevi che lunghi – l’attuale allenatore della Juventus non valorizza al massimo i suoi giocatori, soprattutto quelli più giovani. Non li conduce a una crescita tecnica, tattica, umana.

«Allegri è sempre stato un arci-pragmatico, ha vinto cinque scudetti e giocato due finali di Champions League durante il suo precedente periodo al club senza mai imporre una filosofia o un ideale su come dover giocare a questo gioco. Ma era innegabilmente creativo, adattava la sua formazione anno dopo anno per adattarsi lui stesso a un cast di giocatori in continua evoluzione», scriveva Nicky Bandini sul Guardian a fine novembre, dopo la sconfitta interna della Juve contro l’Atalanta. È evidente che all’inizio di questo nuovo ciclo bianconero ci sia stato un ulteriore passo indietro, in questo senso, da parte di Allegri: la sua prima Juventus poteva permettersi questo tipo di approccio alle partite, quello arci-pragmatico, perché aveva un’anima difensiva solidissima, con centrocampisti in grado di tenere il campo pur giocando a lungo sotto palla senza perdere lucidità in fase di costruzione, e davanti aveva giocatori capaci di decidere le partite, tutte le partite, con una singola giocata. La Juventus di oggi non può essere guidata e gestita e messa in campo allo stesso modo: ha giocatori diversi, in un momento diverso della loro carriera e della loro storia, forse nel frattempo è anche cambiato il campionato e il calcio tutto intorno.

Matthijs de Ligt è il calciatore di movimento più utilizzato da Allegri in tutte le competizioni, e probabilmente è anche il miglior giocatore della Juve, per rendimento assoluto in questa stagione (Catherine Ivill/Getty Images)

Massimiliano Allegri è l’uomo che da un decennio prova a insegnare all’Italia del calcio che il calcio non è rocket science, che il calcio è un gioco semplice e lineare. È un allenatore viene esaltato per la sua elasticità, per il suo anti-idealismo, per la sua capacità di plasmare giorno dopo giorno le sue formazioni in base a quello che dice il campo d’allenamento, o quello delle partite ufficiali. Curiosamente, malinconimcamente, stavolta non è quasi mai riuscito a trovare la quadra per la sua formazione. E non perché non sia più un allenatore capace o il calcio sia veramente scienza missilistica, ma perché ricercare sempre la soluzione più semplice, in un compromesso infinito tra efficacia ed efficienza, comporta dei rischi troppo alti: quando si cammina su un filo a cadere non ci vuole niente.

In una Juventus che non ha e non ha saputo crearsi una sovrastruttura tattica in grado di sorreggere e accompagnare e potenziare il talento dei suoi giocatori, non è un caso che le stagioni individuali dei singoli calciatori siano sotto tono. Dusan Vlahovic è arrivato solo a gennaio, eppure è chiaramente un giocatore meno brillante rispetto a quello ammirato nella prima metà di stagione, costretto a un lavoro che gli appartiene ma che allo stesso tempo lo ne limita la pericolosità offensiva. Paulo Dybala avrebbe potuto salutare la Juventus con una stagione migliore, invece – colpa anche degli infortuni – non ha inciso più di tanto in questa stagione. I talenti offensivi andrebbero valorizzati attraverso un sistema di gioco non per forza più sofisticato, ma che almeno li coinvolga in maniera più continua, che li tenga in ritmo, che li coinvolga nelle azioni e li faccia giocare a un certo livello di intensità. Quello che gli permetterebbe di esprimersi al meglio. Alla Juve manca quasi del tutto questo aspetto, e certi giocatori, di conseguenza, soffrono: Moise Kean sembra quasi un elemento estraneo alla squadra, Dejan Kuluseviski è stato venduto dopo una metà stagione impalpabile, lo stesso Federico Chiesa prima dell’infortunio era in una pericolosa spirale involutiva. Ecco, gli infortuni. Sono certamente un fattore, e un’attenuante in questo caso che spiega qualcosa dei risultati di squadra e incide sull’andamento di quest’annata insipida.

Così la Juventus oltre a non aver ottenuto granché in termini molto concreti in questa stagione, non è neanche migliorata, non ha gettato le basi per costruire qualcosa di più valido per la prossima stagione, qualcosa che faccia pensare a una stagione molto migliore di questa. La rosa è solamente invecchiata di un anno, cioè non la notizia migliore per uno spogliatoio guidato da Chiellini, Bonucci, Cuadrado, Szczesny, tutti giocatori over-30. Il modo di allenare di Allegri forse non era quello giusto per molti dei suoi calciatori. Magari l’anno prossimo qualcosa cambierà, magari arriveranno dal mercato – ammesso che ci siano le risorse per fare movimenti di rilievo – giocatori nuovi che permetteranno ad Allegri di poter far valere di nuovo le sue qualità migliori e riportare questa squadra non solo dove merita, ma anche dove è normale che sia. Solo che nel frattempo questa 2021/22 resta una stagione in cui è perfino difficile mettere ordine tra le cose che non hanno funzionato nella Juventus, una stagione dal giudizio sospeso, al punto che la vittoria della Coppa Italia non permetterebbe di salvarla. La addolcirebbe solo un po’, in attesa di capire cosa riserverà il futuro.