Perché il Chelsea ha distrutto il calciomercato?

I Blues stanno facendo tanti acquisti ricchissimi, ma anche privi di qualsiasi logica.

È evidente come al Chelsea non sappiano cosa sia la sovrabbondanza, di sicuro non la considerano un problema. Ieri sera il club ha confermato l’acquisto di Noni Madueke dal Psv Eindhoven per 30 milioni di euro, l’ennesimo esterno offensivo in una squadra che sembra comprare giocatori prima ancora di pensare come e dove farli giocare. I Blues hanno speso più di 400 milioni di euro tra la sessione estiva e l’inizio di gennaio e non hanno ancora finito. Nelle ricostruzioni dei giornalisti esperti di mercato, l’elenco degli obiettivi della squadra londinese sembra una lista di nomi pescati a caso da un cappello con dentro tantissimi bigliettini: ci sono Denzel Dumfries e Marcus Thuram, Leandro Trossard e il giovanissimo Gianluca Prestianni, talento classe 2006 del Velez seguito da tutte le grandi d’Europa.

Di certo stiamo parlando di un club che non ha problemi di liquidità, uno dei più ricchi del mondo, di una società che ha una nuova proprietà alle spalle e l’angoscia di dover risollevare una stagione fin qui nefasta. L’enorme flusso di notizie e rumors sul calciomercato fa parte del gioco. Solo che sembra impossibile individuare una strategia sensata dietro le manovre – quelle già fatte e quelle solo vociferate – del Chelsea: più che la programmazione di un club strutturato e ambizioso sembra il caos scatenato da chi ha schiacciato il panic button con il palmo della mano, facendo scattare l’allarme in tutte le stanze.

Quando lo scorso maggio l’imprenditore statunitense Todd Boehly ha preso il controllo delle operazioni al posto di Roman Abramovich, anche se in realtà da anni il Chelsea era nelle mani di Marina Granovskaia, tutti avevano grandi aspettative: la società aveva bisogno di un rinnovamento, di trovare nuovi stimoli e un’organizzazione nuova. Per questo ha assunto Christopher Vivell, ex Red Bull Lipsia, come direttore tecnico, Joe Shields, ex Southampton, nel ruolo co-direttore del reclutamento e Laurence Stewart come direttore sportivo. Poco dopo ha scelto di allargare lo staff dirigenziale pescando dal modello funzionante del Brighton (uno dei club inglesi cresciuti di più negli ultimi anni): da lì sono arrivati Paul Winstanley come direttore dell’area scouting, Kyle Macaulay per l’analisi dei dati e ovviamente Graham Potter nel ruolo di capo allenatore. Insomma, la nuova proprietà aveva tracciato un percorso che in altri contesti ha funzionato benissimo.

Allo stesso tempo, però, l’ultimo anello della catena, cioè la squadra, è sembrato il più debole di tutti. A metà stagione il Chelsea è decimo in Premier League, con 28 punti in 19 partite e appena 22 gol fatti, e fuori da entrambe le coppe nazionali – per fortuna la Champions League riprende solo a metà febbraio. Così mentre il club si sta dando una nuova organizzazione interna, i risultati sul campo hanno spinto Boehly a mettere tutte le fiches sul tavolo in una sequenza di acquisti apparentemente privi di logica, in cui ogni nuova operazione si sovrappone a quella precedente, come se volesse – o dovesse – sconfessarla. Per esempio: la scorsa estate i Blues hanno acquistato Raheem Sterling per 56 milioni di euro, un giocatore ormai distante dal suo prime tecnico e atletico, ma comunque il miglior marcatore della rosa fin qui – con soli sei gol, e anche questo è un dato che fa riflettere. A inizio gennaio però hanno bussato alla porta dell’Atlético Madrid per il prestito Joao Felix in cambio di 11 milioni, una settimana dopo hanno annunciato l’arrivo di Mykhaylo Mudryk dallo Shakhtar per 100 milioni. Tutto questo dopo aver prenotato dal Lipsia Christopher Nkunku, che arriverà a Londra la prossima estate in cambio di 66 milioni. Giocatori certamente diversi, ma tutti talenti offensivi abituati a partire dalla fascia sinistra per correre verso il centro del campo e puntare la porta. In difesa è successo più o meno lo stesso con Kalidou Koulibaly e Benoît Badiashile: il primo è arrivato dal Napoli l’estate scorsa per sostituire Antonio Rudiger, ma potrebbe aver già perso il posto dopo l’arrivo del secondo dal Monaco, in cambio di una quarantina di milioni.

È vero che la squadra costruita in estate doveva essere di e per Thomas Tuchel, e che l’arrivo di Potter ha cambiato inevitabilmente gerarchie e priorità all’interno della rosa. Ma resettare tutto in sei mesi è un evidente azzardo. Vorrebbe dire che il progetto messo su in estate, con oltre 250 milioni di euro investiti negli acquisti, valeva solo per l’allenatore tedesco, non per il resto del club: significherebbe ammettere che la rosa del Chelsea valesse valore solo in funzione dell’allenatore precedente, e che una volta esonerato Tuchel si doveva tornare al punto di partenza. Il punto è che oggi – anzi: fin da quando è arrivato a Stamford Bridge, in pratica – Graham Potter sembra sempre a un passo dall’esonero, eppure il club immagina un percorso di crescita a lungo termine simile a quello iniziato dall’Arsenal a dicembre 2019 con Mikel Arteta. Un paragone che oggi sembra impossibile: all’allenatore basco è stato dato tempo, margine d’errore, possibilità di sperimentare, e i risultati che stiamo vedendo ora – Gunners primi in Premier League – arrivano a tre anni dalla nomina. Anzi: sono addirittura in anticipo sulla tabella di marcia. Al contrario, il Chelsea sembra guidato da una frenesia cieca, in cui ogni decisione è destinata a durare solo fin quando non arriva qualcuno a dire l’esatto opposto, restituendo la sensazione di una dirigenza che procede a tentoni.

«Non ci sono soluzioni rapide nel calcio ai massimi livelli». Prima di Capodanno, Jonathan Wilson aveva spiegato con queste parole, sul Guardian, perché il Chelsea non può prendere scorciatoie né farsi illusioni. Per tornare a competere con le migliori squadre d’Inghilterra e d’Europa servirà tempo e Boehly non può pensare di per risolvere i problemi di un grande club passando solo dal calciomercato. Quella è una convinzione démodé: il calcio degli ultimi anni ci ha insegnato che non si arriva al vertice senza una crescita graduale o comunque organizzata, strutturata, armonica, mentre il Chelsea sembra regredito ai primi anni Duemila, all’inizio dell’era Abramovich, quando nel giro di due estati comprava Crespo, Mutu, Verón, Makelele, Duff, Wayne Bridge, Joe Cole, Drogba, Kezman, Ricardo Carvalho e Robben per farli giocare tutti nella stessa squadra. È anche il modello dei Galácticos del Real Madrid che impilava grandi nomi su grandi nomi senza troppa attenzione alle reali necessità della rosa. Un modello che oggi non esiste più perché in passato già troppe volte ha raccolto meno del previsto.

Wesley Fofana è l’acquisto più costoso fatto dal Chelsea tra la sessione estiva e quella invernale: per rilevare il suo cartellino dal Leicester, i Blues hanno investito 80,4 milioni di euro (Mike Hewitt/Getty Images)

C’è un dettaglio che lascia immaginare che questa possa essere l’ultima sessione di mercato poco assennata per i Blues. È la durata dei nuovi contratti, unita all’età molto bassa di alcuni giocatori. Badiashile ha firmato un accordo che scade a giugno 2030, quindi dura sei anni e mezzo, e si aggiunge ad altri sette giocatori in rosa con oltre cinque anni di contratto – Cucurella, Chalobah, James, Broja, Slonina e Chukwuemeka, tutti legati al Chelsea fino al 2028 e Fofana fino al 2029 – in un mondo in cui la durata standard dei contratti è di quattro o cinque anni. Una politica di reclutamento e di gestione della forza lavoro che Todd Boehly – già socio dei Los Angeles Dodgers – ha importato dal baseball, dove alcuni giocatori si legano alle franchigie anche per dieci, undici, dodici anni. Accordi così lunghi garantiscono ai giocatori uno stipendio per buona parte dei loro anni da professionisti, ma gli impediscono di monetizzare al massimo in caso di miglioramenti evidenti di prestazioni e status. Il club invece si assicura le prestazioni di un giocatore più a lungo, ma accetta il rischio di dover rispettare gli oneri anche nel caso in cui le cose vadano male – l’inizio di Cucurella, per esempio, non promette benissimo. Un rischio che il Chelsea può assorbire senza alcun problema: ha la disponibilità economica per sbagliare un investimento, pagare uno stipendio “a vuoto”, fare una spesa oggi e rischiare di doverla rifare domani per riparare l’errore. Come è successo, per esempio, con Romelu Lukaku.

È l’ennesimo capitolo della storia che sta scrivendo la Premier League in questi anni Venti: una lega bulimica, capace di dominare ma anche di gonfiare il calciomercato mondiale. Secondo l’ultima rilevazione della Deloitte Football Money League – diffusa proprio ieri – i club di Premier rappresentano per la prima volta più della metà della Top-20 (11 su 20) dei club più ricchi del mondo. La distanza tra i ricavi aggregati del calcio inglese e quelli delle altre leghe europee ha spaccato il mercato, rendendo la Premier League un tritacarne di talento in cui ogni squadra può comprare-provare-scartare i giocatori senza preoccuparsi dell’economia, tanto quella gira sempre e porta sempre nuove risorse. In questa Super Lega che però non si chiama Super Lega la concorrenza è spietata, il livello è altissimo, e tutti possono assemblare in pochissimo tempo formazioni piene di talento. Alla fine però i risultati premiano solo chi ha la pazienza, la capacità, la bravura di progettare il presente e il futuro meglio degli altri.