L’estinzione del colpo di testa

La costruzione a palla bassa ne ha mostrato la poca utilità, e poi c’è la salute: dal 2023 a partire dalle categorie Under 12 saranno vietati negli allenamenti inglesi. Come sta tramontando l’era delle incornate.

Ogni anno il colpo di testa diventa un po’ meno importante nell’economia di una partita di calcio, e quindi nel bagaglio tecnico di un giocatore. È una qualità sempre meno ricercata dalle squadre, soprattutto le più forti. È colpa o merito dello sviluppo del gioco, dell’analisi dei dati e della statistica che hanno rivelato la poca utilità di lanciare il pallone in aria rendendolo meno controllabile. Con la palla a terra ci sono più soluzioni, i passaggi sono più precisi, si può influenzare il flusso del gioco in modo imperativo eliminando quella dimensione randomica che appartiene ai duelli aerei e alle seconde palle. I dati dell’ultima Serie A ci dicono che esiste una correlazione tra costruzione dal basso e progressione: le squadre che hanno una lunghezza media dei rinvii dal fondo più bassa sono quelle che poi all’interno dell’azione progrediscono di più. Ma anche in Premier League e in Liga il numero di gol segnati con un colpo di testa è in calo da ormai un decennio.

Mentre il calcio si trasforma, la medicina ci avverte sui danni causati dai colpi di testa: c’è la possibilità che i colpi ripetuti e sistematici, come quelli eseguiti in allenamento, aumentino le probabilità di soffrire di patologie neurodegenerative a causa dell’impatto del pallone con il cranio. Uno studio pubblicato dall’Università di Glasgow nel 2019 ha rivelato che gli ex professionisti hanno un tasso di mortalità legata a malattie neurodegenerative 3,5 volte più alto rispetto alla media (1,7% contro lo 0,5%), e che il rischio di Alzheimer è cinque volte più alto. L’anno scorso, invece, una ricerca simile ha scoperto che i difensori, in particolare, hanno un rischio ancora maggiore di sviluppare demenza o una condizione simile più avanti nella vita. Più passa il tempo e più convincenti diventano le evidenze sui rischi per la salute derivanti dai colpi di testa.

Il mondo anglosassone sembra quello più convinto a seguire le indicazioni della scienza medica. Lo scorso anno in Premier League sono state introdotte delle linee guida in cui si chiedeva esplicitamente ai giocatori di limitare a massimo dieci gli “higher-force header”, cioè quei colpi di testa su passaggi di più di trenta metri. E dal 2023 in Inghilterra i colpi di testa saranno proprio vietati negli allenamenti delle categorie Under 12. A settembre invece è stata aperta una finestra su un futuro possibile, forse anche probabile: è stata giocata la prima in cui il colpo di testa non era tra i tocchi ammessi, proprio per aumentare la consapevolezza sulle malattie neurodegenerative causate dal calcio. A quasi un anno di distanza sembra ancora un’assurdità, al pari della partita senza fuorigioco organizzata dalla rivista tedesca 11Freunde nel 2017. Ma qui le motivazioni di base hanno un valore molto diverso.

Gli studi scientifici sono ancora in fase di elaborazione, c’è tanto da analizzare, studiare, scoprire. Però è già evidente che quel che sappiamo potrebbe portare a un cambiamento del gioco in cui il colpo di testa è presente poco o nulla in una partita di calcio. Non c’è bisogno di immaginare un futuro distante in cui gli organi di governo del calcio hanno introdotto il “fallo di testa” e lo hanno disciplinato in modo simile al fallo di mano o altre infrazioni (ipotesi attualmente fuori da ogni logica discussione). Già ridurre al minimo i colpi di testa per una scelta tattica e tecnica sembra un cambiamento radicale. Ma non così difficile da accettare.

In Premier i gol di testa della scorsa stagione sono stati solo il 14% di quelli messi a segno, 89 su 605. Nel 2010/11, la quota sfiorava il 20%. È il dato più basso mai registrato (Laurence Griffiths/Getty Images)

Su The Athletic, Michael Cox si chiedeva quanto fosse davvero necessario il colpo di testa nel calcio. Ha scritto: «In certe situazioni lo è, e se non strettamente necessario, è fondamentale per segnare o difendere, dal momento che in un campionato si segna in questo modo una quota tra il 15% e il 20% di tutti i gol». Ma qui è opportuno fare una distinzione: nelle due aree di rigore saper colpire di testa meglio del proprio avversario diretto è una qualità potenzialmente decisiva e spettacolare – ci sono almeno una decina di gol incredibili segnati da Tim Cahill, Fernando Llorente e Jared Borgetti con avvitamenti e martellate colpite in cielo; invece a metà campo i colpi di testa sono un elemento accessorio di cui si potrebbe fare a meno nello sviluppo delle azioni.

Guardando le partite di Champions League e quelle migliori squadre del mondo si può notare come, in realtà, il calcio abbia già deciso di poterne fare a meno: è l’evoluzione del gioco che cammina in quella direzione. «Una tendenza macroscopica è l’aumento della costruzione da dietro: rispetto al passato si tende a passarsi di più la palla a terra, a costruire le azioni innescando tutti i reparti, partendo dal portiere e dai difensori per sfuggire al pressing, passando per il centrocampo e poi arrivare all’attacco. Però poi una volta che sei lì i cross dalle fasce sono ancora un’opzione», ci ha detto il commissario tecnico della Nazionale ungherese, Marco Rossi. «Il calcio cambia, anche se qualcuno dice il contrario. Così come rispetto al calcio dei primi anni Duemila notiamo ad esempio un incremento dell’intensità di oltre il 30%, allo stesso modo oggi si attacca molto di più palla al piede, preferendo entrare in area dal lato corto per giocare la palla arretrata, anziché crossare».

L’abbandono del gioco aereo è una transizione lunga e graduale, così come quella dei tiri dalla distanza, sempre meno presenti, sempre più circoscritti a determinate situazioni di gioco. Gli allenatori moderni chiedono ai loro giocatori di cercare soluzioni diverse prima di tirare da lontano o di crossare dalle fasce verso il centro dell’area. E lo fanno soprattutto per i motivi spiegati prima, perché è quel che suggeriscono i numeri e lo studio dei dati. Perché sono soluzioni sempre meno convincenti, o perché c’è (quasi) sempre una strada migliore.

Questi cambiamenti sono destinati a definire anche una nuova estetica del gioco. Sempre meno spesso le difese si affanneranno per uscire sull’avversario che sta caricando un tiro da 25 metri, e sempre di meno ci saranno in campo centrocampisti e attaccanti dominanti nei colpi di testa, quindi anche meno difensori sufficientemente abili a marcarli. Ne parlava anche Rory Smith nella sua newsletter del New York Times, On Soccer, spiegando che la riduzione di allenamenti specifici a partire dalle fasce d’età più giovani – a causa anche dei recenti studi della medicina – renderà questa arte calcistica obsoleta, fino a farla estinguere in favore di altre soluzioni: «Non sono diminuiti solo i tiri da fuori area, ma anche la loro minaccia potenziale. E lo stesso sarebbe per un gioco in cui il colpo di testa è quasi sparito. Il modo in cui si difende sui calci d’angolo e i calci di punizione sarebbe irriconoscibile, non ci si affollerebbe più dentro o vicino all’area piccola, e cambierebbe il modo in cui i terzini affrontano i giocatori più alti, sarebbe diversa anche la postura di una linea difensiva che affronta l’attacco avversario».

La scomparsa del colpo di testa sarebbe da un lato una perdita per il calcio: nelle rose delle squadre ci sarebbe sempre meno spazio per gli specialisti del gioco aereo, e influirebbe sull’estetica delle partite. Però, in fondo, non sarà una trasfigurazione radicale del calcio contemporaneo fatto di passaggi, isolamenti uno contro uno, triangolazioni e scatti in verticale per ricevere il filtrante sulla corsa: perché è un futuro che possiamo già intravedere. È un pezzo del nostro presente che, semplicemente, diventerà sempre più determinante. Brian Clough qualche decennio fa aveva già fatto notare al mondo che «se Dio avesse voluto farci giocare a calcio tra le nuvole, ci sarebbe stata molta più erba lassù».