Il Newcastle sta cedendo Saint-Maximin all’Al-Ahli, un altro club del fondo PIF, e nessuno può impedirlo

Ci sono dubbi e sospetto su questo trasferimento, ma la Premier League e la Uefa non possono intervenire.

Il grande tema del calciomercato 2023 è il saccheggio del calcio europeo da parte dei club dell’Arabia Saudita. Se guardiamo alla quantità e alla qualità dei giocatori coinvolti, si può dire che si tratta di una prima volta assoluta nella storia del calcio. Ma ci sono anche delle evidenti sovrapposizioni tra club e istituzioni, come dimostra il caso di Allan Saint-Maximin, esterno offensivo del Newcastle United in procinto di trasferirsi all’Al-Ahli – lo stesso club che ha acquistato Edouard Mendy dal Chelsea, Riyad Mahrez dal Manchester City e Roberto Firmino dalla lista svincolati – in cambio di 35 milioni di euro. Chi conosce la storia recente del calcio inglese e del calcio saudita ha già capito qual è il problema: il Newcastle United e l’Al-Ahli appartengono alla stessa proprietà, vale a dire il fondo sovrano PIF (acronimo di Public Investements Found), emanazione più o meno diretta della famiglia reale di Ryad. Il club inglese è stato acquistato da PIF a ottobre 2021, mentre l’Al-Ahli è una controllata del fondo da poche settimane, ovvero da quando la famiglia reale ha deciso di investire massicciamente nel calcio e nel calciomercato, e così ha rilevato la maggioranza azionaria delle quattro migliori squadre della Saudi Pro League per infarcirle di calciatori stranieri.

In una situazione del genere, è inevitabile che qualcuno sollevi dubbi e perplessità. Perché, in pratica, la dirigenza del Newcastle United sta per concludere una cessione e un incasso importanti dopo aver trattato con se stessa. Il punto è che, come spiega The Athletic in questo articolo, nessuno può intervenire fattivamente e risolvere la questione. E il motivo principale è estremamente semplice: lo United fa parte della giurisdizione dell’Uefa e della Premier League, mentre l’Al-Ahli invece appartiene alla Confederazione asiatica, la AFC. Di conseguenza, non ci sono regolamentazioni stringenti sulla multiproprietà, come sarebbe avvenuto se i due club giocassero entrambi in Europa.

Come spiega a The Athletic Charlie Court, associato nella divisione sportiva dello studio legale Farrer & Co, «la Premier League e la Uefa hanno messo a punto dei regolamenti che, in qualche modo, impediscono o comunque limitano il controllo di più club da parte degli stessi soggetti. L’obiettivo di queste leggi era ed è quello di evitare che la lealtà delle competizioni potesse essere alterata, soprattutto se guardiamo all’Uefa, ai possibili casi di scontro diretto o indiretto nelle coppe internazionali». Di recente, una dimostrazione plastica di come funzionano questi regolamenti l’hanno fornita Milan e Tolosa, entrambe controllate da RedBird: per permettere al club francese di partecipare all’Europa League, il fondo americano ne ha modificato radicalmente la struttura societaria, riducendo la sua influenza sulla gestione economica e sportia.

Insomma, il fatto che Newcastle e Al-Ahli non possono affrontarsi in nessuna competizione – l’unica possibilità sarebbe il Mondiale per Club, ma è un’ipotesi ancora lontana – ha determinato un vuoto normativo. O meglio: fino a oggi, almeno, la Fifa non è ancora intervenuta fattivamente per regolamentare la multiproprietà. A questo punto, però, inventarsi qualcosa diventa inevitabile: il problema va decisamente oltre un eventuale scontro diretto, bisogna rendere più trasparente anche il calciomercato. Spiega ancora Court: «Laddove il trasferimento di un giocatore viene attuato tra due club sotto controllo comune, esiste la possibilità che tale trasferimento possa essere manipolato a vantaggio di uno di quei club. Anche in modo illecito, visto che una normale transazione nel mercato libero presuppone l’indipendenza di tutte le parti».

Qui entra in gioco anche il discorso sul Fair Play Finanziario: il vero problema della multiproprietà transcontinentale, se non regolamentata, nasce nel momento in cui un club Uefa, sottoposto ai rigidi paletti del FPF, tratta con se stesso la cessione di un giocatore fuori dall’Uefa, e quindi può garantirsi un incasso che gli permetterebbe di soddisfare i requisiti per l’iscrizione alle coppe europee. O, comunque, di migliorare la propria situazione finanziaria. Esiste un regolamento simile anche internamente alla Premier League, che per quanto riguarda il mercato si sostanzia in questo modo: «Le transazioni tra club di proprietà comune dovrebbero essere notificate alla Premier League e sono soggette a un “esame del valore equo di mercato”. Tuttavia, vale la pena tenere presente che il “giusto valore di mercato” di un giocatore non è una scienza esatta, non può essere misurato empiricamente». Queste parole sono ancora di Charlie Court, e sollevano il vero dilemma della questione: due club che non appartengono agli stessi soggetti avrebbero concordato un prezzo di 30 milioni per Saint-Maximin?

La risposta a quest’ultima domanda è probabilmente sì, e quindi nessuno ha gli strumenti per impedire che l’affare venga completato. O meglio: ci sarebbe una possibilità, ma in realtà è già stata scongiurata. Lo spiega Daniel McDonagh, avvocato specializzato in diritto sportivo: «Se due club associati, uno dei quali è in Premier League, concordano un trasferimento e i termini non sono al giusto valore di mercato, la stessa Premier League può ordinare al club di restituire la quota in eccesso. Oppure di versare il denaro che manca». Nel caso di Saint-Maximin, però, è evidente che si tratti di una cifra realistica, per quanto elevata. Insomma, stiamo parlando di un esterno offensivo di buonissima qualità, che ha fatto bene in Premier League, che sarebbe titolare nella stragrande maggioranza delle squadre europee. E quindi 35 milioni di euro è un prezzo onesto, non basso ma certamente non esagerato. I dubbi restano, i sospetti non scompaiono, ma per il momento non c’è modo di risolverli.