Lo dice anche Wikipedia: il tennistavolo è uno degli sport di maggior diffusione nel mondo, eppure facciamo fatica a prenderlo sul serio. Forse perché si tratta di una disciplina con cui tutti, bene o male, abbiamo avuto a che fare, e allora è semplice sentirsi forti, all’altezza della situazione. Quando invece i tennistavolisti veri, i professionisti, sono degli atleti a tutto tondo: forti, resistenti, mentalmente pronti a delle vere e proprie guerre di logoramento. E poi non possono mancare la sensibilità tecnica, la coordinazione, i riflessi.
Insomma, giocare davvero a tennistavolo non è uno scherzo. E il fatto che l’Italia faccia fatica a produrre grandi talenti è un segnale chiaro, in questo senso. Eppure qualcosa sta cambiando: trent’anni dopo Massimiliano Mondello, il giocatore italiano più titolato di tutti i tempi, c’è un 19enne che a luglio ha conquistato la prestigiosa medaglia di bronzo nel singolare Juniores ai Campionati Europei Giovanili di Belgrado. Si tratta di Andrea Pupo, ligure e destinato a riscrivere la storia di questa disciplina nel nostro Paese. Il suo ultimo impegno è stato il WTT Feeder Panagyurishte in Bulgaria, ma ha anche trovato il tempo per parlare a Undici del tennistavolo, uno sport più praticato che visto, popolare e insieme elitario, a prima vista banale e di disarmante semplicità, eppure praticabile solo da giocatori con grandi doti fisiche e psicologiche. Proprio come lui.
Ⓤ: Per quanto scontata, la prima è una domanda necessaria. Come ti sei avvicinato a questa al tennistavolo?
Grazie alla mia famiglia. Mio padre, pur non avendo ottenuto grandissimi risultati in carriera, ha indirizzato prima mio fratello (Enrico, ndr) e poi anche me verso questo magnifico sport. Tra l’altro Enrico è stato, anche se per un breve periodo, uno dei migliori 50 tennistavolisti sul territorio nazionale. Diciamo che il tennistavolo è indissolubilmente nel DNA della nostra famiglia.
Ⓤ: Quando ha capito di poter trasformare la sua passione in una professione?
Sportivamente parlando, sono cresciuto in palestra. Sono sempre stato seguito, con particolare attenzione e meticolosità, dai miei allenatori, consapevoli fin dai miei esordi del mio potenziale. Dopo aver ottenuto qualche buon risultato a livello nazionale ed europeo, ho capito che avrei potuto trasformare in un lavoro quella che a lungo, banalmente, consideravo una semplice passione. Una passione come le altre. Evidentemente non era così.
Ⓤ: Come si passa dall’essere il ragazzo/a più bravo/a nell’oratorio o su una spiaggia, luoghi deputati del ping-pong di massa, a diventare un professionista a tutti gli effetti?
Credo dipenda molto dall’ambiente in cui cresci. Personalmente ho sempre avuto la fortuna di confrontarmi con ragazzi/e che giocavano ad altissimo livello, così il passaggio al professionismo è avvenuto in modo progressivo e naturale, al termine di un percorso piuttosto costante e, sostanzialmente, indolore.
Ⓤ: Ci racconti la quotidianità di un professionista del tennistavolo?
Attualmente vivo a Milano e mi alleno con altri dieci ragazzi in un centro di primissimo livello qui in Lombardia. La prima sessione della giornata è solitamente alle 9/9.30 ed andiamo avanti almeno fino alle 12.00. Il secondo allenamento è, generalmente, organizzato dalle 16.00 alle 18.30. Chiaramente, due o tre volte a settimana, abbiamo delle sessioni extra di preparazione fisica: sono dei momenti da non sottovalutare assolutamente. D’altronde negli anni il nostro è diventato uno sport molto più fisico di un tempo: senza una buona forma, si fa grande fatica ad ottenere dei buoni risultati.
Ⓤ: Ti vengono in mente dei luoghi comuni da sfatare sulla disciplina? Molti, almeno in Italia, parlano di tennistavolo senza conoscerlo davvero.
Viene sottovalutata l’importanza della tenuta mentale. Puoi essere fisicamente esplosivo, ma senza un elevato equilibrio di testa non si va da nessuna parte. Non è facile reggere un mese di partite ad alto livello e in più devi metterci viaggi, infortuni, problematiche di vario genere che rendono tutto più difficile da gestire.
Ⓤ: Quali sono gli infortuni più frequenti?
Generalmente alla spalla ed alla schiena. Ma non solo. Qualche giorno fa, però, per esempio, ho avuto un problema alla coscia in Bulgaria. Molto probabilmente è un infortunio legato al breve stop successivo alla conclusione della stagione. Una pausa necessaria per recuperare le energie, dopo un anno particolarmente intenso.
Ⓤ: A che punto è il movimento italiano di tennistavolo?
È un movimento in crescita. Sottolineerei non solo il mio terzo posto ai Campionati Europei Juniores, ma anche lo straordinario traguardo raggiunto da Giorgia Piccolin, arrivata nei primi otto ai Campionati Europei Assoluti. Con i risultati, aumenta automaticamente anche la visibilità della nostra realtà. Ovviamente non siamo nemmeno lontanamente paragonabili al movimento asiatico: la Cina è ancora indiscutibilmente la nazione da battere, nonostante qualche piacevole sorpresa. Una nazione europea come la Svezia, ad esempio, riesce con continuità a dire la sua a livello internazionale.
Ⓤ: Per quale ragione, secondo te, il tennistavolo in Italia viene ancora considerato un semplice “sport da spiaggia”?
Credo sia semplicemente dovuto ad una scarsa conoscenza del nostro movimento. Chi lo identifica così non sa effettivamente di cosa si tratta, non ha idea di quale sia, nella sua concreta bellezza e fatica, il fascino autentico del tennistavolo. Basta seguire un nostro allenamento per capire il reale livello dei professionisti italiani.
Ⓤ: C’è uno sportivo, non per forza tennistavolista, al quale ti sei ispirato nel corso degli anni?
Non saprei, forse Matteo Berrettini. Seguo il tennis e negli ultimi anni ha vissuto una crescita esponenziale a livello di risultati ottenuti. Apprezzo particolarmente la sua professionalità fuori dal campo. È davvero unico nel suo genere.
Ecco come gioca Andrea Puppo
Ⓤ: Come si può rendere, secondo te, il tennistavolo più popolare a livello mediatico?
Domanda difficile. In Italia credo sia un problema che parte realmente dai piani alti. I più importanti tornei non vengono trasmessi, se non su YouTube. Credo sia davvero determinante tentare di promuovere il movimento con qualche copertura televisiva, magari pure con qualche diretta. Sky, ad esempio, ha recentemente acquistato i diritti per la trasmissione del Premier Padel (il nuovo circuito del padel mondiale), con ottimi risultati in termini di audience. Mi chiedo perché non si possa fare lo stesso anche per il tennistavolo.
Ⓤ: Che consigli darebbe a chi si avvicina a questa disciplina?
È uno sport difficile. Quando si inizia a giocare, manca molto spesso questa consapevolezza che è la chiave per ottenere determinati risultati. A certi livelli si può vincere, ma anche perdere, contro chiunque.
Ⓤ: Cosa puoi raccontarci del suo terzo posto all’Europeo Juniores di Belgrado?
Un’emozione incredibile ed indimenticabile. Devo essere totalmente sincero? Non è stato certo un risultato inaspettato, perché ero la testa di serie numero sei del torneo e speravo, comprensibilmente, in un piazzamento nei primi tre. La cosa speciale è stata il modo in cui è arrivato questo terzo posto: negli ottavi ho battuto il mio avversario Hugo Deschamps in rimonta; ai quarti di finale ho superato Andrei Teodor Istrate, numero quattro d’Europa, per 4-2. C’era un’atmosfera unica ed emozionante: tanti italiani a seguirmi, indimenticabile.
Ⓤ: Un piccolo paradosso: lei occupa il 6° posto nel ranking italiano, pur essendo arrivato in semifinale agli scorsi campionati italiani, ma è il terzo italiano nel ranking internazionale. Come mai?
Il ranking italiano è un po’ “falsato” dal fatto che molti ragazzi giocano all’estero. Ho fatto semifinale, quest’anno e finale, lo scorso anno, nei campionati italiani; quindi, credo di meritare qualcosa di più rispetto al sesto posto. In ogni caso, cercherò di dare maggiore attenzione al ranking internazionale…
Ⓤ: Olimpiadi: utopia o sogno realizzabile?
Le Olimpiadi sono il sogno di tutta una vita. Farò di tutto per raggiungerle nel 2024 e nel 2028.
Ⓤ: Ambizioni per il prossimo futuro?
Essere in pianta stabile con la Nazionale assoluta, partecipare quindi con continuità agli Europei e ai Mondiali, ed arrivare trai primi cento giocatori al mondo.