La nuova Atalanta è più noiosa e più vincente?

Il ciclo di Gasperini sembrava finito, e invece i bergamaschi stanno andando fortissimo: è merito di un approccio più difensivo rispetto al passato?

Atalanta-Fiorentina non è stata una bella partita, almeno non nel senso più comune del termine. O forse semplicemente non è stata come ce la aspettavamo: era una delle sfide più interessanti in calendario lo scorso weekend, speravamo di accendere la tv e di vedere ritmi alti, occasioni a ripetizione, magari più gol da entrambe le parti. Invece l’Atalanta ha vinto 1-0 al termine di novanta minuti in cui ha creato solo qualche occasione in più rispetto alla Fiorentina, in cui ha dovuto controllare un attacco avversario piuttosto spento. Alla squadra di Gasperini, per riuscirci, è bastato tenere un baricentro piuttosto basso rispetto ai suoi standard – a 49,4 metri – e un possesso palla davvero ridotto, appena superiore al 37%. Insomma, per dirla brutalmente: i nerazzurri hanno fatto il minimo indispensabile, ovvero hanno segnato un gol e poi si sono difesi bene, concedendo pochissimo. Anzi: quasi nulla. In questo modo, hanno compiuto una missione che non era mai stata portata a termine dal club bergamasco a questo punto della stagione: tenersi il primo posto in classifica, seppur in coabitazione con il Napoli.

È curioso che il miglior allenatore della storia dell’Atalanta stia ottenendo dei risultati senza precedenti facendo esattamente l’opposto di quel che ha fatto fin da quando è arrivato a Bergamo. In questo inizio di stagione la squadra di Gasperini sta tenendo un atteggiamento tattico molto diverso rispetto al passato: continua a manifestare una certa predilezione per gli uno contro uno difesivi, ma non è più disposta a concedere ampi spazi e parità numerica quando si tratta di scappare all’indietro a protezione della porta. Il pressing altissimo e vorace che aveva portato l’Atalanta a risultati incredibili, fino a sognare e sfiorare una semifinale di Champions League, è stato rimpiazzato – non del tutto, ma per buona parte delle partite – da un blocco basso che crea un imbuto davanti alla trequarti nerazzurra. C’è un’inversione chiara, un capovolgimento: adesso è la manovra avversaria a raggiungere i difensori di Gasperini, mentre prima avveniva l’esatto opposto, con Toloi, Palomino, Djimsiti e tutti gli altri che sembravano andare a caccia della preda designata in qualunque territorio. Questa mutazione si intuisce e si comprende meglio, come succede da anni con Gasperini, guardando gli esterni a tutta fascia, che spesso sono anche dei terzini di una difesa a quattro: negli anni passati Gosens, Hateboer e i loro epigoni erano costantemente presenti in area avversaria, oggi invece i vari Soppy, Maehle e gli altri fanno un lavoro sorprendentemente conservativo e diligente.

Fino a poco tempo fa ci si divertiva di più con l’Atalanta, il Gewiss Stadium era il parco giochi della Serie A, quella di Gasperini era la squadra che si faceva guardare più di tutte da uno spettatore neutrale, visto che le sue partite erano sempre piene di eventi significativi e di giocate rischiose e ambiziose, in attacco o in difesa. Ora non è più così: da agosto i rischi si sono ridotti parecchio, lo dimostra il fatto che l’Atalanta è la squadra che ha subito meno gol in Serie A, solamente tre, e non è mai andata in svantaggio, nemmeno una volta. Con questo nuovo approccio, non c’è nemmeno bisogno di chiedere ai singoli prestazioni fenomenali, al di sopra dei loro standard, per battere gli avversari. «Non stanno superando loro stessi, ma da otto partite nella nuova stagione di Serie A, nessuno li ha ancora superati», ha sintetizzato benissimo Nicky Bandini sul Guardian.

L’Atalanta 2022/23 è una squadra nuova, con forme nuove, che ha bisogno quindi di abiti nuovi. Non c’entrano il calciomercato e la politica di reclutamento del club: quel cambiamento c’è già stato qualche anno fa, e la rosa attuale è figlia di quelle strategie di mercato. Gli ottimi risultati dei primi anni di Gasperini hanno imposto un livello piuttosto elevato di rendimento e di ambizioni, costringendo la dirigenza ad accontentare l’allenatore con un mercato che guarda soprattutto all’estero per giocatori già pronti, dotati di grande fisicità e dinamismo, caratteristiche che non è possibile produrre in serie nell’ambito di un settore giovanile, anno dopo anno. È difficile pensare che il vivaio di un singolo club possa portare in prima squadra due o tre calciatori a stagione con i piedi e l’intelligenza di Malinovskyi, Koopmeiners, Maehle, con la struttura muscolare di Demiral e Djimsiti, o con le letture tattiche e la duttilità di De Roon e Pasalic.

Un po’ di gol segnati dall’Atalanta in questo grande avvio di stagione

L’anno scorso però qualcosa si era inceppato. A partire dall’attacco. L’ottavo posto in classifica, con soli 65 gol segnati, sembrava aver segnato la fine di un’era, la chiusura di un ciclo straordinario e irripetibile. In estate l’unica soluzione possibile sembrava una rivoluzione totale che partisse da un cambio di allenatore, quindi di impianto tattico, per decretare l’inizio del primo vero ciclo della nuova proprietà americana. Invece la chiave era nascosta tra le pieghe di un cambiamento meno vistoso, per certi versi più semplice, di una trasformazione che sarebbe dovuta partire dal campo, quindi dall’uomo che ha il potere di decidere il volto e la fisionomia dell’undici titolare settimana dopo settimana. In estate Gasperini ha trovato in rosa quattro nuovi giocatori, Hojlund e Lookman in attacco, poi Éderson e Soppy: tutti giovani, tutti atletici, rapidi e fisici nel senso più ampio del termine. Innesti che però non possono bastare a garantire il controllo degli spazi e del pallone in maniera proattiva in un gioco di transizioni continue – positive e negative – come ha fatto l’Atalanta negli ultimi anni, non bastano per dominare il gioco e inclinare il piano della partita nella direzione voluta, o almeno non contro tutti gli avversari, soprattutto nel contesto di una Serie A sempre molto varia dal punto di vista tattico.

La verità è che Gasperini, rispetto ai suoi anni migliori, ha perso soprattutto i talenti visionari di Gómez e Ilicic. Senza i suoi hub creativi, due elementi insostituibili per qualità e personalità, l’Atalanta deve necessariamente accettare una dose di reattività che prima poteva scansare grazie alle letture dei suoi due giocatori migliori. Di quelli che, pur non avendo la stessa capacità di corsa degli altri giocatori in rosa, facevano correre la palla e i compagni più e meglio di tutti gli altri. Soprattutto il vuoto lasciato dal Papu sembrava incolmabile a livello individuale: nelle ultime stagioni a Bergamo il fantasista argentino era diventato sempre più centrale, un giocatore trasversale che connetteva tutti gli elementi dell’undici di Gasperini, un moltiplicatore di forze la cui assenza ha svelato i limiti tecnici della rosa. Lo stesso Gasperini ha fatto capire più volte in conferenza stampa di essere stato quasi costretto a questa trasformazione per mettere più a loro agio i nuovi arrivati.

Lo scorso aprile ci chiedevamo se fosse possibile riaprire il ciclo dell’Atalanta. Dell’Atalanta di Gasperini, l’allenatore che a un certo punto è sembrato – e forse è stato – vicinissimo all’addio, e che invece è diventato l’anello di congiunzione tra il recente passato e il presente inedito della squadra e della società nerazzurra. La dirigenza è cambiata ai piani più alti, sono entrati nuovi investitori, un nuovo stile, un nuovo disegno manageriale; la rosa è stata ristrutturata e rimodellata. L’allenatore è rimasto il punto fisso. Lo dimostra su tutto un dato significativo: Gasperini ha impiegato dal primo minuto 18 giocatori diversi su 21 componenti della prima squadra. Proprio lui che prima di fidarsi di un giocatore doveva testarne con una prova inconfutabile l’affidabilità a certi dettami, sembra aver accettato che questa squadra, questa nuova Atalanta, ha forme diverse, quindi ha bisogno di un vestito nuovo per conservare le sue ambizioni e continuare a fare risultati.