Pulisic può dribblare tutti

Ha solo 24 anni e una tecnica da virtuoso: le potenzialità per avere un impatto importante in Serie A ci sono tutte.

Ormai è chiaro: il Milan sta di nuovo cambiando pelle. E lo sta facendo con una determinazione e un’avventatezza che non possono lasciare indifferenti. Nel solco degli importanti cambiamenti societari e tecnici che hanno caratterizzato l’ultimo mese dei rossoneri, e delle contestazioni mosse dai tifosi a seguito del licenziamento di Paolo Maldini e della cessione di Sandro Tonali, la proprietà guidata da Gerry Cardinale ha messo a segno il suo primo vero colpo di mercato dell’estate 2023. Perché l’acquisto di Cristian Pulisic, oltre a costituire un’occasione di riscatto per le parti coinvolte nell’operazione, tutte, rappresenta un investimento sicuramente intelligente. E non solo perché va a colmare – per valore e ruolo – la partenza di Brahim Díaz: Pulisic, oltre a essere un’ala sinistra che sa trattare con pulizia il pallone, molto abile nello stretto e nel dribbling, e che può essere schierato in ogni zona della trequarti, è anche un esempio di sintesi non comune tra il giovane di prospettiva e il calciatore già formato. Nonché, in termini di marketing, una scommessa interessante, specie per la fama di cui gode a casa sua, negli Stati Uniti. Di contro, va detto che si tratta di un giocatore a tratti scostante, che ha dimostrato una certa predisposizione agli infortuni e che è reduce da anni ed esperienze in cui non ha brillato in modo particolare, fallendo la consacrazione definitiva. Qui in Italia, però, potrebbe compiere quel salto che il pubblico e gli analisti, alla luce delle qualità che ha lasciato intravedere lungo tutta la sua carriera, si aspettano da lui.

Pulisic sarà chiamato innanzitutto a essere quel jolly offensivo di cui il Milan di Stefano Pioli, confermatissimo dalla dirigenza, ha bisogno. Nello spogliatoio, invece, dovrà cercare di effondere la sua esperienza internazionale a un gruppo che soltanto nell’ultimo anno ha assaggiato le luci e le pressioni dell’Europa che conta. In fondo si tratta di un calciatore che ha già conseguito risultati importati in termini di vittorie di squadra, e che ha frequentato contesti competitivi fin da giovanissimo.

Tra tutte spicca la vittoria della Champions League 2020/21 con il Chelsea, edizione nella quale ha segnato due reti, divenendo il primo giocatore statunitense a disputare la finale della massima competizione europea. Ma non dimentichiamo che ha esordito in Bundes e Champions League quando era ancora un teenager, anzi era considerato uno dei talenti più promettenti – se non il più promettente in assoluto – del Borussia Dortmund di Tuchel, una delle squadre con più hype dell’ultimo decennio.

L’impatto di Pulisic dipenderà ovviamente dalla sua capacità di adattarsi al gioco del Milan e al calcio italiano, un processo mai scontato, nonché dalla misura in cui saprà farsi carico della responsabilità che l’essere un giocatore di primo piano, un aspirante top player, comporta. Perché le aspettative che lo circondano, data la carenza di giocatori di alto livello tra i pari ruolo rossoneri (escluso Leão, ovviamente), convergono in questa direzione. Nel contesto della Serie A, dove i ritmi sono mediamente più bassi rispetto al calcio inglese, un giocatore come lui avrà modo di sfruttare ancora di più e meglio i suoi colpi migliori, tra i quali spicca il saper portare ottimamente palla, specialmente in campo aperto, in contropiede. È soprattutto quella la fase di gioco in cui Pulisic riesce spesso a creare situazioni pericolose, essendo rapido e creativo nell’uno contro uno, votato alla verticalità. Forse questo è anche il suo difetto principale: il suo incaponirsi, il cercare a tutti costi di saltare l’uomo anche quando la difesa avversaria risulta strettissima, sono degli aspetti su cui Pulisic dovrà necessariamente migliorare, al fine di smussare la monotonia del suo stile di gioco. Per farlo, dovrà sviluppare una maggior poliedricità in termini di scelte e di repertorio, velocizzando e ampliando il dialogo con i compagni – per quanto, grazie a un piede molto educato e a una buona visione, sia un assistman di tutto rispetto.

Il meglio di Pulisic al Chelsea, condensato in un video

Il suo ruolo naturale, quello di ala sinistra, lo porrebbe come alternativa a Leão, se e quando il nuovo numero dieci del Milan non sarà disponibile. Ma la sua abilità con entrambi in piedi gli consentirebbe di giocare anche da trequartista o da esterno destro, in una posizione speculare a quella del portoghese, in veste di secondo violino, di seconda bocca di fuoco. Ma, a prescindere dalla zona nella quale verrà impiegato, Pulisic potrà e dovrà fare leva sulla sua propensione al dribbling, un fondamentale che sempre meno calciatori sembrano prediligere. Il suo, imperniato su movimenti secchi e tocchi di palla brevi, potrebbe rivelarsi particolarmente funzionale al gioco dei rossoneri, votato a una verticalità aggressiva che però, nell’ultima stagione, è andata perdendo di efficacia – anche per via di assenze importanti, non adeguatamente colmate in fase di mercato, che hanno poi finito col causare un impoverimento del sistema di Pioli.

In questo senso, Pulisic potrebbe facilitare un ritorno a questo tipo di approccio, specie quando avrà a disposizione spazi ampi in transizione, o sufficiente luce per infilarsi in area e tentare il tiro. Sebbene le sue statistiche da finalizzatore non siano proprio esplosive, la sua costante propensione offensiva rappresenterà una novità importante per il Milan. Quando è senza palla, invece, ha dimostrato di essere bravo a farsi trovare tra le linee, ad andare incontro al pallone per ripulire la manovra, oltre che a inserirsi in area per finalizzare l’azione. Tuttavia, la sua tendenza a preferire il passaggio più sicuro – nel senso di meno coraggioso – al filtrante, è una caratteristica che sembrerebbe non rispondere alle esigenze del Milan, una squadrache nella passata stagione ha sofferto molte gli avversari chiusi, ingolfandosi spesso in sterili fraseggi orizzontali.

A rendere il suo acquisto suggestivo, inoltre, è anche il fattore della nazionalità in relazione al contesto: un giocatore americano per una proprietà americana. Un tipo di operazione che ricorda un po’ quella di Michael Bradley alla Roma di Pallotta. Ma, a differenza di quello e di altri affari che avevano per protagonisti squadre italiane e giocatori Usa, non c’è una grande percezione di esoticità. Perché – senza andare a scomodare la meteora Alexi Lalas, che fu il primo giocatore statunitense a giocare in Italia, e con il quale Pulisic condivide, stando alle sue parole, la passione per la musica – è sufficiente pensare a McKennie, ex Juventus, o a Dest, per razionalizzare e rendersi conto di quanto la Serie A sia oramai abituata ai giocatori provenienti dagli Stati Uniti. Ma Pulisic è il primo americano, tra quelli passati nel nostro campionato, ad arrivare qui con un profilo giù formato, già di casa nel calcio europeo, e dunque chiamato a una sfida molto difficile: riscattarsi dai dubbi sul suo conto, confermare di non essere una promessa mancata, anzi di essere stato sottovalutato negli ultimi anni – e, perché no, anche risucchiato in quel tritacarne che è il Chelsea.

Il Milan formato Moneyball è ancora in fase embrionale, ma Pulisic sembra racchiudere quella potenzialità inespressa – o solo parzialmente manifestatasi – che il sistema portato alla ribalta da Billy Beane è nato per (ri)scoprire e valorizzare. In America, del resto, di opportunità qualcosa ne sanno. E in questo senso, l’arrivo di Pulisic al Milan è anche un’occasione, per gli uomini scelti da Cardinale, di affermare la validità della loro filosofia, del loro modus operandi. Oltre a esserlo, ovviamente e in primis, per il calciatore, che in rossonero dovrà cercare di trovare, se non la definitiva consacrazione, perlomeno una rinascita. E quale contesto migliore, per lui, chiamato a tagliare i ponti con il proprio passato, di un Milan che di recente ha troncato di netto, forse fin troppo, con la propria storia?