L’Italia femminile ha chiuso il suo ciclo nel peggior modo possibile

La sconfitta contro il Sudafrica e l'eliminazione dal Mondiale sono meritate, e ora bisogna ripartire davvero.

Sembra un paradosso, ma non lo è: la clamorosa – e anche storica, visto che il Sudafrica non aveva mai vinto una partita al Mondiale femminile – sconfitta dell’Italia potrebbe addirittura avere un effetto positivo. Se le Azzurre avessero conquistato la qualificazione agli ottavi, magari con un pareggio stiracchiato, strappato via in modo casuale, ora staremmo parlando di un Mondiale soddisfacente, di una Nazionale giovane e sperimentale eppure in grado di raggiungere il suo obiettivo. Insomma, i risultati – per quanto minimi – avrebbero mascherato i limiti, i problemi di sistema, tutto ciò che non è andato e che non va nella squadra guidata da Milena Bertolini. E invece il possibile effetto positivo sta nel fatto che ora l’Italia – intesa come Nazionale, ma anche come movimento calcistico in senso assoluto – è costretta a guardarsi dentro e a guardarsi intorno. A mettere un punto, a mettersi a lavorare dopo un fallimento.

Non si possono usare termini meno duri, purtroppo. Basta consultare il Ranking Fifa, in cui il Sudafrica occupa la posizione numero 54, per rendersi conto che il ciclo aperto quattro anni fa – con un Mondiale da favola – è stato portato avanti male e si è chiuso  nel peggior modo possibile. Il risultato ovviamente pesa, è la cosa più evidente, ma è soprattutto il modo in cui si è materializzata la sconfitta, che deve far riflettere: l’Italia è passata in vantaggio eppure non è mai parsa in grado di controllare davvero la partita, di far fruttare la superiorità – magari non fisica, ma sicuramente tecnica, tattica e d’esperienza – rispetto al Sudafrica. L’errore surreale con cui Orsi ha regalato il pareggio alle sue avversarie è stato solo la conseguenza di una partita gestita in modo approssimativo, dopo il buon avvio. Si può dire anche che sia stata impostata in maniera approssimativa: Benedetta Orsi, infatti, non aveva giocato un solo minuto nelle gare contro Argentina e Svezia, ed è stata mandata in campo nell’unico reparto in cui Bertolini aveva trovato un assetto definitivo, vale a dire la difesa. Ora, è chiaro che un passaggio completamente sballato nello specchio della porta non può essere attribuito alle scelte di formazione del commissario tecnico, è un errore grave – per non dire assurdo – ma del tutto casuale. Ma la prospettiva cambia se lo mettiamo dentro il quadro di una partita in cui il Sudafrica, da un certo punto in poi, ha dato la dimostrazione di poter far male in ogni azione. E in cui l’Italia, soprattutto nel secondo tempo, ha faticato a costruire manovre lineari partendo dalla costruzione arretrata.

Dopo la partita, Milena Bertolini ha parlato soprattutto di paura. Ha detto che «abbiamo subito questi cinque gol dalla Svezia che ci hanno tolto un po’ di certezze. Oggi siamo partite bene, ma poi quell’autogol che ci siamo fatte da sole ha alimentato la nostra paura». Il grande problema, se vogliamo, è proprio questo: contro la Svezia, e in qualche modo anche contro l’Argentina, l’Italia ha giocato – bene o male che sia – soltanto in base all’emotività del momento, è sembrata non possedere gli strumenti necessari per determinare la partita attraverso la tecnica, la tattica o anche la fisicità. Dopo il gol dell’1-1, il Sudafrica ha disputato una partita ad armi pari con le Azzurre. Ma non solo: è sembrata una squadra più ordinata e coerente con le sue caratteristiche, per quanto evidentemente inferiore in alcuni aspetti. Il fatto che i due gol decisivi, quello del 2-1 e quello del 3-2, siano arrivati dopo lo stesso taglio esterno-interno alle spalle del difensore di centro-destra, sono un segnale piuttosto chiaro, in questo senso.

Di contro, l’Italia è riuscita a far gol solo su palla inattiva. E l’ha fatto quando la situazione era diventata disperata, sfruttando l’onda emotiva – ancora – dell’ingresso di Girelli, più che un reale cambio di assetto o di principi offensivi. Esattamente come successo contro l’Argentina, nell’illusoria gara d’esordio. Questo, ovviamente, non significa che Bertolini non abbia lavorato su una proposta tattica: semplicemente, le scelte fatte dal commissario tecnico – le convocazioni, il sistema di gioco adoperato, le calciatrici schierate e quelle non schierate, i cambi a partita in corso – non hanno portato l’Italia ad avere ciò che serve per giocare in modo ragionato, per non farsi travolgere dagli eventi. Anche per capire come difendere nel modo giusto, così da riuscire a sfangarla: l’abbiamo già detto, il Sudafrica ha trovato il raddoppio e poi il terzo gol con azioni-fotocopia, su cui non era impossibile difendere. Al di là degli episodi singoli, per esempio il palo colpito da Beccari nel primo tempo e il gol fallito da Girelli sul 2-2, resta che la sensazione di disarmo e di paura – quella paura che non ti permette di fare le cose perbene perché non hai gli strumenti adatti a contenerla, a sconfiggerla: esattamente ciò che intendeva Bertolini, solo che molte scelte sbagliate sono soprattutto sue – si sono percepite in modo troppo chiaro. E allora l’eliminazione diventa giusta, meritata. A maggior ragione se l’avversario di giornata era – e resta – di livello inferiore.

Ora, come detto, bisognerà guardarsi dentro e poi intorno. Bisognerà decidere fin dove potrà spingersi la riconoscenza per il gruppo che ha reso indimenticabile il biennio 2017-19, ma che poi ha fallito agli Europei dello scorso anno a ai Mondiali. Sarà necessario scegliere chi salutare tra le varie Bonansea, Girelli, Bartoli, Salvai, Giacinti, Linari, sarà fondamentale capire se Greggi, Beccari, Cantore, Caruso e Orsi possono essere i pilastri del nuovo ciclo, se Dragoni e Beccari – giovanissime, e quindi tra le poche note liete della spedizione in Australia e Nuova Zelanda – potranno essere davvero le stelle del nuovo corso, magari con una nuova guida tecnica. Insomma, ora il prossimo obiettivo è iniziare davvero un nuovo capitolo, abbandonando l’idea della squadra cocktail presente-passato. Non ha funzionato, è evidente. Ha anche disgregato il patrimonio di entusiasmo e di visibilità accumulato con il Mondiale 2019. E allora l’Italia, adesso, ha il dovere di far tesoro di questa sconfitta, di non trasformare un fallimento in un passo indietro per il movimento. Quello sì che sarebbe imperdonabile.