Il calcio italiano ha fatto un errore a lasciarsi sfuggire De Zerbi?

Il suo Brighton, in poche settimane di lavoro, è diventato una delle squadre più brillanti della Premier League.

«Io in una big? Non lo so, è difficile dire e stabilire quando si è pronti, penso che se ci sono le condizioni, ovvero giocatori di livello e autonomia completa, allora sì. Diversamente penso di non essere pronto neanche per una squadra di livello inferiore al Sassuolo. In questo lavoro devi sentirti pronto e deve piacerti: fare l’allenatore è così stressante che, se non mi divertissi, sarebbe davvero troppo pesante». Roberto De Zerbi pronunciò queste parole il 27 marzo 2021, nel corso della sua diretta con la Bobo TV. In quel momento la sua carriera da allenatore era in una fase di stallo, o comunque era arrivata a un punto in cui decidere cosa fare e dove andare era una questione che prescindeva dal suo valore: se da un lato, infatti, era apparso chiaro anche a lui che il suo ciclo al Sassuolo si fosse esaurito, dall’altro immaginare che fosse pronto per il grande salto, cioè per la panchina di una grande squadra italiana o straniera, non era così scontato o naturale come ci si sarebbe potuto aspettare dopo un triennio passato a mostrare una delle proposte calcistiche più interessanti e innovative d’Italia.

La ragione era da ricercarsi nella divisività di De Zerbi, nella percezione che abbiamo di lui come tecnico poco avvezzo a scendere a compromessi con la realtà che lo circonda, un’inclinazione necessaria per sopravvivere al confronto con giocatori di alto livello in ambienti che generano grandi pressioni – tutte cose che finiscono spesso per cambiare le idee e le convinzioni degli allenatori, anche di quelli più manichei. Da questo punto di vista, gli analisti più critici nei confronti di De Zerbi hanno ritrovato un riscontro significativo poche settimane dopo il suo arrivo al Brighton, lo scorso 13 gennaio, quando si è diffusa la notizia che Leandro Trossard, l’uomo della storica tripletta al Liverpool nel giorno della sua prima panchina in Premier League, il volto del Brighton che si stava ponendo come un’alternativa reale e credibile alle big six della Premier League, era stato messo fuori squadra. Il motivo? «È svogliato e non può permetterselo perché con me si deve lavorare duro. Prima della partita di FA Cup contro il Middlesbrough gli ho comunicato che non sarebbe stato impiegato e lui se n’è andato via senza dire niente. Non si fa così. Leandro deve capire che non siamo né il Real Madrid, né il Barcellona. Qui occorre gente che dia l’anima», spiegò De Zerbi in conferenza stampa, forzando di fatto i tempi di una cessione all’Arsenal da cui il Brighton ha ricavato certamente meno di quanto avrebbe potuto e dovuto.

In fondo, anche la stessa scelta di accettare la panchina dei Seagulls – e prima ancora quella dello Shaktar Donetsk – sembrava confermare l’idea che De Zerbi che non fosse ancora il profilo adatto a una squadra in cui il ruolo e il peso specifico dei giocatori prevalesse su quello dell’allenatore, soprattutto se inteso come artefice e creatore di una profonda identità di gioco collettiva. In questo modo, l’ex tecnico del Sassuolo aveva alimentato la sua lontananza e quindi la contrapposizione tra la sua figura e quelle di Allegri, Mourinho, Conte, Ancelotti, i principali riferimenti “italiani” quando si parla dell’allenatore da grande squadra, un profilo ideale che sia cinico, pragmatico, concreto, risultatista, un gestore di uomini e situazioni dentro e fuori dal campo, che costruisce il rapporto con i giocatori sul proprio status di vincente prima ancora che sul lavoro quotidiano. Si tratta, però, di un’immagine stereotipata, di una semplificazione narrativa uguale e contraria a quella del “De Zerbi ball”, qualcosa che tende a svilire il ruolo stesso dell’allenatore di e da big nel calcio contemporaneo. A sottolinearlo fu proprio Massimiliano Allegri, uno che era ed è filosoficamente agli antipodi di De Zerbi per visione ed approccio al gioco: nella prima conferenza stampa del suo secondo mandato alla Juve, Allegri spiegò che tra i suoi compiti c’era anche quello di «creare valore» dal punto di vista economico ma anche tecnico, cioè di metterli nelle condizioni di esprimersi al meglio individualmente per poi riuscire ad avere impatto anche nel collettivo.

Guardandolo da questa prospettiva, De Zerbi al Brighton è già un allenatore da grande squadra. Anche perché il Brighton, in Premier League, gli ha offerto la possibilità di confrontarsi in un contesto con enormi valori, medi e particolari. Lo pensa anche lo stesso De Zerbi: «Per me questa è una grande sfida, sono nel campionato più importante del mondo e per me è motivo di orgoglio essere in un club giovane, serio e con le idee chiare, in una squadra già collaudata e che sta andando bene» spiegò quando fu presentato al mondo come sostituto di Graham Potter. Al di là di questo, però, il campo e la classifica parlano chiaro: dopo un inizio piuttosto complesso dal punto di vista dei risultati – due punti nelle prime cinque partite, con Liverpool, Tottenham e Manchester City affrontate nello spazio di venti giorni – in questi mesi il lavoro di De Zerbi si è perciò focalizzato sulla ricerca di un punto di incontro tra i suoi principi e le caratteristiche dei giocatori a sua disposizione, cercando di erodere il meno possibile quello che Potter aveva lasciato in eredità. Non a caso una delle sue prime dichiarazioni riguardò proprio la necessità di aggiungere un tocco personale a qualcosa che funzionava già, per farlo funzionare meglio e non certo per ribadire una propria – presunta – superiorità culturale: «Abbiamo tanti giocatori forti. Ho visto tante partite della Premier ultimamente e ho studiato singolarmente ogni giocatore: la squadra in campo sa cosa fare, ha uno stile ben chiaro, ma credo che la perfezione non esista e che ci sia sempre qualcosa da migliorare».

Su YouTube iniziano a circolare i primi video sul Brighton di De Zerbi. Questo, per esempio, si chiama “Beautiful De Zerbi Football”.

In questo senso, dopo un necessario e naturale periodo di assestamento, il cambiamento più invasivo è stato il passaggio alla difesa a quattro e la promozione a titolare di Levi Colwill, talentuoso centrale mancino che permette una prima costruzione più fluida e coerente con l’idea di De Zerbi di guadagnare metri di campo in verticale dopo aver attirato la pressione avversaria con un possesso palla prolungato all’interno della propria trequarti difensiva. L’infortunio che Colwill ha subìto ad inizio gennaio e il ritorno in pianta stabile di Adam Webster hanno poi convinto De Zerbi a ricercare l’ampiezza con maggior insistenza, sfruttando soprattutto la catena di sinistra composta da Pervis Estupiñán e Kaoru Mitoma; il primo è un terzino dalla dimensione fisica fuori scala, perfettamente a suo agio nell’attacco della profondità con e senza palla, sfruttando gli spazi che il secondo gli apre entrando dentro il campo grazie al suo dribbling per il quale sembrano non esistere al momento contromisure adeguate.

Il lato destro è quello sui normalmente il Brighton consolida il possesso quando affronta difese organizzate per blocchi bassi, eppure non sono rare le fasi di partita in cui i Seagulls spingono con più decisione da quella parte, soprattutto se la scelta degli avversari è quella di raddoppiare Mitoma e di togliere la profondità a Estupiñán; il giocatore chiave, in questo caso, diventa Pascal Groß, centrocampista che De Zerbi tende a utilizzare come esterno basso che entra dentro il campo e che fornisce un’ulteriore soluzione per quanto riguarda la fase di costruzione e rifinitura – al di là dei sette gol stagionali, il contributo più significativo del calciatore tedesco riguarda, infatti, gli assist (tre) e il numero di passaggi chiave (due di media a partita su quasi 50 tocchi effettuati). A centrocampo Caicedo e Mac Allister – talvolta utilizzato come trequartista ibrido quando De Zerbi decide di rinunciare ad Adam Lallana – sono gli inamovibili del 4-2-3-1, gli autentici equilibratori del sistema, i giocatori che permettono un’efficace fase di riaggressione nella metà campo offensiva. In avanti Danny Wellbeck è diventato un efficacissimo centravanti tattico, perfettamente a suo agio nel ruolo di “calamita” per i centrali avversari, ma i veri uomini simbolo sono i due esterni offensivi schierati a piede invertito: il già citato Mitoma e Solly March. Il giapponese è il problem solver della squadra, il giocatore da cui andare per spazzare il raddoppio; March è il suo perfetto contrappeso tattico, un un giocatore molto più lineare e con molti meno picchi all’interno della stessa partita, riscopertosi – a 29 anni e alla sua decima stagione da professionista – più decisivo che mai negli ultimi trenta metri con 5 gol e 4 assist nelle ultime nove partite, tutte disputate da titolare. Sia Mitoma che March – e i loro giovani supersub Enciso e Sarmiento – risultano ancor più letali quando possono attaccare senza palla lo spazio alle spalle di Welbeck, che supplisce con il movimento e l’applicazione a una dimensione realizzativa che non può più essere quella dei suoi anni migliori.

Il Brighton di De Zerbi, perciò, aderisce perfettamente a quell’idea – anzi: a quell’ideale – di squadra proattiva e ambiziosa che apparteneva già al suo Sassuolo. Una squadra, quindi, che a un approccio prudente e conservativo oppone sempre l’intenzione di controllare pallone e situazioni, che ama rischiare anche in fase di non possesso, che preferisce difendersi in avanti, che si è costruita una solida credibilità attraverso il coraggio di idee e soluzioni. Il dato più interessante, però, riguarda il modo in cui oggi De Zerbi viene percepito, il cambio di paradigma che lui stesso ha imposto alla narrazione che lo riguarda, andando oltre lo stereotipo dell’allenatore idealista e testardo, disposto a morire con e per le proprie convinzioni: «L’influenza di De Zerbi non riguarda solo i risultati raggiunti ma anche il modo in cui la squadra li sta raggiungendo. Il Brighton è sempre stato in grado di giocare questo calcio, ma la novità è che ora questo calcio sta diventando la regola e non più l’eccezione» ha scritto Sky Sports, sottolineando come la vera rivoluzione di De Zerbi in Inghilterra sia stata resa possibile dal suo essersi posto in continuità con Potter, dall’accettare una base di partenza che non era gli apparteneva del tutto per trovare un punto di incontro tra le sue idee e quelle degli altri. Creando valore, cogliendo risultati – nove vittorie in 14 partite da fine ottobre ad oggi, Brighton sesto in classifica a sei punti dal quarto posto, con due gare da recuperare rispetto al Tottenham quinto e una rispetto al Newcastle quarto. E facendosi seguire da giocatori che stanno diventando grandi giocatori grazie al suo lavoro. Tutte cose che fa, appunto, un allenatore da grande squadra. Il fatto che il calcio italiano si sia fatto sfuggire un tecnico del genere, che l’abbia fatto senza dargli l’opportunità di misurarsi con una grande piazza, è evidentemente una stortura. Per non dire un errore.