«Aspettate che accada», scrive David Foster Wallace in Infinite Jest, e poi poco più avanti continua con «La palla smette di essere una palla. La palla comincia a essere una cosa che voi sapete dove dovrebbe essere in aria, a ruotare». In questo incredibile romanzo, il discorso è rivolto, come è noto, ai giovani tennisti dell’accademia; io ho sempre pensato, più o meno inconsciamente, che l’attesa dell’accadimento dipendesse da me, cioè dall’appassionato di tennis. Ero io quello che doveva conoscere l’esatta posizione della palla, del suo essere in aria, del suo ruotare, perché l’istante dopo la palla avrebbe incontrato tra la rete e la riga di fondo qualcosa di molto simile al miracolo e che, nella sua frequente ripetizione, avrebbe creato una liturgia. L’attesa si sarebbe compiuta nell’esatto momento in cui la racchetta di Roger Federer avrebbe impattato la palla, non una palla qualunque, quella che io avevo atteso, individuato e con il soffio colmo di speranza e pazzia, comune a chiunque abbia mai visto giocare Federer, indirizzata là dove lui la stava aspettando.
Nel tempo, catturando con gli occhi e fermando con la memoria le migliaia di colpi impossibili messi a segno da Federer: i diritti da leggenda, i rovesci incrociati, gli smash, le volée, le palle corte, le smorzate, i lob, gli anticipi, i colpi sotto le gambe, i servizi vincenti, o uno dei milioni di ace, ho creduto, chiamatela suggestione, mandatemi Freud e il suo taccuino, che la pallina s’accordasse con il movimento di Federer, che lo assecondasse perché è meglio essere complici della grandezza che semplici strumenti. Le palline, non tutte, ma molte, certe palline di intelligenza superiore, di particolare sensibilità, palline luminose ma allo stesso tempo custodi di un tratto oscuro, hanno saputo attendere il momento giusto per rimbalzare, quando lasciarsi cadere, l’istante in cui scivolare e quello in cui farsi colpire. Hanno saputo restare in aria il tempo necessario affinché il polso di Federer avesse il tempo di ruotare e, subito dopo il colpo di racchetta, sono piombate all’incrocio delle righe, spruzzando di bianco rimbalzo il vano tentativo di qualsiasi avversario.
Wimbledon 2003
La pallina, la responsabile della meraviglia è quella che entra in gioco nel terzo set, siamo al tie-break, Federer ha già vinto i primi due set e serve sul 2 a 2. La palla viaggia fino a Philippoussis, si lascia rispondere dall’australiano e giocare da una racchetta all’altra per otto volte, in quello che pare essere un normale scambio da fondocampo. Il nono colpo è di Philippoussis che accelera incrociando il diritto, in quell’istante comincia l’attesa della pallina, è come se stessimo leggendo un sonetto, siamo al decimo verso, ne mancano quattro, manca la chiusa, la pallina lo sa. Federer rimanda dall’altra parte della rete un diritto incrociato memorabile, pulito, violentissimo, l’australiano se la cava bene, mentre la pallina se la ride, e torna di là molto velocemente e sulla riga, lo svizzero alza letteralmente un rovescio dall’erba e incrocia dalla parte opposta. Philippoussis ha il fiato corto ormai, la pallina sa che il punto si sta chiudendo e va di là con serenità, viene risposta con un rovescio in recupero, niente di più facile che essere chiusa a punto da uno splendido diritto lungo linea dello svizzero. La pallina ha compiuto il suo dovere, o lei o sua sorella chiuderanno il match qualche minuto dopo sbattendo sulla rete la risposta di Philippoussis al servizio a uscire di Federer, che non era una domanda ma un ordine.
Australian Open 2004
Il Centrale di Melbourne era ancora verde, non blu come adesso. Il colore verde mi ricorda un campo di cemento dove giocavamo a tennis da ragazzini, speravamo in un sacco di cose, ma nessuno di noi aveva talento. Usavamo palline bianche o gialle, qualche audace le viola, uno scempio. Sul campo verde di Melbourne, Federer gioca un altro match senza storia contro Marat Safin, il diritto la fa da padrone, Safin impazzisce e a un certo punto sfascia la racchetta. Sul match point la pallina sente che sarà una cosa breve, il pubblico ha già l’applauso innescato, Federer è pronto a esultare, Safin a fargli i complimenti. La pallina non ha motivo di prolungare ciò che è già deciso, non è infarcendolo di aggettivi che si fa un buon racconto. Federer serve, la pallina si muove coi tempi giusti, Safin non può far altro che rimandarla sul rovescio dello svizzero, la palla aspetta, qualcuno sta per premere il grilletto. Federer gioca un rovescio molto lungo ma non impossibile, la pallina ha compiuto il suo dovere, e cadrà fuori dopo la risposta di Safin. Federer non sembra nemmeno sudato, la palla pare che non abbia mai rimbalzato.
Wimbledon 2004
Assecondare i movimenti e i colpi di Federer e di Roddick è per quelle palline un privilegio, quasi un onore. Le palline seguono ogni diritto di Federer, ogni colpo di Roddick, ogni volée del primo ogni smash del secondo, un pallonetto mozzafiato del primo, una risposta che va bene per ogni domanda del secondo. Per la prima volta, però, ci accorgiamo di come si muova Roger, la sua sospensione prima di colpire, il modo di flettere le gambe e poi di scattare come un gatto, arrivare un attimo prima della palla come se questa gli abbia telefonato. Quel giorno abbiamo scoperto di avere a che fare con qualcosa che non c’era forse mai stato prima e che ci avrebbe accompagnato a lungo, era il modo di giocare di un ragazzo svizzero. Lo abbiamo capito a casa e sugli spalti, lo ha capito Andy Roddick che ha fatto il massimo; lo ha compreso, da ultima, la pallina che si è lasciata scaraventare a una velocità impressionante dall’ace che ha deciso il match.
US Open 2004
Come se bastasse una pallina sola per tutto il match, come se ne bastasse un gruppo da tre. Nel primo set Hewitt totalizza solo 5 punti, roba da restarsene a casa. Che cosa pensa Hewitt? Cosa pensa un giocatore di tennis che perde il primo set 6 a 0, fa finta di rientrare in partita nel secondo, che comunque perde, e chiude sconfitto al terzo con un altro 6 a 0, il tutto in un’ora e quarantanove minuti, spettatore aggiunto al Federer show, una roba che a casa, dai nostri divani, non ci fa smettere di urlare. La pallina chiamata a chiudere lo spettacolo non deve far altro che lasciarsi scivolare accompagnata da un diritto a uscire e cadere dove Hewitt non ha nemmeno immaginato di poter arrivare.
Wimbledon 2005
«Che senso ha vivere se alla fine non si muore?», scrive Don DeLillo in Zero K. Che senso ha giocare a tennis se non si è meravigliosi? Dico io. Non mi è mai piaciuto il gioco fatto solo di potenza, pur apprezzando alcuni giocatori che lo hanno esaltato, vedi alla voce Lendl o Nadal, ma sarò sempre un amante del gioco veloce, del colpo improvviso fuori dagli schemi. Si guarda una partita di tennis nell’attesa del colpo impossibile. Con Federer il colpo impossibile è diventato molto probabile, è diventato possibile e frequente. Dopo Wimbledon 2005 credo lo abbia imparato anche Roddick. La pallina che chiude la partita di quel giorno quasi gli fa cadere la racchetta dalla mano, dopo il servizio di Federer. Roddick che perde a Wimbledon da Federer diventa una storia nella storia, la somma di tante palline.
US Open 2005
C’è un momento in cui tutte le palline si fermano in segno di rispetto, è il momento in cui Agassi va verso la rete a stringere la mano a Federer, che ha dieci anni meno di lui. Tutto si è compiuto e il modo in cui si è compiuto non ha alcuna importanza, è così che si passano i testimoni, i campioni sorridono entrambi. La faccia distesa e quasi rilassata di Agassi e quella ancora un po’ contratta di Federer, sul campo è successo qualcosa, è passato del tempo, nel senso che una lunga porzione di storia del tennis ha lasciato il posto a una nuova porzione. I due tennisti se ne vanno, hanno entrambi la maglia blu, la pallina non ha voglia di raccontare.
Australian Open 2006
Siamo un gruppo di palline e abbiamo paura, paura che stavolta Roger Federer possa perdere, che un nostro rimbalzo sbagliato lo metta in difficoltà, che non saremo in grado di accompagnare il suo braccio a punto, che non saremo capaci di sollevarlo dall’infortunio e poi di condurlo alla vittoria. Federer è reduce da un infortunio alla caviglia, deve tenere botta, in molti hanno previsto la sua sconfitta contro Baghdatis, ma il tennis è una cosa dove il talento comanda anche sugli infortuni. È il campione svizzero a rassicurare la pallina, le dice di pensare a ruotare e a finire dove lui le impone di finire. Di finire in rete dopo un rovescio in difesa di Baghdatis. La pallina toccando la rete fa un rumore che somiglia a un sorriso.
Wimbledon 2006
È una delle tante sfide tra Federer e Nadal, raccontare il numero di colpi vincenti e bellissimi prenderebbe una serata, basti ricordare che abbiamo visto Nadal fare dei punti a rete e Federer farne da fondocampo. Terremo sempre a mente un paio di rovesci alla velocità della luce di Nadal, due risposte di diritto di Federer, una pazzesca a uscire e un’altra lungo linea. Ancora, due volée bloccate dello svizzero, imprendibili. Una serie infinita di colpi senza fiato, perciò dispiace che l’ultima pallina abbia deciso di finire fuori su un rovescio a uscire di Nadal, perché una partita così avrebbe meritato come punto finale almeno uno smash o un diritto incrociato.
Open Usa 2006
«Non farti portar via / dalla partita, da un’idea dell’amore/ che muta con un numero». Questi formidabili versi di Milo De Angelis riferiti a una partita di calcio, ma un po’ a tutto, anche a un’idea di bellezza che non può sparire davanti a una cifra, a una sconfitta, li porgiamo ad Andy Roddick che di nuovo perde in finale da Roger Federer; a Roddick che è avversario valoroso e che ha provato tutte le volte a portare le palline dalla sua parte. Ci sono tennisti che hanno i contemporanei sbagliati, Roddick è uno di questi. Il punto vincente che doveva esserci nel Wimbledon precedente avviene qua. La pallina segue il servizio di Federer, fa sponda sulla risposta di Roddick, asseconda un primo diritto dello svizzero e si prepara per il diritto a uscire che preparerà il colpo finale. Roddick non può far altro che rimandarla di là, la palla ruota in alto, all’altezza giusta, dove troverà la racchetta di Federer pronta a chiudere lo smash. Noi continuiamo ad ammirare.
Australian Open 2007
Federer vince questo Slam senza perdere nemmeno un set, senza perdere tempo. Il buon Fernando Gonzales verrà ricordato, con ogni probabilità, solo per aver partecipato quel giorno all’ennesimo show dello svizzero. Gonzales che ci prova, quasi riesce a vincere un set, ma poi si deve piegare al polso, al talento, alla forza mentale, al più bravo tennista di tutti i tempi. Il punto finale è da scuola tennis. Federer serve, Gonzales risponde con un diritto che finisce lungo vicino alle righe, Federer ribatte con un rovescio in difesa non facile, Gonzales gioca ancora di diritto sul rovescio di Federer. Pausa. Ricordatevi o cercatevi il video perché, con la facilità con cui io mi preparerei un caffè, Federer gioca un rovescio lungo linea imprendibile. Le palline s’inchinano.
Wimbledon 2007
Sono passati quindici anni; eppure, si sta ancora con la bocca aperta, si sta ancora sulle tribune di Wimbledon, incantati da una delle più belle partite della storia del tennis. Sono stato spettatore ma avrei voluto essere una pallina, avrei voluto essere un Gianni Clerici, un Rino Tommasi, un Duca o una Duchessa di Kent. Essere un arbitro, un raccattapalle, quello che passa l’asciugamano, un riflesso del sole che batte sul campo dove va a spegnersi un diritto. Avrei voluto essere il minuto decisivo di quelle 3 ore e 45 minuti, avrei voluto essere il quinto set in persona. Avrei voluto essere il diritto di Federer che prepara il punto e poi il pallonetto in difesa di Nadal; avrei voluto essere lo smash di Federer che ha deciso Wimbledon. La nostra pallina piomba nel campo di Nadal alla velocità della luce, sipario.
US Open 2007
È il tempo di Djokovic, l’uomo che si prenderà il futuro, il tempo e il campo diranno in seguito che se ne prenderà solo una parte. Djokovic tiene in mano il gioco, pare sempre essere in vantaggio e ha le occasioni per vincere tutti e tre i set che poi perderà. E perché li perde? Ci troviamo nel grande mistero di Roger Federer, quel mistero che spiega perché il talento non è solo braccia e estro, il talento è testa. Djokovic accompagna la nostra pallina in rete, come è giusto che sia.
Intermezzo video tra le parole: tutti i punti decisivi di Federer nelle finali vinte dei suoi Slam
US Open 2008
Il punto finale di questo match dimostra la gioventù di Murray e la pazienza di Federer. Lo svizzero sa già di aver vinto, mette lo scozzese alle corde con due strepitosi diritti a uscire e con due smash consecutivi. Murray non gioca, prova solo a salvarsi. La pallina racconta della contentezza di Federer, il 2008 non è stato una passeggiata e non lo chiuderà da numero 1, è stato l’anno in cui ha perso a Wimbledon da Nadal in quella che è stata considerata una delle più belle partita della storia del tennis.
Roland Garros 2009
Le palline narrano di una delle più belle partite mai giocate da Federer, è questa la volta in cui lo vediamo danzare anche sulla terra ostile. Il rosso lento che non gli è mai piaciuto, dove le palline e le magliette si sporcano, dove gli scambi da fondocampo possono diventare estenuanti. Laddove Wilander nemmeno sudava Federer ha sempre faticato. La grandezza passa però anche dalla terra, il più forte giocatore di sempre non può lasciare indietro Parigi. La sorte vuole che il comprimario sia Soderling, che agli ottavi ha eliminato Nadal. Partita mai in discussione, a parte la celebre invasione di campo di Jimmy Jump, si chiude con Soderling che risponde in rete e con Federer che riaggancia.
Wimbledon 2009
Di nuovo Andy Roddick, che da quel giorno immagino armato di fucile sulla porta di casa pronto a sparare al primo svizzero che gli capiti a tiro. Un grande sportivo Roddick e bel giocatore. La partita è memorabile, Federer vince 16 a 14 al quinto set, una maratona. L’ultimo turno di servizio di Roddick comprende più errori che colpi vincenti, sono tutti stanchi, eccetto il pubblico. Le palline con cui serve l’americano erano ancora in fabbrica quando la partita è cominciata. Il punto decisivo è una steccata di Roddick, la pallina racconta che quell’errore è la somma di tutti i suoi pensieri, stecca e gli passano davanti le finali perse contro Federer, le nonne, gli amori giovanili al college, l’infanzia, e gli viene in mente che ha perso dal più bravo di tutti, che forse è un perdere diverso.
Australian Open 2010 e Wimbledon 2012
Due finali con Murray e in mezzo un anno e mezzo in cui vincono gli altri, gli anni se ne vanno via, in molti pensano che per Federer sia ora di passare la mano, ma non è così, non sarà così ancora per un pezzo, ci sarà ancora qualche ragazzino che farà in tempo a vederlo giocare. Le finali stanno insieme anche perché le perdono due Murray differenti, il primo è ancora un talento incompiuto, il secondo è uno che presto andrà a vincere qualcosa, e differenti sono i due Federer. Il primo sembra uno che stia chiudendo la sua parabola, il secondo è l’unico convinto che la parabola non sia chiusa. Le due finali sono vinte con due errori di Murray, in mezzo tanto tennis spettacolo.
Australian Open 2017
Nel 2016 Federer va a trovare Nadal, sono entrambi infortunati, e gli dice: «Chissà se ci ritroveremo più io e te in una finale». Immagino che abbiano sorriso, forse appoggiata sul tavolo c’è una pallina. La verità che in finale ci arrivano ed è uno Slam, sono di nuovo loro e noi ci sentiamo ringiovaniti di dieci anni e vediamo un’altra partita straordinaria, un susseguirsi di colpi vincenti giocati con una facilità disarmante da entrambi. Bastino per memoria un diritto al volo di Federer nel terzo set e uno di Nadal nel quarto, che raccatta la palla quasi da sottoterra. Io non l’avrei mai creduto possibile. Federer vince al quinto set, dopo aver vinto altre due partite al quinto durante il torneo – contro Nishikori e Wawrinka – e vince contro Nadal. Never ending story. La palla vincente è un diritto di Federer – il milionesimo della carriera, o chi lo sa – finisce sulla riga, ed è bellissimo. Si dovrà aspettare l’occhio di falco, ma le espressioni di Nadal e Federer che si muovono nel campo anticipano quello che il computer dirà, che quel diritto è dentro da adesso a per tutta la vita.
Wimbledon 2017
Sono la pallina che nello spogliatoio parla con Cilic, sono quella che gli dice già da prima che non c’è niente da fare, che c’è una storia già scritta ed è l’unica che andremo a raccontare. Gli induco il panico, lo faccio entrare già sconfitto. Faccio sì che non mi veda mai, che non mi prenda, che di sfuggita guardi il segno che lascio sulle righe, che ascolti il rumore che fa il rimbalzo su ogni punto di Federer. Sono una pallina cattiva? No, sono determinata, non posso essere romantica come quelle che mi hanno preceduto, non abbiamo molto tempo a disposizione. Federer non è nemmeno sudato quando spingo il suo servizio a punto, io sono la pallina del diciannovesimo Slam, sono l’ultima, per ora.
Australian Open 2018
Sto di nuovo parlando con Cilic, forse sono addirittura la stessa pallina, sarò quella dell’ultimo Slam, ma ancora non lo so. Non lo sa Cilic, non lo sa Federer. La partita è diversa da Wimbledon dell’anno scorso e noi palline ce la godiamo. Nel secondo set, vinto poi da Cilic, voliamo altissime su due suoi smash e non ci crediamo quando Federer – letteralmente in volo – li prende entrambi, pare quasi che arrivi con la racchetta al punto più alto delle tribune. Siamo state privilegiate, abbiamo visto Roger volare. La partita è bellissima e si viaggia fino al quinto set, Cilic ha dato tutto, Federer invece pare farsi sempre più leggero, è senza peso, la faccia si distende e allarga le braccia quando il suo avversario spedisce in rete una risposta di rovescio. È finita, sono davvero io l’ultima pallina dell’ultimo Slam vinto da Roger Federer.
John McPhee scrive di Graebner che riferendosi ad Ashe disse: «Quando comincia a chiudere gli occhi non sai mai cosa tirerà fuori». Federer non ha mai chiuso gli occhi, ha cambiato espressione solo a fine partita, eppure ogni avversario ha saputo di giocare contro lo straordinario. Ogni avversario non ha capito e mai capirà, nemmeno a posteriori «cosa tirerà fuori». Abbiamo visto giocare Federer per più di vent’anni, eppure non sapremmo dire quale sia stato il suo colpo più bello, quello impossibile. Sappiamo invece che ha portato la bellezza alla portata del nostro occhio, abbiamo visto palline compiere traiettorie impensabili, lo abbiamo visto rimanere sospeso in aria un attimo in più prima di colpire, arrivare in punti del campo che nemmeno le telecamere credevamo coprissero. Lo abbiamo visto galleggiare, sospeso a qualche centimetro da terra, che le sue scarpe pareva non toccassero. Abbiamo visto la racchetta diventare estensione del braccio, abbiamo visto il suo diritto che, fatte le debite proporzioni, vale un Van Gogh. Abbiamo aspettato che accadesse ed è accaduto.