Perché Messi in America è una prospettiva affascinante

Cosa significa l'arrivo del fuoriclasse argentino per l'Inter Miami e per il calcio americano?

Come tutte le più grandi operazioni di calciomercato, il passaggio di Lionel Messi all’Inter Miami va letto e valutato da tante prospettive diverse. La prima, via il dente via il dolore, è quella più disturbante: Messi voleva tornare al Barcellona, ci ha provato in tutti i modi, ma non ha potuto. Oppure, per dirla giusta: il Barcellona, vista la sua crisi finanziaria e i suoi rapporti complicati – eufemismo – con la Liga, non è stato in grado di offrire a Messi uno stipendio adeguato al suo status di semidio. E allora Leo ha dovuto scegliere una soluzione di ripiego, tra le soluzioni di ripiego. L’ha detto chiaramente nelle interviste rilasciate al momento dell’annuncio sul suo futuro – una sorta di The Decision più sobrio, non a caso Espn ha scritto che Messi «is taking his talents to South Beach» – e quindi, di norma, l’Inter Miami e la MLS avrebbero dovuto indignarsi, quantomeno risentirsi, per come sono stati definiti. Il punto è che Messi è Messi, e allora si può chiudere un occhio. Si deve fare un’eccezione.

Proprio il concetto di eccezione è alla base di un altro ragionamento interessante: quello sull’impatto che Messi avrà – ha già iniziato ad avere, in realtà: The Athletic scrive che i prezzi dei biglietti per le partite dell’Inter Miami, quelli in vendita sui siti di secondary ticketing, sono già stati ritoccati verso l’alto – sull’intero ecosistema della MLS e del calcio statunitense. Intanto non deve sfuggire il fatto che Messi non sta andando a giocare solo e semplicemente all’Inter Miami, piuttosto in una lega che gestirà direttamente il suo contratto, che qualche settimana fa, secondo i media spagnoli, sembrava disposta a dividere la spesa per il suo ingaggio per tutte le squadre partecipanti, che in ogni caso si era detta – attraverso le parole di Don Garber, il commissioner del campionato – disposta a essere creativa, anche manipolando i regolamenti, pur di accogliere Messi.

Insomma, Messi è evidentemente un’eccezione. Da ogni punto di vista. È da diversi anni, infatti, che la MLS ha cambiato i suoi criteri di reclutamento, nel senso che oggi i grandi campioni a fine carriera sono un semplice contorno del piatto principale, sono in minoranza rispetto ai talenti allevati negli USA oppure in Sudamerica, anzi negli ultimi tempi anche i giovani europei hanno iniziato a guardare agli Usa come a una destinazione non esotica, anche per loro un passaggio in MLS sta diventando una tappa da valutare nella costruzione di una carriera di successo. Anche il regolamento si è adattato plasticamente a questa nuova situazione: se a suo tempo l’arrivo di Beckham determinò – letteralmente, visto che venne definita Beckham Rule – l’istituzione della regola sui Designated Players, cioè di giocatori celebri il cui stipendio poteva eccedere il Salary Cap, oggi quegli slot e quei soldi vengono investiti su calciatori meno famosi, ma di maggior prospettiva. Lo sbarco di Messi di Messi segnerebbe – segnerà – un’inversione a U, in questo senso. Ma, ripetiamo, il punto è che Messi è Messi. E allora le cose possono essere riviste, rimescolate, anche trasformate completamente.

In queste ore, proprio l’esperienza vissuta con David Beckham è il riferimento di tutte le analisi socio-economiche, di tutte le anticipazioni di scenario. In un’intervista al New York Times, Don Garber ha raccontato come nel 2007, al tempo dell’arrivo di Beckham, «tutte le nostre attività crebbero grazie alla sua semplice presenza. Per esempio: nell’anno successivo alla sua firma, abbiamo venduto 300mila maglie dei Galaxy col nome Beckham, 700 volte il numero di maglie Galaxy vendute in tutto il 2006; le vendite complessive del nostro merchandising sono cresciute di due o tre volte; abbiamo iniziato a vendere i diritti televisivi in 100 Paesi diversi, per la prima volta abbiamo trasmesso gare dal vivo in Asia e in Messico».

Ecco, a questo punto la MLS si aspetta di ricevere un boost simile. È pronta a riceverlo, vuole riceverlo, anche in vista dei Mondiali americani del 2026. E allora pare essere disposta a fare una scommessa affascinante, perciò rischiosa, su Messi: secondo le indiscrezioni trapelate dagli Usa, la MLS ha garantito al fuoriclasse argentino una parte degli incassi relativi allo storico – e redditizio – accordo con Apple TV firmato pochi mesi fa, anche perché si prevede un’impennata degli abbonati, soprattutto quelli residenti fuori dagli Stati Uniti; anche adidas, sponsor personale di Messi e kit supplier di tutte le squadre MLS, sarà coinvolta nell’operazione; addirittura si parla già di un accordo per cui Messi potrebbe acquistare un club della lega, magari la futura franchigia a Las Vegas di cui si parla tanto, una volta che terminerà la sua carriera in campo. Come Beckham, meglio di Beckham.

Alla fine di tutta questa enorme operazione, ai margini di questo scenario che sembra potenzialmente win-win per tutte le parti in causa, ci sono ovviamente il calcio, il campo, ciò che Messi potrà fare all’Inter Miami – com’era il discorso delle prospettive diverse? La scommessa esiste ed è molto significativa anche da questo punto di vista: Messi ha detto chiaramente di non aver scelto i soldi, «altrimenti sarei andato in Arabia Saudita», e di aver preferito una soluzione che gli permetterà di continuare a giocare a calcio con meno pressioni, dedicandosi un po’ di più alla sua famiglia. Tutto questo è vero, giusto, anche condivisibile. Rispetto alla Saudi Pro League, però, la MLS ha un livello medio più alto, è un torneo difficile da conquistare – Beckham a suo tempo impiegò cinque stagioni per arrivare a vincerlo, Henry e Kakà non ce l’hanno fatta, l’impatto di Insigne e Bernardeschi è stato tutt’altro che agevole, Higuaín e Matuidi a Miami non hanno lasciato grandi ricordi – e con dei margini di crescita che non dipendono solo da grandi investimenti sul mercato, si guardi alle operazioni fatte con Cristiano Ronaldo e Benzema e Kanté, piuttosto da un processo di crescita corporativa che va avanti da anni.

Insomma, Messi sta andando a divertirsi – in questo senso la scelta di andare a Miami e non a Kansas City, per dire, non può essere casuale – ma anche a misurarsi con un mondo e un campionato che non è più così indietro rispetto ai tornei europei, né tantomeno è una lega ancora incelophanata, tutta da scartare e quindi ancora tutta da scoprire. E allora sarà interessante capire come e quanto potrà essere influente, se le magie che farà in campo – gli ultimi Mondiali e la stagione da 21 gol con il PSG suggeriscono che continuerà a farne – basteranno per rendere competitiva l’Inter Miami, se gli americani non ancora convertiti al culto del soccer si faranno convincere dalla sua presenza, se sotto la sua stella luminosissima nascerà qualche nuovo talento locale. Magari Leo sognava di vincere un’altra Champions al Barça, ma anche provare a fare tutto questo, per altro a due passi da South Beach, non dovrebbe essere così male.