Uno scudetto capace di unire tutta Napoli

La città e una nuova generazione hanno vissuto una gioia che aspettavano da tempo. E che ha cancellato ogni divisione.

I vicoli e le strade larghe di Napoli, perché Napoli non è solo vicoli, sono pieni all’inverosimile da cinque o sei giorni. O meglio: normalmente c’è sempre un bel po’ di gente, è una delle caratteristiche distintive della mia città, ma una festa scudetto del tutto particolare – mai così certa da tempo e perciò dilatata nel tempo – e il turismo selvaggio legato al ponte del primo maggio hanno avuto un impatto percettibile, è come se avessero esasperato questa sensazione di sovrappopolamento, di congestione. E allora in questi ultimi giorni ho visto, in ordine sparso: studentesse portoghesi o comunque lusofone che parlavano la loro lingua musicale e strascicata; famiglie catanesi e gruppi di amici milanesi venuti apposta per godersi l’esplosione di gioia collettiva; monaci ortodossi georgiani accompagnati da quelle che avevano tutta l’aria di essere le loro perpetue; universitari molisani e abruzzesi ormai perfettamente ambientati in città. Più gli arabi, gli africani, gli est-europei e gli asiatici che ormai fanno parte del tessuto sociale napoletano, che sono la Napoli del presente e quindi del futuro. Quasi tutti indossavano una maglietta azzurra o comunque un gadget del Napoli. Tutti, ma proprio tutti, erano felici. Perché erano tifosi o simpatizzanti del Napoli, o perché erano ammirati da ciò che stavano vedendo, da ciò che stavano vivendo. In fondo, a pensarci bene, poche cose al mondo sono più contagiose della gioia.

Mentre scendevo da via Toledo verso Piazza del Plebiscito, immerso in una fiumana di persone, ho detto a un mio amico: «Guardati, guardiamoci intorno: gran parte dei ragazzi che esultano, piangono di gioia, sventolano bandiere e accendono fumogeni non aveva mai vissuto tutto questo. Proprio come noi. E, proprio come noi, lo aspettavano da tanto». In effetti 33 anni di attesa non sono pochi. E il fatto che il Napoli di De Laurentiis sia stato sempre competitivo non ha cambiato la sostanza delle cose. Come avrebbe potuto, dopotutto? Nessuno festeggia per un secondo posto, per una qualificazione in Champions League; in pochi, giusto i più affezionati e i più scalmanati, scendono in strada per celebrare la vittoria di una Coppa Italia o di una Supercoppa. Anche a Napoli serve il grande trofeo perché si muovano le masse.

Napoli è un multiverso complesso e sfaccettato che ama dividersi per ogni cosa. E su ogni persona. Col passare del tempo, è praticamente inevitabile da queste parti, tutti gli idoli e gli uomini-simbolo della città – non solo quelli legati al Calcio Napoli, ma anche i sindaci, gli artisti, gli imprenditori – passano dall’essere sostenuti al subire degli attacchi anche piuttosto violenti. Forse Diego Armando Maradona è stato l’unico personaggio amato in modo davvero universale e inesauribile dalla stragrande maggioranza dei napoletani, ma anche a suo tempo c’era chi prendeva posizione contro di lui, chi lo accusava di essere «un egoista che ha trascurato i tifosi del Napoli, che avrebbe dovuto amarli un po’ di più». Se persino Maradona è stato trattato in questo modo, figuriamoci cosa è accaduto e cosa accade con Aurelio De Laurentiis, Luciano Spalletti, Cristiano Giuntoli, Victor Osimhen, Khvicha Kvaratskhelia e tutti gli altri componenti del Napoli di oggi.

Forse saranno state la felicità condivisa e l’attesa, forse sarà stato che Napoli aspettava da tanto un trionfo del genere, un grande trofeo, uno scudetto, eppure la festa che va avanti da giorni non ha risentito delle – enormi, profondissime – divisioni che ancora oggi spaccano la città. Domenica scorsa, ieri sera e stanotte eravamo tutti sospesi a mezz’aria, camminavamo su una nuvola e i piedi hanno cominciato a farci male solo all’alba, dopo che è svanito l’effetto delle birre; non esistevano fazioni, non c’erano schieramenti, eravamo nel centro della città e ballavamo e saltavamo e camminavamo e ci abbracciavamo, insomma volevamo goderci tutti, tutti insieme, un momento che non dimenticheremo mai più. Mi sono accorto di tutto questo vivendolo in prima persona, percependolo sulla mia pelle: ho un culto di Maradona non proprio intenso, diciamo così, eppure mi sono ritrovato a intonare “La Mano de Diós” e a fare il controcanto e a commuovermi ogni qual volta arrivava il ritornello «Maradò, Maradò»; non ho mai avuto un grosso trasporto per la mentalità ultras eppure ho strillato fortissimo i cori che di solito vengono scanditi da chi riempie le due curve dello stadio Maradona fu San Paolo; considero stupidi gli spettacoli pirotecnici e soprattutto i botti, eppure mi sono fermato ad ammirare le fontane colorate disegnate in cielo dai fuochisti, eppure ho urlato “oooooooh” e ho applaudito a ogni bombone fatto scoppiare durante e dopo Udinese-Napoli.

Ho sempre detto che non mi sarei perso per niente al mondo un’eventuale festa-scudetto del Napoli, la squadra per cui faccio il tifo da sempre. Forse perché sapevo, in cuor mio, che sarebbe andata com’è andata stanotte. Forse perché sapevo, in cuor mio, che la commozione e la baldoria dei miei concittadini – e anche le mie, ovviamente – avrebbero cancellato o comunque nascosto, anche solo per poche ore, le differenze ideologiche, culturali e politiche che caratterizzano Napoli in tutte le sue manifestazioni. Che la rendono una città ricca ma ingovernabile, non sviluppabile.

Magari potrebbe essere – mi piace pensare – che questo scudetto e la crescita vertiginosa del Napoli, come ha scritto anche Massimiliano Gallo su Undici, abbiano creato un nuovo modo di percepire il calcio, di rapportarsi ai giocatori che indossano la maglia azzurra, di giudicare gli allenatori e i presidenti e anche i tifosi che vivono e costruiscono la storia della SSC Napoli. Magari un giorno questa nuova Napoli potrebbe esistere anche nella vita reale, non solo nel calcio. Ma questi sono tutti discorsi che ha senso fare solo a partire da domani. O forse ha senso farli proprio oggi, dopo una festa che ci ha uniti tutti, dopo una notte che ci ha reso felici e normali. Che ci ha mostrato come potremmo essere, ed è stato bellissimo, ed è stato indimenticabile.