È l’alba di un nuovo grande Barcellona?

La squadra di Xavi sta dominando la Liga, ma forse non è tutto oro ciò che luccica.

Un rinvio così così di Pepe Reina, il possesso recuperato nella metà campo avversaria, una triangolazione tra Pedri e Lewandowski, un tocco docile al pallone per andare in vantaggio. In fondo è stato piuttosto semplice, per il Barcellona, sbloccare l’ultimo posticipo serale di Liga contro il Villarreal. Il gol è arrivato al 18esimo minuto, poi un po’ di occasioni sprecate da una parte e dall’altra, ma tanto è bastato ai blaugrana per tornare in Catalogna con i tre punti, per andare a +11 sul Real Madrid e per avvicinare un po’ di più la vittoria del campionato – anche se in realtà manca ancora parecchio alla fine. È la sesta vittoria di fila, l’undicesima considerando tutte le competizioni, la 18esima in Liga su 21 gare giocate. Il Barcellona sembra di nuovo, dopo tanto tempo, quella squadra a cui riesce tutto fin troppo facile, che in campo è leggero come se giocasse sui pattini e tratta la palla come un oggetto prezioso. Era un po’ che non tirava quest’aria, nel mondo culé.

A pensarci bene, la squadra costruita in estate è una brillante joint venture di veterani e giovani promesse. È il Barça dei Lewandowski e dei Pedri, dei Busquets e dei Gavi, in cui anche i giocatori con un ruolo minore – Kessié, Marcos Alonso, Ferran Torres – riescono a brillare. I valori individuali già molto alti, potenziati da un mercato da quasi 160 milioni di euro, hanno trovato un potentissimo fertilizzante nel lavoro di costruzione tattica – il sistema mutuato dal juego de posición catalano, aggiornato per renderlo più veloce e verticale, un po’ come aveva fatto Luis Enrique a suo tempo – che Xavi porta avanti ormai da più di un anno: a questo punto della stagione il Barça sembra camminare sull’acqua, vince praticamente ogni partita, a volte con l’essenzialità di chi ha inserito il pilota automatico e si gode il viaggio. Sembra lontanissimo lo scorso autunno, quando il Barcellona si fermava puntualmente di fronte ad avversari di pari livello tecnico, contro il Real Madrid nel Clasico, contro Inter e Bayern Monaco nel girone di Champions. Quella squadra è già maturata moltissimo, è decisamente più consapevole del proprio potenziale e forse anche dei suoi limiti. Neanche il Real Madrid – che per ovvi motivi è l’unica rivale credibile per il titolo – riesce a tenere il passo, non potendo contare su una rosa così lunga, così completa, così ben amalgamata.

Nessuna esagerazione: una decina di giorni fa il Siviglia ha resistito un’oretta scarsa contro i catalani, poi dalla panchina è uscito Kessié, ha fatto uno di quegli inserimenti che gli pagano lo stipendio, allora si è travestito da Laudrup o Iniesta per fare una cosa in più e ha inventato l’assist per mandare in porta Jordi Alba. Da lì è stata tutta discesa: 3-0, altri tre punti portati a casa da Xavi e i suoi ragazzi. Il manifesto di una squadra apparentemente imbattibile sui 90 minuti, almeno in Spagna.

Nella Liga decadente di questi anni non ci sono molti avversari in grado di fermare un Barcellona in cui anche chi non parte titolare può pescare dal cilindro la giocata decisiva. Il campionato che per un decennio, grazie alla classe media, è stato un laboratorio tattico d’eccezione – l’Athletic Club di Bielsa, il Betis di Quique Setién, il Celta Vigo di Luis Enrique – oggi fa fatica a produrre contenuti di livello abbastanza alto da rivaleggiare con i blaugrana. E con il Real Madrid. È un campionato avvolto in un’apatia stanca, lenta, senza picchi. Si segna molto poco, meno che in tutti gli altri grandi campionati europei, e si gioca a ritmi più bassi che mai mentre il calcio di questi anni sembra voler solo andare più veloce. Il ritorno delle coppe europee è una buona occasione per ricordarsi che, per la prima volta in più di vent’anni, la Liga ha una sola rappresentante oltre i gironi di Champions League.

Il punto più alto della stagione del Barcellona fin qui è la vittoria in Supercoppa di Spagna a Riyad, contro il Real Madrid, lo scorso 16 gennaio. Un 3-1 che avrebbe potuto essere anche più largo, in una partita senza storia, già diventata più importante del trofeo stesso. Per Xavi e la sua squadra è fondamentale vincere trofei – la Supercoppa, ma soprattutto la Liga e l’Europa League – per «riportare stabilità al club», come scriveva Espn a dicembre. C’è un carico di pressione maggiore del solito dopo un’estate di spese e investimenti: vincere serve anche per far dimenticare a tutti che oltre a essere primo con distacco in Liga, il Barcellona l’estate scorsa aveva voluto vincere a tutti i costi il premio di squadra più antipatica del mondo, in una corsa in cui viaggiava sulla sua monoposto scintillante e tutti gli altri andavano a piedi.

Da quando è arrivato sulla panchina del Barcellona, Xavi ha accumulato uno score di 42 vittorie, 12 pareggi e 11 sconfitte in 65 gare ufficiali di tutte le competizioni (Alex Caparros/Getty Images)

«Eravamo clinicamente morti, ora siamo in terapia intensiva». Joan Laporta ad agosto vedeva il Barcellona in quello stato di transizione in cui bisogna curare perfettamente ogni operazione per venire fuori dalla fase critica e tornare alla normalità. Ma l’idea di uscire dalla terapia intensiva con un periodo di austerity e controllo dei costi non avrebbe prodotto risultati, non quelli che richiede il Barcellona, non nell’immediato. Quindi la strada alternativa: «Se ci viene permesso di attivare le leve, passeremo dalla terapia intensiva al reparto e vivremo una vita normale. Competeremo contro i club di stato. Risolveremo i nostri problemi da soli, perché siamo diversi». Le leve sono gli asset che la società ha venduto per far quadrare i conti: il 25% dei diritti televisivi per 25 anni per circa 530 milioni, il 49% dei Barça Studios per 200 milioni (il 24,5% a Socios.com per 100 mln e il 24,5% per 100 mln a Orpheus Media), il 49% della BLM, la società controllata che si occupa del marketing della squadra, per una cifra tra i 200 e i 300 milioni.

La strategia è semplice: il Barcellona ha venduto quote di ricavi futuri in cambio circa 800 milioni da spendere subito. Ma in un’industria in cui i soldi, per chi è in cima alla piramide, ci saranno sempre – almeno secondo la dirigenza del Barça, nella realtà chi lo sa – il club ha solo fatto delle operazioni per avere liquidità subito e risalire la china. È una scommessa, un azzardo della società che si riflette sul nuovo corso della squadra affidata a Xavi. Il lungo romanzo del rinnovo del contratto di Gavi, firmato solo negli ultimi giorni, è la spia che riporta l’attenzione sui conti di un club costantemente in conflitto con lo stato maggiore della Liga. Ancora adesso le regole del campionato spagnolo chiedono ai blaugrana di tagliare ancora il suo monte stipendi e molte operazioni non possono essere concluse. Infatti la dirigenza ha dovuto rinunciare ai rinnovi di Araujo e Marcos Alonso per questa stagione: problema rinviato all’estate prossima, concordato però a strette di mano con i giocatori stessi per evitare sorprese.

In questo contesto le vittorie sul campo del Barcellona servono anche a ovattare tutto il resto. Il rendimento della squadra, lo sviluppo dei giovani, l’integrazione di tutti gli elementi della rosa, fanno parte di un esercizio di equilibrio delicato e ancora non risolto. Il cartellone della partita di stasera contro il Manchester United – partita da vedere assolutamente, per il momento delle due squadre, per gli allenatori, per l’enorme mole di talento in campo – ha un valore quasi simbolico, rappresentativo di questa fase: oggi il Barça sembra legittimamente una delle squadre più forti d’Europa, torna in campo internazionale con una partita che un decennio fa è stata, due volte in tre anni tra il 2009 e il 2011 la più importante dell’anno, ovvero la finale della Champions League, ospitando al Camp Nou una rappresentante della nobiltà britannica. Ma in fondo è solo uno spareggio di Europa League. Partecipa chi non ce l’ha fatta al piano di sopra. E un motivo ci sarà.