Ori e valori: è questo il motto/mantra della palestra del Club Scherma Jesi. Ed è anche una definizione perfetta per Tommaso Marini, che ha vinto il secondo titolo mondiale nel fioretto dopo aver battuto in finale (per 15 a 13) l’americano Nick Itkin. E che, nonostante questo successo e l’inevitabile attenzione mediatica degli ultimi giorni, non ha assolutamente messo da parte la gentilezza e la disponibilità che lo hanno sempre contraddistinto. Si tratta di qualità che renderebbero sicuramente orgoglioso il mitico Ezio Triccoli, fondatore del club marchigiano nel lontano 1947, un maestro che negli anni si è speso per la crescita sportiva dei suoi atleti, ma ha anche insistito su altri aspetti: quello umano, prima di tutto. La non scontata delicatezza di Marini, come leggerete nell’intervista rilasciata a Undici, viene accantonata solo quando si abbassa la maschera, il segnale inequivocabile dell’inizio della battaglia in pedana: in quel momento il suo unico pensiero è «voglio solo vincere, è normale».
Ⓤ: Quando hai capito di essere così talentuoso da poter trasformare quella che era una semplice passione in una professione a tutti gli effetti?
Per quanto possa sembrare assurdo, non certo da piccolo. Non ero poi così bravo e, almeno fino ai 14/15 anni, non ho mai particolarmente brillato per risultati. Nel 2016 ho raggiunto il mio primo podio al Mondiale Under 17 che si è tenuto a Bourges, e da lì ho continuato a togliermi delle belle soddisfazioni. Sicuramente, la possibilità di trasferirmi da Ancona a Jesi e di allenarmi nel celebre Club Scherma Jesi mi ha aiutato tantissimo. Posso dire che sono definitivamente esploso grazie a questo passaggio.
Ⓤ: Quali pensi siano i valori che ti ha trasmesso la disciplina nel corso degli anni?
Lo sport ad alti livelli ti aiuta moltissimo. In primis metterei il rispetto delle regole, un qualcosa che al giorno d’oggi viene sempre meno. Ti insegna anche l’importanza dell’organizzazione, il rispetto versi gli altri, verso il tuo avversario. Sono valori che trovo fondamentali per la nostra società: lo sport, sotto questo punto di vista, è stata un’ottima palestra di vita.
Ⓤ: Una domanda che può sembrare banale ma che secondo me è fondamentale, anche perché sei giovanissimo, hai soltanto 23 anni: che rapporto ha con l’allenamento quotidiano?
Non ti nascondo che allenarsi tutti i giorni, due volte al giorno, implica un grande sacrificio. È un investimento di forze fisiche e mentali. Tra l’altro, se si inizia da giovanissimi come ho fatto io, è ovvio che si vadano anche a sacrificare molti momenti di divertimento. Però penso che se una persona ha la fortuna di avere un sogno, e crede particolarmente in qualcosa, è giusto che faccia dei sacrifici e faccia di tutto, impieghi tutte le sue forze per raggiungerlo. Ovvio, non è stato sempre semplice…
Ⓤ: La tua altezza (un metro e 97, ndr) è un dono per il tuo sport? Oppure è una condanna?
Sicuramente l’altezza aiuta: puoi gestire meglio la tua misura, i tuoi colpi arrivano prima e puoi difenderti meglio. Allo stesso tempo, però, devi riuscire ad abbinare tutto questo ad un buon tempo schermistico. Per fortuna, quella del tempismo è una delle mie caratteristiche migliori. Chiaramente sono un po’ più lento rispetto ad alcuni dei miei avversari, ma credo di essere migliorato molto sotto questo punto di vista, quest’anno.
Ⓤ: Che rapporto hai con il ct azzurro Stefano Cerioni?
Abbiamo un ottimo rapporto. I fatti e i numeri parlano per lui: è il miglior maestro al mondo e continua a dimostrarlo anno dopo anno. Credo sia stato fondamentale nel mio percorso di crescita. Averlo e sentirlo a fondo pedana ci regala davvero una marcia in più. Siamo molto fortunati ad averlo con noi.
Ⓤ: Pensi ci sia una ragione per la quale ha legato indissolubilmente il tuo percorso professionale a uno sport individuale?
Ho sempre preferito gli sport individuali a quelli di squadra. Semplicemente, mi piace cavarmela da solo, mi piace affrontare determinate sfide senza dover contare sugli altri. Mi capita di aver bisogno di momenti di solitudine, quindi, sicuramente, anche questa mia attitudine mi ha spinto a scegliere uno sport individuale.
Ⓤ: Nel 2016 sei approdato al celebre Club Scherma Jesi, autentico tempio del fioretto mondiale. Che atmosfera si respira?
Quando ho iniziato ad allenarmi c’erano ancora in attività delle grandi campionesse come Valentina Vezzali ed Elisa Di Francisca, poi c’era anche Giovanna Trillini come tecnico… Jesi è il tempio della scherma mondiale: vanta 26 medaglie olimpiche e allenarsi in un ambiente così magico è super stimolante. Speriamo di poter aggiungere, presto, anche noi, un’altra medaglia alla “collezione” …
Ⓤ: Cinque anni dopo, grazie al tuo trionfo, l’Italia è tornata sul trono iridato del fioretto maschile. Che cosa si prova? Tra l’altro superando, in semifinale, il francese Lefort che lo scorso anno a Il Cairo ti aveva negato l’oro per una stoccata.
Quella di vincere un Mondiale in casa è stata un’emozione indescrivibile, è stato veramente bello. Sembrava di vivere un sogno. Frutto ovviamente di sofferenze e sacrifici. Anche in gara sono stato costretto a stringere i denti: sono stati tutti assalti difficili e combattuti, ecco spiegate anche le lacrime, dopo aver messo a segno la stoccata vincente.
Le emozioni dell’oro conquistato da Marini pochi giorni fa, ai Mondiali di Milano
Ⓤ: Negli ultimi anni, grazie alle parole di Naomi Osaka, Simone Biles, Michael Phelps (tra gli altri) si è scoperchiato un po’ una specie di vaso di Pandora e si è iniziato a parlare – con frequenza per la prima volta – della salute mentale degli atleti. È stata analizzata, quindi, con maggiore attenzione la pressione dello show business, dei media, del dover riuscire a mantenere determinati standard… Tu come gestisci lo stress?
Devo essere sincero? Non sento particolare pressione, se non in determinate occasioni. Basti pensare che prima del Mondiale mi ero sbilanciato, dicendo che lo avrei vinto, quindi… Ovvio, i giornalisti fanno il loro lavoro, non tutti sono particolarmente delicati e attenti;,ma fa parte del gioco.
Ⓤ: In più di un’occasione, nel corso delle tue interviste post-gara, hai parlato del tuo approccio mentale alla sfida: hai detto di non pensare all’avversario, che cerchi di non dare eccessivo peso alla sfida. Come ci riesci?
Dipende anche da come mi sveglio. Devi sapere che per tutti i miei grandi risultati, le gare sono state precedute da una giornata di panico. Continuavo a ripetermi: non ce la farò mai, che ci vado a fare… Quindi, di conseguenza, cerco di vivermi le gare come se fossero un gioco, provo a distrarmi senza pensare troppo al peso della sfida. Poi, chiaramente, quando cala la maschera, voglio solo vincere. Però. ecco: penso alla vittoria solo quando inizia l’incontro. Orima cerco solo la tranquillità.
Ⓤ: Negli ultimi giorni si è fatto un gran parlare del tuo rapporto con la moda.
Mi piace moltissimo come ambiente. Fondamentalmente, ci sono cresciuto. La reputo una forma d’arte e seguo con particolare attenzione le ultime novità del settore. Considero la scherma uno sport di estrema classe e cerco di mantenerla anche al di fuori delle pedane.
Ⓤ: Com’è il tuo rapporto con l’attenzione mediatica? Ti piace vivere sotto i riflettori?
Assolutamente, non mi infastidisce. Anzi, se posso aiutare il nostro movimento sportivo, anche con la mia immagine, mi fa piacere. Anche perché solitamente l’attenzione dei mass media si concentra su altre discipline. Credo, tra l’altro, che grazie a questo Mondiale si sia anche ampliato il bacino d’utenza della scherma. Poi, sinceramente, ricevere messaggi positivi dai nostri tifosi è sempre una grande soddisfazione.
Ⓤ: Il cinema è un’altra grande passione, per te. Regista preferito e attore preferito?
Regista: Tim Burton. Per l’attore, di conseguenza, non posso che dirti Johnny Depp.
Ⓤ: Se ti dico Parigi 2024, che cosa mi dici?
Ibiza 2023 (ride, ndr). A parte gli scherzi, non ci penso ancora: bisogna prendersela con calma. Prima devo arrivarci, poi ci penseremo.