Il mercato dell’Inter è davvero deludente?

I mancati arrivi di Dybala e Bremer hanno messo in ombra il buon lavoro fatto finora dai nerazzurri.

La narrazione italiana del calciomercato riesce a essere, insieme, appassionante e tossica. E il vero problema è che spesso sono gli stessi dirigenti a commettere degli errori comunicativi, dei passi falsi a mezzo media che cambiano la percezione del loro lavoro, per esempio quando fanno certe dichiarazioni che sembrano andare dietro alle notizie, piuttosto che smentirle o ignorarle, e così finiscono per alimentare le attese dei tifosi. Anche quando si tratta di attese irrazionali, o semplicemente in distonia con le possibilità e i progetti del loro stesso club. Su questo aspetto pesano certamente le domande dei giornalisti e le cosiddette indiscrezioni in merito alle trattative in corso, non importa che siano vere oppure no. Il punto è che i presidenti, gli amministratori delegati e gli allenatori dovrebbero evitare certe trappole, specialmente quando sono navigati. In questo senso, le parole di Beppe Marotta e Simone Inzaghi su Dybala e Bremer all’Inter sono state un passo falso, nel senso che hanno creato un precedente: entrambi si sono esposti in maniera diretta su entrambe le trattative prima che si chiudessero, quindi in maniera quantomeno avventata, precipitosa. E l’hanno fatto in diverse occasioni: a maggio, per esempio, Marotta si disse speranzoso «che Dybala possa giocare con l’Inter», mentre a giugno giorno annunciò che «tutte le nostre attenzioni come società sono rivolte su Bremer»; solo pochi giorni giorni fa, Inzaghi aveva parlato di Bremer, anche se non apertamente, spiegando che «all’Inter manca un difensore, vogliamo colmare questa lacuna e spingo ogni giorno perché ciò avvenga».

Il punto è che poi, a distanza di tempo, l’amministratore delegato nerazzurro si è ritrovato in una condizione non proprio comodissima: quella di dover dare una spiegazione al mancato arrivo di Dybala e Bremer, due giocatori che a quel punto erano diventati due obiettivi di mercato dichiarati. E non importa che le sue parole – «Dybala rappresentava un’opportunità ma in realtà non ci serviva, Bremer è sfumato perché gli è arrivata un’offerta molto distante dalla nostra, e noi abbiamo equilibri finanziari da mantenere» – siano sono state pregne di buon senso: nella narrazione tutta italiana del calciomercato, appassionante e tossica insieme, l’Inter ha perso una partita, è uscita sconfitta da un duello corpo a corpo con Roma e Juventus. È andata così anche se questo duello corpo a corpo in fondo non c’è stato, anche se la realtà è quella che si legge tra le righe delle dichiarazioni di Marotta, e basta ricollegare tutti i punti per rendersene conto: l’Inter ha scelto di investire sul ritorno di Lukaku, quindi non aveva spazio – in campo, in rosa, nel budget ingaggi – per un altro attaccante dal nome pesante come Dybala; e poi i nerazzurri avrebbero preso Bremer come sostituto di un centrale titolare in partenza – per molti si trattava di Skriniar, che si diceva fosse ricercato dal Psg, e oggi si dice ancora.

È evidente, dunque, che il mancato completamento delle operazioni per Dybala e Bremer sia una scelta deliberata e chiara, legata a una strategia composita – cioè tecnica, economica, di equilibri interni – che si può condividere o meno, ma che ha una sua logica. Perché l’idea di sfruttare una o più opportunità, per usare le parole di Marotta, passa dall’avere una base solida su cui poggiare: una società di calcio contemporanea non può ragionare per accumulo, né tantomeno può acquistare giocatori semplicemente per sottrarli alla concorrenza, senza avere la possibilità di valorizzarli a dovere per quello che sono, ovvero asset tecnici ed economici.

Non a caso, viene da dire, Bremer alla fine è andato alla Juventus, una squadra che aveva appena ceduto un centrale difensivo di primo livello e aveva necessità di rimpiazzarlo – esattamente come avrebbe fatto l’Inter con l’addio di Skriniar. E Dybala si è accasato in una società che aveva la necessità tecnica ma soprattutto emotiva di comprare una stella, e allora ha preso un profilo che gli mancava, ha acquistato una seconda punta pura da affiancare a un centravanti come Abraham e a due fantasisti come Pellegrini e Zaniolo – esattamente ciò che ha fatto l’Inter integrando il suo vasto attacco con Romelu Lukaku. Insomma, per dirla in maniera semplice e forse anche brutale: Marotta non ha perso Dybala e Bremer, molto più semplicemente non aveva la necessità impellente di prenderli. Aveva già coperto, con Lukaku e con la mancata cessione di Skriniar, tutte le caselle vuote. E non è un discorso solamente tecnico ed economico: basta tornare un attimo con la mente all’accoglienza entusiasta riservata a Lukaku – in aeroporto, in sede, ovunque – per capire che anche il fabbisogno emozionale del tifo nerazzurro era stato soddisfatto, o quantomeno considerato, nel momento in cui i dirigenti nerazzurri hanno deciso di agire in questo modo.

Kristjan Asllani è il secondo calciatore albanese nella storia dell’Inter: il primo è stato Rey Manaj, che in nerazzurro ha accumulato sei presenze complessive nella stagione 2015/16 (Marco Luzzani/Getty Images)

E allora è necessario tornare al punto di partenza: è la narrazione tossica del calciomercato ad aver innescato tutta una serie di sensazioni e reazioni negative nei confronti dell’Inter. Cioè di una squadra che, in fin dei conti, ha perso un solo giocatore davvero importante – Ivan Perisic – ma l’ha già sostituito con Raoul Bellanova, e che al roster dell’anno scorso ha aggiunto André Onana, Kristjan Asllani, Henrikh Mkhitaryan e soprattutto Romelu Lukaku. Certo, con Dybala la rosa nerazzurra sarebbe stata certamente più forte e più completa, ma a quel punto la squadra sarebbe potuta diventare disfunzionale per Inzaghi, vista la necessità di varare il tridente Dybala-Lukaku-Lautaro e la conseguente impossibilità di utilizzare la difesa a tre con il centrocampo a cinque, due delle soluzioni tattiche più amate dal tecnico emiliano. Allo stesso modo, si può dire che l’arrivo di Bremer e il suo utilizzo come titolare al posto di De Vrij avrebbero alzato la qualità del pacchetto arretrato, ma prendere il difensore brasiliano dal Torino sarebbe stata un’operazione finanziariamente insostenibile senza l’uscita di un difensore importante. Anche in attacco la situazione economica dell’Inter ha pesato: la presenza di cinque punte titolari – più Pinamonti, tornato dall’ottima annata in prestito all’Empoli – e di due elementi dallo stipendio pesante come Dzeko e Sánchez rendeva impossibile pensare all’inserimento di Dybala senza una cessione, o una rescissione di contratto. Magari proprio quella di Sánchez.

A conti fatti l’Inter che si appresta a iniziare la stagione è una squadra più ricca di alternative e di qualità rispetto all’edizione dello scorso anno. E non solo per l’aggiunta di Lukaku, ma anche perché Onana, Bellanova, Asllani e Mkhitaryan coprono dei buchi evidenti nell’organico di Inzaghi: quello relativo al secondo portiere ed erede in pectore di Handanovic, quello che si è determinato con l’addio di Perisic, quello relativo all’alternativa ed erede in pectore di Brozovic e quello dell’alternativa a Cahlanoglu. Se consideriamo anche una situazione societaria ed economica quantomeno complessa, il fatto che tutte queste operazioni in entrata non siano state controbilanciate da una o più grandi cessioni è un mezzo miracolo. Certo, il mercato è ancora lungo e l’Inter avrebbe bisogno di rimpinguare il proprio bilancio. Ma solo in caso di un addio tecnicamente doloroso – ancora Skriniar? – e di una sostituzione mancata, o di basso profilo, si potrebbe parlare di mercato deludente, di mancato potenziamento. Fino ad allora, l’Inter avrà fatto esattamente ciò che doveva fare: attuare il proprio progetto, comprare giocatori che servivano davvero. I capricci del mercato, detti anche occasioni, sono dei colpi mancati o falliti solo se vogliamo assecondare una certa narrazione tossica, un modo di raccontare i fatti – che spesso però sono delle pure supposizioni – di cui i dirigenti possono essere complici, che finisce per illudere i tifosi – qualcuno direbbe che li fa sognare, ma in fondo la differenza è sottilissima. Il punto, però, è che il lavoro dei presidenti, degli amministratori delegati e degli allenatori va percepito e giudicato in un altro modo, con un altro metro: quello della razionalità. E all’Inter, da questo punto di vista, non si può rimproverare niente, almeno fino a qui.