Un grande inizio dell’Arsenal, finalmente

Cinque partite, cinque vittorie e primo posto solitario: il lavoro di Arteta e della dirigenza dei Gunners sta dando i suoi frutti.

Alla vigilia di questa stagione, dopo molti anni, si percepivano un po’ di entusiasmo e un po’ di fiducia intorno all’Arsenal. Il lavoro di Mikel Arteta e dei dirigenti dei Gunners, finalmente organizzato e coerente, sembrava aver sconfitto l’inevitabile disillusione che ammantava un ambiente reduce da un quindicennio di delusioni, di rivoluzioni solo annunciate e mai portate a termine, di scelte sbagliate. Nessuno, però, poteva immaginare che quell’entusiasmo fosse addirittura poco, cioè ridotto e riduttivo, rispetto alla realtà che si sarebbe concretizzata in questo inizio di stagione: cinque partite e cinque vittorie, 13 gol fatti e quattro subiti, primo posto in solitaria con due punti di vantaggio sul Manchester City, quattro punti di vantaggio sul Tottenham – che è sempre una notizia significativa, nel Nord di Londra – e altri sette sulla quinta classificata in questo momento, vale a dire il Liverpool di Jürgen Klopp. 

Al di là dei risultati e del gioco sempre più identitario e quindi riconoscibile, di cui parleremo più avanti, un altro aspetto importante di questo avvio perfetto riguarda la forza mentale della squadra di Arteta. Una dote che si evince dalla capacità, già manifestata in più occasioni, di rimettere in piedi delle partite che, semplicemente, si erano messe o si stavano mettendo male: l’ultima vittoria, 2-1 contro l’Aston Villa, è arrivata nonostante il pareggio dei Villans giunto al minuto 74′; un altro 2-1, quello ottenuto all’Emirates contro il Fulham, è arrivato dopo l’iniziale vantaggio dei Cottagers segnato – ovviamente – da Mitrovic; il 4-2 contro il Leicester non è stato colto in rimonta, ma il terzo e il quarto gol dei Gunners sono arrivati pochi secondi dopo che le Foxes avevano riaperto la partita, portandosi prima sul 2-1 e poi sul 3-2. Anche questa è una novità positiva per i ragazzi di Arteta: intanto perché si tratta davvero di ragazzi, in quanto l’età media della rosa dell’Arsenal (24,4 anni) è la più bassa dell’intera Premier League; e poi perché un anno fa i Gunners hanno vinto una sola partita di campionato, quella giocata in casa contro il Wolverhampton, dopo aver subito il primo gol dell’incontro.

Secondo Arteta, questa nuova capacità di reagire all’avversità dipende da una forza mentale sempre più sviluppata, ma soprattutto dal fatto che l’Arsenal sta crescendo come squadra che pratica un certo calcio. Il suo tipo di calcio: «Noi vogliamo mostrare la nostra mentalità, e la reazione immediata a un evento avverso deve farne parte: subire gol è una delusione ma fa parte del calcio, esattamente come perdere il possesso palla o fare una brutta azione. Reagire significa concentrarsi sulla prossima azione, su quella dopo e quella dopo ancora, sempre interpretando il gioco come sappiamo fare», ha detto il manager spagnolo, che poi ha aggiunto: «Quando cresci come squadra e riesci a creare un certo tipo di azioni con continuità, finisci per trascinare anche il pubblico: i giocatori, lo staff tecnico e la società credono nel proprio lavoro, ma poi anche i fan iniziano a farlo, a seguirti, a darti la spinta che serve per fare sempre meglio».

Gli highlights di Arsenal-Aston Villa

Il progetto di Arteta, in fondo, è sempre stato fondato su questi principi: convinzione – per non dire certezza assoluta – rispetto a un determinato tipo di calcio, ricerca del miglioramento individuale e collettivo attraverso il lavoro sul campo, e poi anche un certo tipo di mercato. Gli astri sembrano essersi allineati anche in questo senso, per l’Arsenal: questa estate sono arrivati pochi innesti mirati che però hanno già dimostrato di essere perfetti per il calcio di Arteta, primo tra tutti quel Gabriel Jesus – una prima punta dal fisico e dalle caratteristiche atipiche – già autore di tre gol e tre assist in cinque giornate di Premier League. Pure Zinchenko si è inserito bene, anche se in realtà non ha giocato nelle ultime due partite; d’altra parte l’unico altro colpo in entrata, il giovane Fábio Vieira, non è ancora riuscito a esordire.

È evidente, dunque, che la forza dell’Arsenal discenda direttamente dal lavoro portato avanti negli ultimi anni, dal fatto che Gabriel Magalhães, Bukayo Saka, Martin Odegaard, Gabriel Martinelli e Ben White siano diventati una squadra a tutti gli effetti, e che anche gli elementi della rosa non titolari – i vari Nketiah, Smith-Rowe, Tomiyasu, Sambi Lokonga – siano perfettamente calati nel gioco dei Gunners, oltreché in linea con i parametri anagrafici e tecnici imposti da Arteta e dalla dirigenza. Il prossimo step, inevitabilmente, sarà legato all’esito degli stress test – tanti, e ravvicinati – da vivere in questa stagione: l’inizio dell’alternanza con l’Europa League, una competizione logisticamente massacrante e quindi difficile da domare; i primi scontri diretti in campionato, visto che finora l’Arsenal ha affrontato – e battuto – il Crystal Palace, il Leicester, il Bournemouth, il Fulham e l’Aston Villa. Si comincerà subito, anzi tra poche ore, con il viaggio a Old Trafford per sfidare il Manchester United di Ten Hag. Ora le premesse e le promesse, per la prima volta dopo tanti anni, sono davvero positive: questo Arsenal è una squadra allestita e allenata bene, che ottiene risultati e che merita di essere seguita con fiducia. Un mix di sensazioni che sembravano irreparabilmente scomparse dall’ambiente dell’Emirates, e che invece sono state ricostruite con pazienza, con metodo, seguendo un progetto iniziato in società e poi sfociato in campo. C’è voluto un po’ di tempo, e infatti meno di due anni fa, all’inizio dell’inverno, si parlava di clausole sui contratti per contenere il rischio retrocessione, e anche nel 2021 la situazione non era molto differente. Ora, però, le cose sono cambiate. E non è un caso, piuttosto il frutto di un lavoro fatto nel modo giusto.