The reports of my death are greatly exaggerated. Ovvero: «La notizia della mia morte era grossolanamente esagerata». Il celebre commento dell’autore delle avventure di Tom Sawyer ha accompagnato gli ultimi due anni dei guardoni del tennis, che hanno sospirato a lungo sulle incredibili debacle di Thiem, Tsitsipas e Medvedev, capaci di buttare al vento degli Slam praticamente vinti perché tremebondi nel momento decisivo, o sovrastati dalla sovrumana intelligenza tattica di quei tre, poi diventati due e ora, chissà, forse solo uno. Dopo aver cannibalizzato la generazione di Dimitrov e Nishikori e aver appunto azzannato quella di Zverev, Medvedev e Tsitsipas, solo la lenta consunzione dei tre, e relativa fine di partite belle ed emozionanti, avrebbe permesso al tennis di avere dei nuovi vincitori di Slam. Campioni che sarebbero stati senza carisma, senza appeal e, si diceva, senza nemmeno poter avvicinare il livello di quei tre. Gente che al massimo poteva competere con Ferrer o Berdych, le seconde linee del bel tempo che fu, senza nemmeno avere la sicurezza di batterli.
Gli US Open – e non solo la splendida partita tra Sinner e Alcaraz – ci hanno ricordato appunto che la notizia della morte del tennis è alquanto infondata. Il 2022 a dire il vero sembrava seguire la solita sceneggiatura tennistica, con Nadal e Djokovic a dividersi gli Slam, more solito. E nemmeno l’abiura di Kyrgios, che tenta di violentare la sua natura senza troppo riuscirci, sembrava in grado di smuovere granché. Anzi, la vittoria contro il nuovo – e già vecchio – numero uno del mondo, sembrava confermare l’adagio che niente sarebbe più stato bello come prima. Ma che questo Slam sarebbe stato diverso dal solito si era capito presto: Tsitsipas salutava al primo turno perso nei suoi dilemmi new age; Hurkacz confermava contro Ivashka la sua allergia ai quattro tornei più importanti di tutti; poi sono arrivati ancora Kyrgios ma soprattutto Frances Tiafoe, che ha giocato la partita perfetta per battere un Rafal Nadal in versione depotenziata dall’età e dagli acciacchi fisici; e quando a New York si giocava l’ultimo ottavo di finale, alle due del mattino di martedì, il predestinato Carlos Alcaraz batteva Marin Cilic, campione del 2014.
Ci siamo improvvisamente svegliati con la certezza che avremmo avuto un nuovo campione Slam, una rarità in questi due decenni vissuti incatenati ai successi dei soliti noti, a quei tornei seguiti sempre meno man mano che arrivavano le fasi finali, tanto sapevamo che difficilmente avremmo avuto un esito diverso dal pronostico. Con Djokovic auto esiliato e liberati dall’ingombrante figura di Rafael Nadal, abbiamo potuto seguire partite come quella fra Ruud e Berrettini sapendo che il vincitore poteva veramente ambire alla vittoria Slam, che questa volta non avrebbe trovato uno dei tre a sbarrargli la strada. Ed è stato bellissimo ed emozionante. Neanche ricordavamo che potevamo emozionarci così nel seguire una partita di tennis. Di più.
Ma il turning point, il cuore del tennis che pulsa ed è in grado di irradiare il sangue nel resto del corpaccio, si è sentito forte e chiaro la mattina dell’8 settembre, quando a New York erano ancora le due di notte e Carlitos Alcaraz tirava una prima palla centrale che Sinner non rispediva dall’altra parte. Lo spagnolo vinceva un match bellissimo, vinto e perso un paio di volte da entrambi. Non è stata solo un’emozione fine a sé stessa, se così si può dire. Perché di belle partite con in campo aspiranti campioni ne abbiamo viste, ma avevano sempre questo retrogusto di già visto, perché chiunque avesse vinto sarebbe incappato nella solita prestazione senza sbavature di uno di quei tre. Stavolta la percezione era del tutto diversa. Il vincitore di queste partite non avrebbe portato a casa solo la notte da raccontare ai nipotini ma avrebbe completato in qualche modo l’ennesima rinascita del tennis.
Ora persino una sfida fra Khachanov e Ruud acquista un nuovo significato. Non è solo la semifinale da parvenue, che in genere aveva il solo compito di scegliere la vittima sacrificale della finale. Adesso potrebbe portare il norvegese a diventare il nuovo numero uno del mondo. Ma chi vincerà fra Ruud e Khachanov non partirà battuto contro Alcaraz o Tiafoe: da quanto non si poteva dire una cosa del genere? Si era arrivati al punto da evitare di seguire finali Slam come quella fra Ruud e Nadal al Roland Garros, o di vedere quella di Wimbledon senza mai pensare che Nick Kyrgios potesse veramente battere Djokovic. Per non parlare delle altre, seguite in maniera distratta, per assuefazione, senza mai provare quel brivido di piacere ed esaltazione che solo l’incertezza dell’esito può darci. E che questo US Open ci sta regalando ad ogni turno.
Senza Federer, Djokovic e Nadal ora possiamo veramente alzarci all’alba del giovedì per seguire Jannik Sinner e Carlos Alcaraz sapendo che questa volta non si giocheranno il ruolo da comprimario in uno Slam. E mentre seguivamo con apprensione il dipanarsi dello straordinario copione di questa rivalità che si preannuncia molto lunga, combattuta e appassionante, abbiamo archiviato decenni di sfide fra Djokovic, Nadal e Federer. Guardavamo il tennis a velocità supersoniche di Sinner e Alcaraz e questo ci aiutava a dimenticare le 59 sfide in 16 anni fra Djokovic e Nadal, che spesso decidevano gli Slam. Una palingenesi tennistica, nomi nuovi e campioni diversi per rendere questo sport ancora più spettacolare, più di qualsiasi altra trovata sul regolamento, per rinascere ci bastava di nuovo l’incertezza del risultato.
E tutto questo non poteva che accadere agli US Open, il torneo che si svolge nella land of the free, home of the brave. Lo Slam nel quale le tradizioni possono interrompersi, perché Del Potro, Wawrinka, Thiem e Medvedev l’hanno fatto. A questo punto, chiunque vinca va bene. Potremmo avere un altro russo in finale in uno Slam dopo Medvedev, veder trionfare un tennista nero dopo Arthur Ashe nel 1973 nello stadio Arthur Ashe, gustarci il primo Slam di Carlos Alcaraz a 19 anni, oppure il primo di Casper Ruud, e uno di questi ultimi due potrebbe diventare il nuovo numero uno del tennis. Facciamo che questo torneo diventi un’abitudine, così il tennis è più bello.