Come hanno fatto i Rangers ad arrivare in finale di Europa League?

L'exploit degli scozzesi è frutto di un progetto coerente che ha saputo reagire anche all'addio di Steven Gerrard.

Il fatto che i Rangers Glasgow siano arrivati alla finale di Europa League a dieci anni esatti dal fallimento della società, e dalla conseguente retrocessione in quarta divisione, ha un significato relativo, forse anche laterale. Per un motivo molto semplice: sarebbe stato un evento storico comunque. Era dal 2008, infatti, che una squadra scozzese non raggiungeva una finale continentale, e allora ci riuscirono proprio i Rangers, poi sconfitti dallo Zenit San Pietroburgo; ed è da 39 esatti che un club della Scottish Premiership non vince una coppa europea, e allora fu l’Aberdeen a conquistare la Coppa delle Coppe battendo in finale il Real Madrid. Il manager di quell’Aberdeen era un giovanissimo Alex Ferguson. Insomma, erano veramente altri tempi.

In virtù di tutto questo, è lecito chiedersi: ma come hanno fatto i Rangers a raggiungere questo traguardo così inatteso, considerando la distanza tra il movimento scozzese e il resto dell’Europa calcistica? Certo, la fortuna è stata una componente importante: la squadra di Glasgow ha affrontato un playoff (contro l’Alaskert) e un girone di Europa League (con Lione, Sparta Praga e Brondby) piuttosto abbordabili, e nei turni a eliminazione diretta ha battuto Stella Rossa e Braga, non proprio delle corazzate – soprattutto considerando che nel tabellone c’erano Napoli, Atalanta, Barcellona, Siviglia, West Ham. Allo stesso modo, però, non si può dire che i calciatori allenati da Giovanni van Bronckhorst – tra poco parleremo anche di lui – non abbiano meritato l’accesso in finale: ai sedicesimi e in semifinale hanno eliminato due squadre di alto livello, due favorite neanche tanto potenziali del torneo, vale a dire Borussia Dortmund e Lipsia. E in tutte e quattro le gare hanno dimostrato di saper reggere agli urti di calciatori avversari decisamente forti, abituati a frequentare la Champions League, piuttosto che l’Europa League.

Van Bronckhorst, dicevamo. Anche lui, pensandoci bene, è stato un colpo di fortuna: quando Steven Gerrard non ha saputo resistere al richiamo dell’Aston Villa e della Premier League, c’era il (comprensibile, giustificato) terrore che il suo successore potesse rivelarsi non all’altezza, anche perché un ingresso a stagione in corsa, per di più dopo un cambio forzato, non è mai la situazione migliore per un allenatore. E invece le cose sono andate bene, anzi benissimo, ed è qui che si è manifestata la fortuna: Van Bronckhorst, che già con il Feyenoord aveva vinto una Eredivisie – nel 2018 – ribaltando tutti i pronostici, si è rivelato un manager perfetto per valorizzare la rosa dei Rangers, grazie a un’intelligenza adattiva molto sviluppata, alla capacità di comprendere velocemente i punti forti e i punti deboli della sua rosa, e di agire di conseguenza sul campo d’allenamento e sulla lavagna tattica.

Così sono nati dei Rangers dal gioco equilibrato ma non speculativo, camaleontici nella loro disposizione in campo (il 4-2-3-1 utilizzato soprattutto in partite domestiche si è spesso trasformato in un 3-5-2 estremamente fluido) ma sempre tesi a sviluppare il gioco sulle fasce, cioè a valorizzare il punto forte dell’organico e anche del menu tattico di Van Bronckhorst: non a caso uno dei giocatori più prolifici di questa squadra è James Tavernier, terzino destro che batte i rigori e ha un’anima da attaccante. Il laterale francese ha segnato sette reti in Europa League e altre 11 nelle altre competizioni, ed è senza dubbio l’uomo-simbolo del progetto: intanto perché è arrivato dal Wigan per una cifra irrisoria (250mila euro), un po’ come tutti i suoi compagni di squadra, e poi perché indossa la fascia di capitano ed è l’unico reduce della promozione in Premiership del 2016. Accanto a lui, col tempo, sono transitati diversi giocatori, in una sorta di crescendo rossiniano: Morelos, arrivato nel 2017, è un attaccante dal temperamento controverso ma molto amato dai tifosi, anche in questa stagione ha messo a segno 19 reti ma purtroppo non potrà partecipare alla finale a causa di un infortunio, così come Ianis Hagi; negli ultimi anni gli acquisti più riusciti sono stati quelli di Kemar Roofe, attaccante anglo-giamaicano, di Ryan Kent, esterno proveniente dal Liverpool, e poi di Connor Goldson, Glen Kamara e infine John Lundstram, anima difensiva dei Gers.

Il percorso dei Rangers in Europa League

È evidente come non ci siano grandi nomi, che si tratti di una squadra andata evidentemente oltre le proprie possibilità, almeno quelle ipotetiche, quelle relative al valore della rosa su Transfermarkt – 132 milioni di euro. Un piccolo aiuto è arrivato anche dal mercato di gennaio, magari non proprio in termini tecnici, ma per carisma e riconoscibilità dell’organico: in questo senso, gli acquisti in prestito di Amad Diallo (dal Manchester United) e soprattutto di Aaron Ramsey, ovviamente dalla Juventus, hanno permesso ai Rangers di avere maggiori alternative in avanti. Insieme, Diallo e Ramsey hanno accumulato poco più di mille minuti in campo, con cinque gol segnati – tre per Diallo e due per Ramsey. Ma non sono mai stati impiegati con continuità in Europa League, quasi come a voler sottolineare che la squadra originale, quella costruita nel corso del tempo, avesse tutto ciò che serviva per battere avversari teoricamente più forti. Come se fosse una piccola rivincita del progetto-Rangers sui cambiamenti dettati o comunque influenzati dalle contingenze. Dalla grande occasione che andava profilandosi all’orizzonte.

Un’altra piccola rivincita dei Rangers riguarda anche il modo in cui hanno reagito all’addio di Gerrard, che era considerato – un po’ all’unanimità – l’uomo decisivo perché il club protestante di Glasgow potesse tornare a rivincere il campionato, a interrompere il dominio del Celtic – che era arrivato a a un passo dal decimo titolo consecutivo. Sì, magari in questa stagione le gerarchie interne si sono ristabilite, il Celtic è tornato campione e ha vinto due dei quattro Old Firm giocati in Premiership. Ma è stato lo stesso Van Bronckhorst a spiegare che «stiamo per vivere un momento che potrebbe far entrare i miei giocatori nella storia di questo club, un club che tra l’altro vive proprio di questo genere di storie», quasi come se volesse rivendicare l’importanza dell’impresa compiuta in Europa League, rispetto alla semplice vittoria in Premiership, in attesa della finale di FA Cup – in cui i Gers affronteranno gli Hearts of Midlothian. Al di là di questi equilibrismi dialettici relativi alla sfida cittadina, a una rivalità profonda e infinita, è evidente che il lavoro della società, dei calciatori e di Van Bronckhorst abbia generato un exploit inatteso. Ma non un miracolo, tantomeno una sorpresa. A spiegarlo è proprio James Tavernier, intervistato dall’Uefa in occasione per presentare la finale di Siviglia contro l’Eintracht Francoforte: «Avevamo un obiettivo minimo e l’abbiamo anche superato. Ora siamo in finale. Ce lo meritiamo, perché ci siamo sostenuti a vicenda per molto tempo, stiamo bene insieme e ci alleniamo tanto ogni giorno per migliorare. Quando lavori in questo modo, vincere non è mai una sorpresa». Difficile, se non impossibile, smentire certe affermazioni.