Italiano si è inventato un’altra grande Fiorentina

Vittorie in serie, valorizzazione del talento e un gioco diverso rispetto al passato: Vincenzo Italiano sta costruendo un altro piccolo capolavoro.

Il 12 febbraio Vincenzo Italiano si presenta nella sala stampa dell’Allianz Stadium scuro in volto. La sua Fiorentina si trova al 14esimo posto in classifica, non vince da un mese – 1-0 stentato al Franchi contro la disastrata Sampdoria di questa stagione – e, soprattutto, ha appena perso contro la Juventus la quarta partita nelle ultime cinque in Serie A, con l’ulteriore beffa del gol annullato nel finale a Castrovilli per un fuorigioco che va oltre il concetto di millimetrico. «Queste sono partite in cui servono più concentrazione e determinazione: è un peccato perché abbiamo fatto una buona prestazione ma ancora una volta usciamo di nuovo senza punti, e questo ci infastidisce perché sta diventando una costante» dice Italiano, quasi a voler sottolineare come il problema sia di natura emotiva prima ancora che di campo. 

Nelle successive due settimane la Fiorentina riesce a ritrovare se stessa solo in Europa – due vittorie su due contro il Braga, con sette gol fatti e due subiti – mentre in campionato non va oltre l’1-1 casalingo contro l’Empoli, una partita passata a inseguire e ripresa solo a sei minuti dalla fine grazie al colpo di testa sottomisura di Arthur Cabral: «Le abbiamo provate tutte: la doppia punta, il trequartista, i calciatori schierati a piede invertito. Il problema è che non mostriamo la concretezza e la cattiveria della grande squadra, abbiamo la capacità e la qualità per creare situazioni favorevoli ma non la ferocia che serve per indirizzarle e quindi vincere le partite», spiegherà poi Italiano. Che a tratti appare persino sconsolato, come se non avesse più soluzioni da proporre per una crisi legata non tanto o non solo ai risultati, ma alla capacità della sua squadra di leggere il momento, di reagire al singolo episodio sfavorevole all’interno di partite che risultano comunque preparate, approcciate e interpretate sempre nella maniera migliore.

Il lunedì successivo, nella trasferta di Verona, Barak, Cabral e Biraghi spezzano finalmente la maledizione, paradossalmente in una gara in cui secondo Italiano la Fiorentina ha tirato «molto meno delle ultime volte», come se lo switch mentale richiesto a livello di cattiveria e determinazione fosse avvenuto in maniera naturale, proprio nel momento in cui i giocatori avevano smesso di cercarlo ad ogni costo: «Anche i ragazzi ne parlavano nello spogliatoio, serve la concretezza per vincere le partite». La partita del Bentegodi deve essere considerata lo spartiacque della stagione viola che oggi racconta di otto vittorie nelle successive nove gare, di una semifinale di Conference League praticamente ipotecata dopo il 4-1 a Poznan contro il Lech, di una finale di Coppa Italia a un passo dopo il 2-0 in casa della Cremonese, di una classifica che dice che la zona Europa League dista solo sette punti, con una gara da recuperare. 

Verona-Fiorentina 0-3, la partita della svolta (e del gol incredibile di Biraghi)

La scorsa stagione, quando la percezione comune sulla Fiorentina e su Italiano era ancora legata alla metafora dell’uragano che si abbatte sulla Serie A e che ne sconvolge luoghi comuni e rapporti di forza, il tecnico disse che «tutta Firenze deve sperare che questa squadra rimanga tale per il resto delle gare di campionato e per il ritorno in Coppa, penso che a Firenze ci potremo togliere tante soddisfazioni. Sarà difficile perdere tante partite giocando così». Questa frase era stata pronunciata dopo una sconfitta in semifinale d’andata di Coppa Italia contro la Juventus – autogol di Venuti – eppure risulta attuale anche oggi, quando l’idea di questa Fiorentina come nuovo miracolo di Vincenzo Italiano appare connessa proprio a una continuità delle prestazioni, dei principi, del modo di intendere il calcio.

In realtà sia la squadra che l’allenatore hanno dovuto attraversare una profonda fase di transizione in cui idee e convinzioni di partenza sono state in alcuni casi riviste e adattate, in altri addirittura sconfessate o abiurate. Il cambiamento più evidente ha riguardato lo stile di gioco in fase di possesso: le cessioni di Vlahovic e Torreira, tra gennaio e giugno 2022, hanno costretto italiano a ripensare il suo sistema e a trasformare la sua Fiorentina in una squadra molto più diretta e verticale di quanto avrebbe voluto. È un dettaglio che è emerso nella prima parte di stagione e che spiega la difficoltà della rosa ad adattarsi a ciò che le circostanze avevano imposto: siccome Italiano aveva capito sin da subito che né Cabral né Jovic sarebbero stati in grado di fornire lo stesso apporto di Vlahovic – numericamente, ma anche come presenza fisica e tecnica all’interno dell’area di rigore – la scelta era stata quella di portare il maggior numero possibile di uomini nella metà campo avversaria, con un possesso divenuto nel frattempo meno ragionato e molto più vorticoso, e con la progressione dell’azione che avveniva esclusivamente attraverso le catene laterali o, comunque, attaccando immediatamente la profondità dopo il recupero palla.  

Il risultato era stato quello di trasformare la Fiorentina in una squadra più veloce ma anche più confusionaria, fin troppo dipendente dal crossing game e dalla capacità delle mezzali di attaccare le seconde palle dopo che il centrocampo era stato totalmente saltato in fase di costruzione, attraverso il lancio lungo – alla ricerca della sponda della prima punta – e il cambio campo per isolare l’esterno offensivo sul lato opposto contro il terzino avversario. A un certo punto era come se la squadra stessa risultasse spaccata in due, divisa tra la necessità per cui almeno uno tra Kouamé, Ikoné e Sottil fosse in giornata e l’irrilevanza dell’intera batteria di trequartisti e mezzali di possesso. In particolare sono stati Barak e Nico González a pagare il prezzo più alto in termini di prestazioni individuali e del loro impatto sul collettivo: il primo faticando più del dovuto a reinventarsi come giocatore tutto corse e inserimenti, il secondo vedendo di molto ridimensionata il minutaggio e la zona di influenza in fase di rifinitura, anche a causa di noiosi problemi fisici. 

Nelle prime 17 partite stagionali le vittorie sono state appena cinque. E in ben sette occasioni la squadra non è riuscita a trovare il gol, somatizzando una sterilità offensiva che in realtà prescindeva dall’efficacia di Cabral e Jovic, dall’irruenza di Ikoné, dal rendimento ondivago di Kouamé e Sottil. Il 17 ottobre la Fiorentina pareggia 1-1 con il Lecce al Via del Mare: l’ultima vittoria in campionato risale a un mese prima – curiosamente sempre contro il Verona – e nel frattempo le sconfitte contro Atalanta (1-0) e Lazio (0-4) hanno già ridimensionato, e di molto, le ambizioni di una squadra che non riesce a scegliere tra ciò che vorrebbe fare e ciò che sarebbe necessario fare. In quel momento, probabilmente il più difficile dell’annata, Italiano sparge ottimismo, si focalizza sugli sforzi del gruppo di proporre qualcosa di diverso, dice che «stiamo lavorando su quello che sappiamo di dover migliorare e presto si vedranno i frutti del nostro impegno». Cinque mesi dopo l’avversario è lo stesso, la Fiorentina no: al Franchi finisce 1-0, quarta vittoria consecutiva in campionato, arrivata al termine di una gara in cui Italiano si dice soddisfatto perché la sua squadra, per la prima volta, ha concesso poco o nulla agli avversari ed è riuscita a prevalere nonostante le difficoltà fisiche legate ai tanti impegni ravvicinati e alla condizione non ottimale di alcuni elementi chiave. 

Cosa è successo nel frattempo? Dopo la vittoria di Verona, complice il ritorno di Amrabat a un livello di forma accettabile e la crescita di Mandragora, Italiano decide di virare in pianta stabile verso quel 4-2-3-1 ibrido cha era stato già parzialmente provato a cavallo tra ottobre e novembre, nella striscia di cinque vittorie consecutive che avevano preceduto il ko di San Siro contro il Milan alla vigilia della sosta Mondiale.  Nel nuovo sistema il ruolo chiave diventa quello della mezzala destra – Barak o Bonaventura – che in fase di possesso si trasforma in una sorta di trequartista aggiunto chiamato ad agire nello spazio alle spalle della seconda linea di pressione e ad associarsi con Saponara. Che, a sua volta, parte da sinistra per poi entrare dentro il campo palla al piede, favorendo una migliore trasmissione nell’ultimo terzo e liberando spazi alle corse di Biraghi, molto più efficace se azionato in situazione dinamica.

A destra la catena formata da Dodò e Ikoné costituisce il contrappeso, anzi il complemento ideale, per una squadra che non ha rinunciato all’idea di attaccare gli spazi in verticale dopo il recupero della palla nella propria metà campo: si può dire che nelle fasi di partita in cui si cerca un vantaggio numerico e posizionale nell’attacco a difesa schierata, il possesso si consolida sul lato sinistro attraverso il triangolo Biraghi-Bonvanetura-Saponara; quando, invece, è necessario risalire il campo velocemente ripartendo dalla trequarti difensiva, la scelta è quella di orientare il possesso avversario sul lato destro in modo da dare a Ikoné e Dodò tutto lo spazio e i metri necessari a far valere la propria superiorità fisica e atletica dopo la riconquista del pallone. In questo modo, inoltre, Italiano è riuscito anche ad allungare le rotazioni, sfruttando l’impatto che Sottil e Kouamé riescono ad avere a gara in corso contro avversari stanchi e ritagliando a Nico González il ruolo di uomo ovunque del fronte offensivo, da utilizzare nello slot migliore o comunque quello richiesto di volta in volta dalla singola partita, dal falso nueve al trequartista classico all’esterno offensivo a piede invertito che taglia verso il centro palla al piede per calciare o rifinire.            

La varietà e la qualità delle soluzioni a disposizione spiega anche perché Arthur Cabral sia il centravanti perfetto per questa Fiorentina, al di là del mero dato numerico – 10 gol nel 2023, solo Osimhen ha fatto meglio con 15 – o di un confronto a distanza con Vlahovic che non ha più ragione di esistere. Il brasiliano, infatti, è una punta molto versatile, ugualmente efficace sia nel corto che sul lungo, un calciatore a cui si può chiedere la sponda o il tocco più complesso nel traffico, ma anche lo scatto ad allungare la difesa o il taglio interno-esterno per liberare lo spazio di inserimento per la mezzala: «Il mister mi chiede sempre di aiutare la squadra, di fare un allungo, di provare un controllo più difficile, di fare tutto ciò che posso per essere utile agli altri» ha detto recentemente in un’intervista a DAZN.

Il bellissimo 2023 di Arthur Cabral, in pillole

La soluzione del doppio mediano si è rivelata vincente anche in fase di non possesso. Una delle criticità della Fiorentina di inizio stagione, complice il 4-3-3 in cui la linea difensiva manteneva un atteggiamento iper-aggressivo alzandosi anche oltre la linea di centrocampo in fase di pressione, era l’eccessiva porosità sulle transizioni difensive, soprattutto nel momento in cui la punta avversaria riusciva a portar fuori uno dei due centrali aprendo un’autentica voragine per il portatore di palla in conduzione. La presenza di Mandragora accanto ad Amrabat – ma anche di Castrovilli o Bonaventura nella variante più offensiva – permette invece ai viola di assorbire meglio il movimento senza palla di mezzali e trequartisti avversari e di avere sempre un uomo pronto a scappare in copertura alle spalle di Igor e Milenkovic, più liberi di esprimere la propria esuberanza nell’anticipo e nell’uno contro uno in campo aperto. Una sensazione di solidità che non è solo visiva ma che sta trovando riscontro anche statisticamente: nelle ultime 13 partite la Fiorentina ha subito appena sette reti, di cui solo due – quelle di Cambiaghi e Nzola – impattanti sul risultato finale.  

«Puntare alla vittoria deve essere una costante per tutti, sempre, anche per chi come noi ha tanti appuntamenti ravvicinati. Siamo dentro a tre competizioni e possono arrivare risultati importanti» ha detto Italiano alla vigilia della partita contro l’Atalanta. Un girone fa questa partita sembrava essere la pietra tombale sulla sua Fiorentina, oggi potrebbe rappresentare la sua definitiva legittimazione. Un nuovo miracolo italiano, un nuovo miracolo di Italiano. E non era scontato accadesse.