Quell’estate al mercato: Kaká, 2003

L’arrivo in Italia dell’ultimo Pallone d’Oro della storia del Milan, tra crisi climatica e infelici profezie.

L’estate del 2003 fu talmente calda che, negli anni, è diventata un modo di dire, un termine di paragone: «Come l’estate del 2003». Non è solo una considerazione aneddotica (sebbene anch’io, nella mia memoria d’infanzia, ricordi quelle vacanze come straordinariamente calde): secondo alcuni studi, l’ondata di calore durò da maggio a settembre e colpì tutti i paesi d’Europa, fino alla Finlandia. Morirono più di 70mila persone, perlopiù sopra i 65 anni, di cui circa 20mila in Italia e altrettante in Francia. Venne registrato un aumento della mortalità tra il 20 e il 30 per cento a Bologna, tra il 30 e il 40 per cento a Milano e tra il 40 e il 45 per cento a Torino, la città più colpita. Le temperature erano di sette gradi superiori alla media stagionale. La dimensione dei ghiacciai delle Alpi si ridusse del 10 per cento, divamparono grossi incendi e i raccolti agricoli furono decimati. Secondo gli esperti, quell’estate segnò «un punto di svolta nella consapevolezza dei cambiamenti climatici e nella necessità di adottare misure per proteggerci dagli eventi estremi».

La mattina del 17 agosto 2003 il Corriere della Sera ospita in prima pagina un editoriale di Giovanni Sartori (no, non il direttore sportivo del Bologna) dal titolo “Homo stupidus, fermati in tempo”. L’occhiello dice: “Inerti di fronte al clima sempre più torrido”. «L’esperto conferma: la Terra non è mai stata così calda da 500 milioni di anni», scrive Sartori. «Capito? Da 500 milioni di anni. Non c’è da scherzare. […] È sicuro che il clima è diventato estremizzato. Così come è sicura la linea di tendenza: che il riscaldamento della Terra è crescente e che sta raggiungendo livelli pericolosi. […] La domanda ora è: che cosa possiamo fare per bloccare una catastrofe ecologica? Ma prima dobbiamo eliminare le risposte irresponsabili di chi sostiene che non occorre fare nulla perché “tutto è normale”, perché il clima della Terra è sempre stato ciclico, oppure che non possiamo fare nulla perché i cicli di riscaldamento e di raffreddamento sono prodotti da cause naturali. Entrambe queste risposte sono ormai abbondantemente confutate».

Il 17 agosto 2003 è anche il giorno in cui i quotidiani, sportivi e non, danno notizia dello sbarco in Italia di un ventunenne brasiliano che atterra a Malpensa indossando un abito gessato blu e una cravatta amaranto. Porta degli occhiali rettangolari, non ha un filo di barba e i suoi capelli sono folti ma ben pettinati. Più che un calciatore, sembra un consulente di Deloitte. Il Milan lo ha appena acquistato per 8,5 milioni di euro dal San Paolo grazie soprattutto alla sua volontà di indossare la maglia rossonera e al suo rapporto con Leonardo. Sulle sue tracce, infatti, c’erano anche il Real Madrid, la Juventus, l’Inter e il Chelsea, che aveva offerto al San Paolo una cifra più alta, 12 milioni di euro. «Sono felicissimo di essere qui e spero di entrare nella storia del Milan», dice ai giornalisti che lo attendono all’uscita dell’aeroporto. «Ora lo valuteremo: è un trequartista classico ma in futuro potrebbe giocare anche più arretrato, alla Cerezo. Una cosa è certa: non lo gireremo in prestito», aggiunge durante una conferenza stampa Ancelotti. Si chiama Ricardo Izecson dos Santos Leite, per tutti Kakà.

Con quel soprannome, le ironie si sprecano. Luciano Moggi, il direttore generale della Juventus che pure voleva comprarlo, non si sa se in una moderna versione della favola della volpe e l’uva o spinto da una ben più semplice comicità da Bagaglino, commenta con il celebre: «Kakà non mi piace. È pericoloso esporre un giocatore con un nome così al pubblico. Se poi gioca male…». Ma non è l’unico, e neanche il peggiore. Vittorio Zucconi, nella sua rubrica “Il calcio in testa” su Repubblica, lo chiama K: «Kakà non mi riesce proprio di scriverlo, pensando ai pannolini dei bebè nipotini che mi aspettano». Anna Billò (ironia della sorte: futura moglie di Leonardo), all’epoca a Radio Radio, scherza: «Il Milan non ha l’impellenza di Kakà». In quei giorni il Corriere della Sera intervista addirittura il filosofo Stefano Zecchi, che dice: «Kakà? Brutto nome, per me che insegno estetica. Mah, spero che il detto latino “nomina sunt consequentia rerum” in questo caso non valga affatto». Tra gli scettici però una voce si distingue dalle altre: è quella di Massimo Boldi, secondo cui «Kakà diventerà un trascinatore». Ordunque, chi mostrò maggior lungimiranza? Un filosofo con il suo latinorum o Cipollino?

Kakà debutta con la maglia del Milan il 23 agosto in un’amichevole disputata a Cesena contro i rumeni del National Bucarest. Per la squadra di Ancelotti quella del 2003 è un’estate strana, e non solo per il caldo: dopo la sbornia della finale di Champions League vinta a Manchester contro la Juventus un paio di mesi prima, durante il precampionato ha racimolato solo sconfitte (2-0 con il Barcellona, doppio 1-0 contro Juventus e Inter nel Trofeo Tim, 2-0 con la Juventus nel Trofeo Berlusconi), a cui va aggiunto il ko ai rigori nella finale di Supercoppa italiana disputata a New York sempre contro la Juve. Il Milan non ha ancora segnato un gol su azione, e Galliani striglia il gruppo: «Le vacanze sono finite!». A Cesena termina 1-1, rete di Inzaghi, ma i titoli sono tutti per Kakà, che entra nella ripresa. Secondo le cronache, il primo «Siam venuti fin qua per vedere segnare Kakà» della storia si è alzato proprio dalle tribune del Dino Manuzzi.

Nel frattempo, il 20 agosto, Monica Colombo firma sempre sul Corriere della Sera un profilo del nuovo acquisto, l’unico per cui il Milan, quell’estate, ha speso dei soldi (gli altri svincolati o in prestito, come Cafu e Pancaro, più tutti giovani rientrati da varie esperienze in giro per l’Italia e l’Europa). D’altronde come si può migliorare la Cappella Sistina, una squadra che già possiede Rui Costa, Pirlo, Seedorf, Rivaldo e Shevchenko? «Se assomiglierà a Leonardo (come suggerisce Galliani) o a Cerezo (come osserva Ancelotti) saranno il tempo e il campo a stabilirlo», scrive Colombo. «Quel che è certo è che Kakà, 21 anni, due piedi vellutati e un sorriso accattivante, non passerà inosservato durante la sua avventura italiana». Nel pezzo Kakà parla della sua amicizia con Rivaldo, ma dice: “Sono un professionista, quindi i sentimenti contano fino a un certo punto. Ognuno tenta di procurarsi una maglia da titolare, ci proverò anch’io. Anche voi giornalisti avete dei concorrenti, no?». In fondo si fa anche un accenno alla sua vita privata: secondo alcune «voci non confermate», in Brasile Kakà (va specificato: nato nel 1982) avrebbe avuto una «presunta relazione» con Mariah Carey (!), nata nel 1969.

Il 1° settembre 2003 il Milan apre il suo campionato in trasferta ad Ancona. Si gioca di lunedì perché il venerdì precedente i rossoneri hanno disputato e vinto la finale di Supercoppa europea a Monte Carlo contro il Porto, guidato da un giovane allenatore portoghese di belle speranze. L’ondata di caldo estiva e il precampionato balbettante sono ormai ricordi sbiaditi. Contro l’Ancona, a sorpresa, Ancelotti schiera dal primo minuto Kakà mandando in panchina Rui Costa, Seedorf e Rivaldo. E quando a un quarto d’ora dalla fine il numero 22 riceve palla davanti alla difesa, supera Daniele Berretta con un dolce sombrero, accelera soavemente e lancia in profondità Cafu che servirà a Shevchenko l’assist per il 2-0, in quel momento è chiaro a tutti che Kakà andrà pure a letto presto a Capodanno, ma no, proprio non assomiglia a Toninho Cerezo.