La voce di Ruta Meilutyte è calma, calda. Parliamo per circa un’ora a pochi giorni dagli Europei di Roma, dove sabato 13 agosto ha vinto la medaglia di bronzo nei 100 rana. Tra due giorni, mercoledì, ci sarà la finale dei 50. Per quasi tre anni di Ruta Meilutyte non si è saputo nulla. Con la stessa rapidità con cui si era manifestata al mondo del nuoto — nel 2012, a Londra, era diventata campionessa olimpica a soli 15 anni — nel 2019 aveva deciso di abbandonarlo, quel mondo. Aveva vinto tutto, ma a un giornale brasiliano aveva detto: «Combatto contro la depressione ogni giorno. È una battaglia». E per essere certa che nessuno si mettesse in testa di farle cambiare idea, aveva stracciato la carta d’identità della sua generazione: si era cancellata da tutti i social network. Se non sono online, non esisto più. Ha ripreso a gareggiare lo scorso dicembre. Due mesi fa, a giugno, ci siamo accorti non solo che Ruta Meilutyte esiste ancora, ma che è anche la nuova campionessa del mondo dei 50 rana.
Ⓤ: Perché hai deciso di tornare a nuotare?
Mi mancava, questo è il motivo principale. Mi mancava stare in acqua, mi mancava la velocità, mi mancava un posto in cui esprimere una parte di me e in cui mi sentivo bene. È stato un piacere tornare ad allenarmi, fa anche bene alla mia salute mentale. Ho passato un paio di anni senza fare molto sport e il mio corpo aveva bisogno di muoversi.
Ⓤ: Ti mancava solo il nuoto o ti mancavano anche le gare?
La competizione è un lato del nuoto che amo particolarmente. Mi piace gareggiare. Quando ero ferma, mi piaceva ancora il nuoto in sé, ma dovevo capire se mi piaceva ancora gareggiare.
Ⓤ: Quando nel 2019 ti sei ritirata hai detto: «Sono pronta a un nuovo capitolo della mia vita, voglio studiare e vivere di cose semplici, crescere, conoscere meglio me stessa e il mondo». Quali sono le cose semplici di cui hai vissuto?
Ho potuto vedere i miei amici più regolarmente, la mia famiglia, ho portato a spasso il mio cane e non ho dovuto programmare la mia vita con settimane o mesi d’anticipo. Ho vissuto una vita più spontanea. Sono piccole cose, ma per me sono state molto importanti. Ho anche finito la scuola, che avevo interrotto nel 2016 a causa del nuoto e delle Olimpiadi di Rio. Ho preso il diploma che avevo posticipato per cinque anni. Poi mi sono iscritta all’università, e sono molto fiera di me.
Ⓤ: Cosa studi?
Comunicazione, a Kaunas.
Ⓤ: Cosa hai imparato di te stessa e del mondo in questi tre anni?
Prima io avevo sempre e solo conosciuto la vita della nuotatrice. Invece ho scoperto che ci sono altri tipi di vite che qualcuno vive, non solo nello sport. E anche se la vita dell’atleta sembra migliore, o più interessante, ho capito che alcune cose sembrano glamour da fuori, ma quando ci sei dentro in realtà sono molto banali, a volte per nulla glamour. Adesso ho conosciuto nuove persone fuori dal nuoto e mi sono aperta a nuove opportunità e nuove esperienze.
Ⓤ: Sei mai entrata in una piscina in quegli anni?
Un paio di volte sì, magari iniziavo un periodo d’allenamento per una settimana, o per un mese, ma poi lasciavo nuovamente. Ero molto scostante. Non pensavo minimamente di tornare a gareggiare.
Ⓤ: Cosa ti è piaciuto del nuoto quando hai iniziato a praticarlo?
Ero una bambina iperattiva e il nuoto mi ha dato un posto in cui concentrare tutta la mia energia. Era perfetto. Adoravo il colore blu della vasca e quello della luce che illuminava l’acqua mentre nuotavo. C’era il classico ingrediente segreto da cui non sai perché sei attratto, ma lo sei. Non saprei come razionalizzarlo, ma era così, mi piaceva tantissimo.
Ⓤ: Il blu è il tuo colore preferito?
È uno dei miei colori preferiti, sicuramente.
Ⓤ: Hai sempre voluto diventare un’atleta professionista?
Sì, ci ho sempre pensato, perlomeno da quando avevo 12-13 anni.
Ⓤ: A che ora ti svegliavi nella prima parte della tua carriera? E oggi?
Quando vivevo e mi allenavo in Inghilterra mi svegliavo prima delle 5 e mi allenavo dalle 5.30 alle 7.45. Facevo delle lunghe sessioni d’allenamento la mattina presto. Oggi invece ho un approccio molto più intuitivo, non mi alleno più alle 5.30 del mattino, se mi alleno presto è alle 8. Stamattina, per esempio, avevo un allenamento alle 7.30, ma quando mi sono svegliata ho sentito che il mio corpo non ci voleva andare, mi sentivo pesante, e non parlo di pigrizia, è una cosa diversa, è quando inizi a sentire e capire il tuo corpo e pensi: ok, questo è il mio corpo che mi chiede di riposarmi. Quindi stamattina ho preso la mattinata libera. Mi sono riposata, ho fatto un po’ di meditazione, ho visto l’alba, e ora sto molto meglio.
Ⓤ: Hai imparato ad ascoltare il tuo corpo?
Ho imparato ad ascoltarlo e a fidarmi di lui, perché so che se lo spingo troppo oltre posso avere di nuovo problemi. Ogni segnale che mi manda è un segnale a cui devo prestare attenzione. Sono fortunata perché grazie all’esperienza della prima parte della mia carriera oggi posso scegliere se andare ad allenarmi o no. E non devo spiegare ogni volta a me stessa e all’allenatore perché non voglio andarci.
Ⓤ: Non pensi che sia un privilegio, questo, rispetto a qualche altro tuo compagno di squadra?
Penso che sia un diritto, al contrario. Dovrebbe esserci una sorta di sistema che aiuti gli atleti a seguire quello che sentono veramente per evitare burnout. Non è affatto un privilegio.
Ⓤ: Ti è mancata l’adolescenza?
Non saprei. Non so cosa mi sono persa perché ho vissuto una vita diversa. Posso immaginare tutte quelle cose tipo gli amici, l’amore, la scuola, i primi appuntamenti, le prime volte… Ma io ho avuto la mia, di adolescenza. Non potevo scappare. Quindi mi verrebbe da dire di sì, ma chi lo sa.
Ⓤ: Eri felice?
Qualche volta ero molto felice, altre volte no.
Ⓤ: Quando hai iniziato ad accorgerti che qualcosa in te non andava? È stato un crescendo o la depressione è arrivata tutta insieme?
Innanzitutto voglio chiarire che non mi hanno mai diagnosticato ufficialmente la depressione, ma penso che sia accaduto qualcosa nel 2013, dopo i Mondiali di Barcellona. Avevo vinto così tanto in così poco tempo che non vedevo l’ora di scoprire cosa sarebbe venuto dopo. A un certo punto non ho più capito che piega stesse prendendo la mia vita. C’era come un non detto tra la gente secondo cui dovevo vincere per sempre, perché non c’erano motivi per sostenere il contrario. È stato un processo molto graduale e penso, poco alla volta, di aver smarrito il senso del perché facevo nuoto, anche a causa delle aspettative delle persone intorno a me. Mi sono davvero sentita persa. Ho avuto dei disturbi alimentari, altre cose hanno cominciato a venire a galla, e stavo spingendo il mio fisico a un livello tale che a un certo punto non ce l’ha più fatta. Il mio corpo ha provato ad adattarsi ai cambiamenti della mia vita, alla mia crescita, alla mia pubertà, ma io non ho mai avuto il tempo di sedermi e domandarmi: ma io cosa provo? cosa sento? cosa voglio? Pensavo solo ad andare avanti, ero sempre impegnata ad allenarmi, viaggiare e gareggiare. È stato un periodo molto intenso. Tutto questo mi ha provocato un forte burnout e ho iniziato ad andare in terapia.
Ⓤ: Hai preso farmaci?
Sì, in un periodo molto difficile, per circa un anno e mezzo, ho preso dei farmaci. Ma ne sono uscita da circa un altro anno e mezzo, forse un anno.
Ⓤ: Secondo te sei stata condizionata in qualche modo dalla vicenda del doping della tua rivale Julija Efimova?
Non credo, ma penso di aver iniziato a perdere fiducia nella Fina, la federazione internazionale. È la stessa cosa che è successa qualche mese fa con l’invasione della Russia in Ucraina: la Fina ha aspettato troppo prima di sanzionare gli atleti russi, gli ha permesso di gareggiare per troppo tempo, ha posticipato la decisione troppo a lungo. Non ha preso una posizione chiara riguardo a quello che sta succedendo oggi nel mondo.
Ⓤ: Tu invece, da quando sei tornata attiva sui social network, sei molto impegnata contro la guerra della Russia in Ucraina.
La Lituania ha una storia simile a quella dell’Ucraina, la Russia è sempre stata il paese invasore e ci ha occupato due volte. I miei nonni e i miei bisnonni in Lituania hanno vissuto le stesse esperienze orribili che gli ucraini stanno vivendo ora, forse anche peggio. È folle che questo accada nel ventunesimo secolo. Non posso fare finta di niente, per di più a poche centinaia di chilometri da casa mia.
Ⓤ: Cosa rispondi a chi pensa che gli sportivi e le sportive non dovrebbero parlare di politica?
Stronzate. Gli sportivi rappresentano una parte importante della società e dovrebbero parlare delle cose che sono importanti per la società. Sarebbe strano il contrario, perché molte persone seguono gli sportivi come degli esempi, e se c’è la possibilità di migliorare la società il loro impegno può contare molto, senza dubbio.
Ⓤ: Hai mai pensato che la squalifica che hai ricevuto per aver saltato tre controlli antidoping a sorpresa potesse macchiare la tua carriera, anche dopo il ritiro?
So che ci saranno sempre persone sospettose, anzi, probabilmente lo sarei pure io con qualcun altro, ma non mi interessa granché perché tutte le persone che mi conoscono sanno che a me non sarebbe mai successo, non ho mai e mai avrei preso niente di vietato, non sono mai stata quel tipo di persona.
Ⓤ: Gli anni tra il 2012 e il 2014, quando hai vinto tutto quello che si poteva vincere, li ricordi con affetto o sono un peso?
Li ricordo con orgoglio. Giusto poco tempo fa mi è capitato di rivedere la finale delle Olimpiadi di Londra 2012, non l’ho fatto spesso in questi anni, e mi sono accorta di quanto amore ho ricevuto anche se all’epoca avevo solo 15 anni. È stato incredibile. Sono molto orgogliosa di quella ragazza, sotto tutti i punti di vista.
Ⓤ: E com’è essere di nuovo campionessa del mondo?
È pazzesco. Penso di averlo meritato. La vittoria di Budapest mi ha dato molta felicità e ulteriore fiducia in me stessa.
Ⓤ: Lo segui il nuoto, da spettatrice?
Ora sì, prima molto meno. È una delle differenze tra la me di qualche anno fa e quella di oggi. Ora mi piace molto guardare le gare di nuoto, tutti gli eventi, ma durante i miei tre anni di ritiro non ho seguito nulla. Non m’interessava.
Ⓤ: Secondo te perché così tanti nuotatori soffrono o hanno sofferto di problemi di salute mentale?
Il nuoto è uno sport molto faticoso, richiede molto a livello fisico, i nuotatori si allenano duramente e penso che qualche volta gli allenatori non si accorgono che il riposo è fondamentale. In più il nuoto è uno sport individuale, quindi sei sempre da solo con i tuoi pensieri, e qualche volta penso che questo non ci aiuti, perché avremmo bisogno di condividere con qualcun altro le nostre sensazioni, dovremmo fare comunità. Questo nel nuoto si fa ancora poco. Si parla poco di salute mentale.
Ⓤ: Perché?
Forse perché mostrarsi vulnerabili e non sentirsi ok con la propria mente è ancora considerato un tabù, e qualche volta per gli allenatori e anche per i nuotatori stessi gareggiare e vincere una medaglia diventa prioritario. E si dimentica tutto il resto.
Ⓤ: Che persona ti senti, oggi?
Una persona fiduciosa, abbastanza serena, che cerca di stare focalizzata nel presente, nel momento. Certamente c’è ancora qualcosa nella mia testa, qualche pensiero, ma sono contenta di vivere questa fase della mia vita e vediamo cosa mi riserverà il futuro.
Ⓤ: Stai aiutando qualcun altro che ha avuto problemi di salute mentale? Vorresti farlo?
Mi piacerebbe, anche se in realtà io stessa non credo di esserne ancora uscita del tutto. Cerco di condividere la mia esperienza sui social network e di dare qualche consiglio, ma vorrei fare qualcosa di più con la mia community. Se qualcuno me lo chiede, comunque, io sono sempre disponibile.