Tutti pronti a farvi elettrizzare dall’Italbasket?

La Nazionale di Pozzecco va ai Mondiali da outsider, ma ha un gioco tutto suo: vibrante, intenso, rischioso. E perciò divertente.

A poco più di un minuto dalla fine della partita con il Brasile, e con un possesso pieno di vantaggio da gestire (86-83), Marco Spissu viene raddoppiato a metà campo e scarica immediatamente su Achille Polonara – che aveva solo accennato a portargli il blocco per giocare il pick & roll. Il numero 33 dell’Italia è parzialmente rivolto spalle a canestro, ma con la coda dell’occhio riesce comunque a vedere il taglio dal lato debole di Stefano Tonut; il pallone, però, gli arriva con una frazione di secondo di ritardo e comunque non del tutto sulla corsa, e così i due brasiliani in ritardo sul cambio riescono a recuperare e a mettersi a protezione del ferro; Tonut a quel punto riapre in angolo per Giampaolo Ricci che avrebbe tempo e spazio per una comoda tripla piedi per terra, ma sceglie invece l’extra-pass per Polonara; il pallone torna a Spissu, che si trova fronte a canestro poco oltre la linea del tiro da tre. A quel punto la rotazione difensiva del Brasile è già saltata: partenza andando a destra di Spissu e passaggio no look con la mano debole per il secondo taglio di Tonut, che appoggia al volo i punti 87 e 88.

In meno di dieci secondi l’Italia di Gianmarco Pozzecco ha spezzato un raddoppio e ha attaccato tre recuperi difensivi consecutivi toccando il pallone con quattro giocatori su cinque. Il quinto era Simone Fontecchio, autore di 26 punti e miglior realizzatore della partita, comunque utilizzato come esca anche in questa azione, in cui è stato marginale fin dai primi secondi. Se mai qualcuno stesse cercando una polaroid che possa descrivere l’essenza stessa della Nazionale italiana di basket alla vigilia della prima partita dei Mondiali, beh, eccola qui:

Davvero una bella azione

L’idea di coesione, di gruppo, di unità d’intenti, di squadra che è forte come collettivo perché ha fiducia nel sistema a prescindere dai suoi interpreti, è un tema che ricorre praticamente a ogni grande competizione cui la Nazionale partecipa negli ultimi anni. Addirittura, prima degli Europei del 2013 in Slovenia e a due anni di distanza dal «facciamo a cazzotti, almeno!» con cui Simone Pianigiani provò a scuotere un intero movimento dalle fondamenta, nacque #siamoquesti, l’hashtag che istituzionalizzò questa capacità tutta italiana di fare con quello che si ha. E di farlo bene, e di farlo orgogliosamente, soprattutto quando il materiale tecnico e umano non sembra essere di primo livello, o comunque non all’altezza delle altre squadre. Che ci sembrano sempre più forti, più veloci, più tutto. Non sarà una condizione ideale, questa, ma a questa Italia ha già permesso di assorbire, per altro senza eccessivi contraccolpi, le conseguenze tecniche ed emotive del “caso Banchero”. E che, a pensarci bene, vale una volta di più alla vigilia di un Mondiale molto particolare: Team Usa a parte, ovviamente, il torneo sarà caratterizzato dall’assenza di alcuni tra i migliori internationals della Nba

L’Italia è questa e quindi si è progressivamente abituata a essere questa a partire dagli Europei del 2015, gli ultimi disputati dal trio Bargnani-Belinelli-Gallinari al gran completo prima che infortuni, età, necessità di recuperare dopo l’interminabile stagione Nba, prendessero il sopravvento e privassero i vari ct della possibilità di poter contare sull’uno, sull’altro, talvolta su tutti e tre. Proprio il “Mago” è intervenuto nel decimo episodio di Afternoon, il podcast condotto da Melli e Datome e lanciato durante il ritiro di Folgaria, e ha scherzato (o forse no) proprio su questo aspetto: «Ora che non ci sono più Belinelli, Bargnani e Gallinari a cui dare la colpa, sentite un po’ di pressione?». Con questa domanda un po’ ironica e un po’ provocatoria è sembrato quasi che Bargnani volesse sottolineare come la mancanza di una o più stelle abbia finito con il diventare il vero motivo per cui dalla Nazionale sarebbe comunque lecito, anzi naturale, aspettarsi qualcosa di più. Magari provando ad andare per una volta oltre quella retorica dei romantici sfavoriti chiamati a farsi onore, che non dovrebbe valere più per una squadra che non più tardi di un anno fa è andata a due tiri liberi (sbagliati) da una semifinale europea, tra l’altro dopo aver eliminato, agli ottavi, la favoritissima Serbia di Nikola Jokic.

La stessa scelta di Banchero, che ha comunicato la sua volontà di unirsi a Team Usa soltanto due mesi fa, ha lasciato irrisolta una delle carenze che caratterizzano il roster di Pozzecco, vale a dire l’assenza di un giocatore in grado di creare qualcosa quando non è possibile spingere sulla transizione o costruirsi un tiro nei primi dieci secondi dell’azione, ma non ha comunque intaccato le prospettive e la competitività reale di un gruppo dalle dinamiche (interne ed esterne) e dalle gerarchie nette e consolidate. Un gruppo in cui Banchero avrebbe dovuto essere inserito declinando i concetti di utilità e funzionalità, e non certo assecondando lo stereotipo del risolutore definitivo e totale, dell’uomo che avrebbe dovuto guidare tutti alla terra promessa solo perché è stata la prima scelta assoluta del Draft Nba e ha messo insieme 20 punti, sette rimbalzi e quattro assist di media nella sua stagione da rookie a Orlando. Questo errore è stato già commesso, anzi reiterato, fin troppe volte negli ultimi quindici anni. E ha finito con il ritardare il confronto con i problemi strutturali di un movimento in grande difficoltà, e che è tornato a disputare la fase finale di un Mondiale solo nel 2019, tredici anni dopo l’ultima volta. Stessa cosa anche per le Olimpiadi: ci siamo tornati nel 2020/21, mancavamo dal 2004.

Il paradosso, che in realtà tale non è, è stato spiegato proprio dal ct nella puntata numero 8 di Afternoon, non a caso la più lunga e quella che ha raccolto il maggior numero di interazioni: «Io credo che il mio unico merito sia di aver capito che in realtà il merito è vostro. Nel mondo perfetto, un mondo in cui tutti hanno piena consapevolezza di quello che accade, l’allenatore non avrebbe senso di esistere. Invece l’allenatore esiste per mettere insieme le idee e fare in modo che tutti siano più o meno alla stessa pagina. Con voi ragazzi ho spesso la sensazione che capiate le cose da soli, che siete in grado di trovare le soluzioni», ha detto a Melli e Datome, insistendo sull’aspetto che riguarda il piacere di allenare una squadra centrata, consapevole di limiti e potenzialità, dai pregi e difetti ben definiti, che sa cosa deve fare e quando farlo.

Da questo punto di vista, in effetti, l’Italia è una squadra elettrica, per certi versi anche estrema nella sua costante necessità di dare e darsi delle motivazioni extra in ogni singola fase della partita. Una squadra che ha bisogno di alzare il ritmo in entrambe le metà campo – in particolare quella difensiva, dove la cronica assenza di chili e centimetri dovrà essere compensata dalla forza di volontà di Melli e Polonara sotto canestro e dall’intensità di Pajola – per poter credere di giocarsela davvero alla pari con tutti. Che, poi, è il motivo per cui le migliori indicazioni emotive nel percorso di avvicinamento al Mondiale, sono arrivate quando gli azzurri hanno dovuto rimontare uno svantaggio in doppia cifra (come contro la Serbia, risalendo dal -13 di fine primo quarto) o hanno dovuto misurarsi in un “corpo a corpo” prolungato (Turchia e Nuova Zelanda su tutte), e non nelle partite in cui si sono trovati a gestire un vantaggio più o meno ampio – Grecia e in parte anche Porto Rico, battuta 98-65 in quella che è stata l’ultima partita di Datome su suolo italiano prima del ritiro. E quindi non è un caso che, dopo il successo contro la Nuova Zelanda, Pozzecco si sia espresso con queste parole: «La prima cosa che abbiamo capito è che possiamo perdere contro tutti. Ne ho parlato con i giocatori e questo può succedere a noi e a chiunque altro ma questa Nazionale ha un presente e ha un futuro e dobbiamo esserne consapevolmente contenti».

L’ultima amichevole degli Azzurri

Per questo fare pronostici, ipotizzare scenari e accoppiamenti più o meno comodi dopo la prima fase, chiedersi fin dove possa arrivare questa Nazionale, ha senso fino a un certo punto. Ed è un discorso valido anche dopo le sette vittorie in altrettante amichevoli di preparazione, che infatti diventano più che altro un riferimento per capire cosa aspettarci dal punto di vista tecnico e dell’atteggiamento. L’Italbasket è una squadra che ha bisogno di auto-alimentarsi con la sua stessa energia, che deve mantenere alta l’asticella e il voltaggio in tutto ciò che fa, e che per questo deve puntare a generare partite dal numero di possessi offensivi più alto possibile, anche a costo di insistere con una selezione di tiro che si è fatta sempre più radicale; in questo senso sarà fondamentale l’apporto del secondo quintetto – Gabriele Procida e Matteo Spagnolo su tutti – nei minuti a cavallo tra secondo e terzo quarto e, ovviamente il ruolo di Simone Fontecchio, l’uomo a cui affidarsi nel momento in cui si tratterà di forzare un tiro con il cronometro sul filo dei 24 secondi: «Non siamo gli Stati Uniti o il Canada che sono in grado di vincere tutte le partite di 30, quindi è normale aspettarsi alti e bassi, però abbiamo dimostrato che sappiamo reagire, che sappiamo prendere i colpi e rimanere comunque lì,  concentrati nel giocare il nostro basket, nella stessa maniera in cui lo abbiamo sempre fatto», ha detto Fontecchio.

Un principio, quello del saper incassare, che sembra essere stato ripresa direttamente dalla boxe, e non certo per creare un espediente meramente narrativo: la visione della sfida tra due pesi massimi al centro del quadrato, impegnati in un incontro brutale da oltre 100 colpi a round, calza perfettamente a questa Italia. Una squadra che è disposta ad accettare il rischio di provare a darne più di quanti ne riceva. Vincere o perdere, poi, sarà questione di dettagli, di esecuzioni, di adeguamenti in corso d’opera, di quanto si sarà stati in grado di fare le cose giuste al momento giusto, persino di come si sarà gestita l’incidenza del caso, del pallone che rimbalza sul ferro in un modo piuttosto che in un altro, del tiro che esce o entra semplicemente perché era destinato a uscire o a entrare; ma, come ha detto Pozzecco, «quello che è stato costruito, dalle qualificazioni al raduno di Folgaria fino a questo percorso netto nelle amichevoli resta e resterà. E non sarà una competizione a far cambiare opinione su questa squadra e questi ragazzi». Quindi sì, siamo questi. E siamo forti, a modo nostro. Quanto, lo scopriremo a partire da domani.