Gli infiniti cross di Filip Kostic

L'esterno della Juventus ha chiaramente un'ossessione per gli assist da scodellare a centro area, direttamente dalla fascia.

Cercando tra i vari video di Filip Kostic presenti su YouTube, “The Crossing Machine” è quello che mi ha colpito di più. Per un motivo molto semplice: è uno dei pochi video su YouTube, almeno a mia memoria, che presenta una corrispondenza perfetta – o comunque letterale tra il titolo e ciò che viene effettivamente mostrato nel montaggio. Insomma, ci sono quasi cinque minuti di Kostic che crossa meccanicamente, da qualsiasi posizione e in qualsiasi modo, come se non fosse altro che il prodotto finale fatto e finito di una catena di montaggio, l’equivalente di una grande berlina tedesca compatta, squadrata, efficiente, affidabile, che porta sempre a termine il compito per cui è stata costruita. A un certo punto del video, l’esito di quei cross diventa persino irrilevante: l’effetto è ipnotico ai limiti dell’assuefazione, sullo schermo le traiettorie dei palloni calciati da Kostic finiscono per assomigliarsi tutte fino a trasformarsi nella perfetta metafora della routine quotidiana dell’essere umano, della tranquillità della ripetizione insita in quel singolo gesto destinato a diventare la comfort zone nella quale rifugiarsi quando le cose vanno male. Qualcosa di simile accadde qualche anno fa ad Antonio Candreva che, a un certo punto, sembrava quasi essere diventato lui stesso una sorta di epitome del cross, tanto che le sue partite si risolvevano in un’attesa spasmodica – a metà tra il messianico e il ridanciano – di quel singolo momento. Con tanto di numeri a supporto, se si pensa che venne calcolato che i cross dell’ex laziale in dieci anni furono quasi tremila.  

Se ne volessimo fare una questione puramente numerica, non si potrebbe dire che Kostic crossi poi così tanto, o comunque crossi così tanto in più rispetto agli altri pari ruolo nei cinque maggiori campionati europei: stando ai dati di WhoScored infatti, su quasi 28 passaggi tentati di media a partita i cross sono appena 1.6, quindi parliamo di una realtà ben lontana da quella del giocatore che sembra non poter fare altro che ci viene continuamente raccontata, anche a fronte degli 11 assist stagionali che sono arrivati quasi tutti nello stesso modo, a eccezione del tocco che ha liberato Fagioli per la rete del 2-0 all’Inter. Eppure guardare una partita di Kostic significa proprio questo, significa cioè accorgersi di lui solo nel momento di un cross per la testa o per i piedi di Vlahovic, Kean e Rabiot. Per questo, prima ancora che provare a individuare un pattern dei cross di Kostic, un elemento ricorrente in un gesto che ricorrente lo è già di suo, viene spontaneo chiedersi quante volte Kostic abbia effettivamente crossato in vita sua, quante volte abbia resistito alla tentazione di fare qualcosa di diverso anche solo per vedere l’effetto che fa, quante volte abbia pensato di ribellarsi al suo destino di giocatore monodimensionale che ha fatto di un mezzo il fine ultimo del suo gioco, al punto che finisce per crossare anche quando non vuole, come in occasione del gol di Milik contro la Fiorentina quando un tiro al volo in diagonale si trasformò nel più comodo degli assist per il centravanti polacco. 

Da questo punto di vista potremmo arrivare a definire Kostic come un’anomalia di sistema, il bug all’interno di uno sport in perenne evoluzione e che ha trasformato gli specialisti di un determinato fondamentale in role players da rotazione al servizio di quelli che sanno fare tutto e lo sanno fare bene. Allo stesso tempo, però, Kostic è anche un giocatore rassicurante nella sua linearità e prevedibilità, l’ultima madeleine del calcio anni Novanta fatto di 4-4-2 e di esterni alti schierati sul alto del piede forte, con la linea laterale a costituire il primo riferimento fisico e quella di fondo che diventava il limite oltre il quale non era possibile andare.  Dimenticate gli esterni offensivi dinamici e iper-tecnici schierati a piede invertito per poter entrare dentro il campo e fornire una soluzione in più in fase di rifinitura e per il consolidamento del possesso e tutte le altre diavolerie da laptop trainer di ultima generazione: Kostic è un figlio di quel calcio e di quell’epoca trapiantato con successo in questa, la rappresentazione plastica della nostalgia per il tornante vecchio stampo, l’ala istintiva diretta e verticale che ha trasformato la sua specializzazione da potenziale limite a chiave del suo successo, la personificazione del calcio semplice tanto caro a Massimiliano Allegri. Che, non a caso, adora Kostic: «Parliamo di un giocatore che crossa molto bene e che ha controllo di palla in uscita ottimo: è arrivato da due giorni e ha fatto avanti e indietro da Francoforte per cui devo ancora decidere cosa fare con lui», disse ad agosto prima di farlo esordire contro il Sassuolo a mezz’ora dalla fine della prima partita di campionato. Da allora l’ex Eintracht ha disputato da titolare 32 delle successive 35 gare stagionali, diventando l’insostituibile per eccellenza della Juventus 2022/23.          

Kostic riesce a essere decisivo e impattante facendo poche cose, solo che le fa a un livello tale per cui la teorica prevedibilità delle sue giocate non risulta comunque sufficiente a fermarlo o limitarlo. In questo senso è l’erede ideale di Callejon, che ha passato otto anni della sua carriera a buggerare le difese della Serie A con un taglio alle spalle della linea difensiva avversaria che tutti si aspettavano e che nessuno riusciva mai a leggere con sufficiente anticipo. Con l’esterno spagnolo, Kostic condivide la qualità nella preparazione della sua signature move, il mettersi in condizione di fare la cosa e la scelta giusta prima ancora che il pallone venga colpito: l’efficacia e l’efficienza dei suoi cross Kostic la costruisce prima, attaccando la traccia verticale che gli permetta di arrivare all’impatto con la palla alla massima velocità possibile, contando i passi per coordinarsi e puntare al meglio il piede d’appoggio, compiendo quel movimento a ricciolo necessario a colpire di prima nel giusto rapporto tra potenza e precisione. Nei cross per il gol di Bremer contro la Salernitana e di Kean contro lo Spezia, per esempio, Kostic arriva a calciare in situazione dinamica, senza che abbia dovuto costruirsi da solo i presupposti per attaccare lo spazio tra il terzino di riferimento e la linea di fondo: in entrambi i casi la sensazione è che conti mentalmente i passi prima di crossare in modo da imprimere al pallone il giro e la forza necessari per facilitare il compito dell’attaccante a centro area.

Sembra tutto facile, ma non è così

Kostic ama essere servito sulla corsa perché ama servire palloni calciati forti e a pelo d’erba, sul secondo palo o nello spazio in cui si inserisce a rimorchio la mezzala. Ma anche quando sceglie di alzare la palla il risultato non è poi tanto diverso dal punto di vista dell’utilizzatore finale, del giocatore che viene messo nella migliore condizione possibile per calciare verso la porta con un’alta probabilità di successo: nel derby contro il Torino Cuadrado si trova a chiudere una combinazione da quinto a quinto con un comodo destro di controbalzo, contro il PSG in Champions League a McKennie è bastato prendere il tempo sullo stacco per segnare un gol che era già gol nel momento in cui la traiettoria del cross di Kostic ha portato Donnarumma a schiantarsi impietosamente contro uno dei tanti blocchi portati a centro area.  

Non dobbiamo però pensare che Kostic non sia un giocatore creativo in senso stretto, che non sappia cioè essere autonomo nel crearsi le condizioni per i suoi cross brevettati. Il serbo non è particolarmente dotato nel fondamentale del dribbling, ma riesce a essere comunque molto efficace nell’uno contro uno grazie a una fisicitò – 184 cm per 82 kg – che gli permette di tenere lontano il marcatore frapponendo il corpo tra lui e la linea di percorrenza del pallone. Il fatto che Kostic tenda ad andare sempre a sinistra, sempre forzando un secondo tocco d’esterno in allungo dopo il primo controllo d’interno, non rappresenta un problema: il suo atletismo e la sua capacità di essere ben piantato sulle gambe gli permettono di conquistarsi con la forza tutte quelle situazioni di superiorità numerica e posizionale che qualsiasi altro esterno moderno cercherebbe di guadagnarsi aggirando il contatto ed entrando dentro il campo palla al piede.  

A questo, poi, va aggiunta una qualità di calcio che non ci aspetteremmo da un giocatore vecchio stampo: il piede sinistro di Kostic è una lama affilata in grado di affettare la linea avversaria con palloni che arrivano tagliati e taglienti nello spazio tra portiere e ultimo difensore, cioè la zona franca in cui nessuno dei due può intervenire senza fare danni. Lo sa bene Moise Kean, che contro l’Empoli è stato omaggiato con il più classico dei basta spingere; lo sa benissimo Angel Di María, che contro il Friburgo ha trovato un gol di quelli che Dwight Yorke e Andy Cole segnavano quasi trent’anni fa su assist di Ryan Giggs o David Beckham: 

Un gran bello stacco, certo. Ma prima c’è il cross.

C’è però un assist, quindi un cross, che più di altri definisce Kostic, che lo colloca in quella dimensione a sé stante per cui un giocatore che è davvero l’ultimo della sua specie riesce ad essere decisivo anche oggi, in un’epoca che ha già sancito da tempo l’estinzione degli esterni di un certo tipo. Parliamo, naturalmente, dell’assist a Rabiot per l’1-0 contro l’Inter che è poi anche la mia giocata preferita di Kostic per il suo essere una sorta di punto di congiunzione tra la normalità dei calciatori amatoriali e/o improvvisati e il superomismo di quelli che giocano in Serie A o in Champions League.  

Sugli sviluppi di un calcio d’angolo per l’Inter ribattuto in qualche modo dalla difesa bianconera, Kostic si trova a ricevere palla in una situazione abbastanza scomoda, cioè nella sua trequarti difensiva, con il corpo rivolto verso la sua porta e, soprattutto, con Barella che gli è letteralmente attaccato: normalmente la scelta sarebbe quella di appoggiare palla al compagno che sta arrivando in aiuto o di guadagnare un fallo che permetta alla squadra di risalire, invece Kostic riesce a girarsi e a far passare il pallone e, a quel punto, la scena diventa qualcosa di familiare, una polaroid da calciotto del lunedì sera tra amici dove a fare la differenza non sono quelli più forti ma quelli che corrono di più. E Kostic corre, eccome se corre, corre come farebbe chiunque di noi, svuotando i polmoni di ogni grammo d’aria che contengono, con il volto trasfigurato dalla fatica mentre tutti quelli intorno o ti inseguono oppure chiedono il pallone e la linea di fondo si trasforma nell’utopia di Galeano, allontanandosi di un passo ad ogni passo compiuto verso di lei, qualcosa che per gli uomini normali serve a camminare e a Kostic invece serve per crossare. Dopo 70 metri passati così, in un lasso di tempo così breve e così lungo, chiunque non vedrebbe l’ora di liberarsi del pallone, calciandolo con tutta la forza che rimane, badando più che altro a non avviare l’azione avversaria; Kostic invece no, Kostic ha la lucidità di calmare per un attimo il suo incedere, di rallentare quel tanto che basta per vedere che Rabiot sta arrivando proprio lì dove avrebbe messo comunque il pallone. E a quel punto tutto è già compiuto. Perché magari è vero che Filip Kostic sa fare solo questo, però lo sa fare meglio di tutti.

Correre a perdifiato, prima del cross