L’accoglienza ricevuta da Romelu Lukaku a Roma è di quelle che si riservano a un eroe o un salvatore. A Ciampino c’erano almeno cinquemila persone, fumogeni, cori e bandiere ad attendere il jet guidato da Dan Friedkin – che della Roma non è il pilota ufficiale, piuttosto il proprietario. Altre quarantamila persone, o più probabilmente molte di più, hanno seguito il volo via internet. Dai video sui social si percepisce l’attesa di una città e di una squadra che vedono in Lukaku un inevitabile protagonista. A prima vista, non è facile dargli torto: in fondo si tratta di un attaccante che ha segnato 121 gol in Premier League, quasi 250 totali in carriera, di uno dei migliori centravanti della sua generazione; e poi il finale della scorsa stagione suggerisce che, qualora fosse assistito da una condizione atletica ottimale, Lukaku sarebbe ancora uno degli attaccanti più importanti della Serie A. Insomma, a guardarla da una certa prospettiva Romelu Lukaku è l’eroe che la Roma stava aspettando, il grande colpo estivo della società giallorossa, che da quando è entrata nel portafoglio della famiglia Friedkin pare debba concedersi per forza una grande operazione ogni anno: prima José Mourinho, poi Paulo Dybala, adesso Romelu Lukaku.
Il rovescio della medaglia di questo trasferimento è il senso di urgenza, forse perfino di disperazione, offerto da Lukaku e dalla Roma. Vale a dire da due entità che si incontrano a fine mercato per stringere un accordo di cui avevano tremendamente bisogno. Lo scorso 4 giugno la squadra giallorossa si è ritrovata priva del suo centravanti titolare, Tammy Abraham, a causa di un infortunio ai legamenti del ginocchio, e a un certo punto quest’estate è sembrata accettare il destino – dettato dalle condizioni economiche – di giocare tutta la stagione con un attaccante che l’anno scorso ha segnato zero gol in campionato. Tiago Pinto ha dovuto fare mercato con i ristrettissimi margini concessi dalle finanze della Roma, ha provato a mettere a posto la squadra con Aouar, N’Dicka, Paredes, Renato Sanches, ha monetizzato con Roger Ibañez e qualche giovane della Primavera. L’unico slot che non è riuscito a riempire, in oltre due mesi, è stato quello del centravanti – forse davvero l’unico ruolo in cui una certa liquidità da mettere sul piatto è ancora una condizione indispensabile, almeno a certi livelli. Qualche giorno prima di Lukaku la Roma aveva ufficializzato l’acquisto di Azmoun, che però fin dall’inizio è sembrato un ripiego più che una vera opzione per il ruolo di centravanti titolare. Ecco perché Lukaku sembra il salvatore, l’uomo che deve disincagliare la Roma dalle secche di una stagione già piena di interrogativi. Per di più iniziata con un punto in due partite, con il solito attacco sterile e una difesa – apparentemente – non più affidabile come prima.
Per chiudere la trattativa, la Roma ha dovuto rompere il salvadanaio. Alla fine ha strappato un accordo da 5,8 milioni per il prestito di un anno e 7,5 milioni di stipendio al giocatore. Queste cifre dicono che la società giallorossa non poteva di più. Al tempo stesso, però, bisogna anche dire che si tratta di un investimento strano, strano come il muoversi al limite delle proprie possibilità finanziarie per un attaccante che da due anni sembra entrato in una fase crepuscolare della carriera. Non sappiamo quale sia il Lukaku arrivato a Roma, quello sceso dall’aereo dei Friedkin in look total black, la faccia prima seria e poi con un sorriso solo abbozzato. Quando è tornato all’Inter, poco più di un anno fa, sembrava destinato a un’altra stagione brillante, come quella dello scudetto 2020/21. Nessuno aveva tratto conseguenze significative da un’annata cupa al Chelsea: poteva trattarsi di un malanno passeggero, una parentesi negativa nell’avventura nerazzurra. Era anche partito bene, con un gol e un assist nelle prime due, poi l’infortunio, le partite saltate, il rientro ai Mondiali in una condizione indecorosa per il Belgio e per lui, gli errori sotto porta nella partita decisiva del girone, quei movimenti goffi in cui sembrava uno dei giocatori Nba a cui i Monstars di Space Jam hanno rubato il talento.
Il rientro dai Mondiali forse è andato anche peggio: la Supercoppa con il Milan, a gennaio, guardata solo dalla panchina, un nuovo fastidio al ginocchio. E, solo dopo qualche settimana, una leggera ripresa e il gol al Porto agli ottavi di Champions League. Ma sembrava impossibile ritrovare il vero Lukaku, o anche solo l’idea che avevamo di lui, cioè un centravanti che quando attacca fronte alla porta è una valanga che travolge le valli delle difese avversarie e nel gioco a metà campo ha imparato a contribuire usando tutto lo spessore del suo corpo per tenere lontani gli avversari. Fino a pochi mesi fa, il livello di Lukaku sembrava ormai poggiare su un plateau più basso rispetto ai picchi dell’Inter dell’era-Conte, come se il giocatore visto in quel biennio non potesse più esistere. Poi è arrivata la primavera e Lukaku è sbocciato. Da aprile in avanti è stato di nuovo quel Lukaku, o quasi: una condizione fisica notevole, la solita forza bruta a prevalere sui difensori e un minimo di confidenza nelle conclusioni hanno restituito all’Inter la versione più simile all’attaccante dominante dello scudetto. Il tabellino parziale del suo finale di campionato riporta sette gol e cinque assist nelle ultime nove partite giocate, perciò ha chiuso l’ultima Serie A con uno score di dieci gol e sei assist in 25 partite, che però sono appena 1660 minuti, quindi circa un gol ogni cento minuti. In realtà sono numeri enormi, solo di un campione però troppo esiguo.
L’ultimo Lukaku con la maglia dell’Inter, in tutti i sensi
Il punto è che la Roma vorrebbe avere il miglior Lukaku per più di due mesi. Avrebbe bisogno di trovare in lui l’uomo da mettere al centro dell’attacco e del progetto tecnico di questa stagione. Una condizione che sembra ritagliata su misura per l’attaccante belga, uno che ha bisogno di sentirsi essenziale, un protagonista, motore più che ingranaggio, per rendere al meglio. E ha bisogno di una spalla con cui fare reparto: negli ultimi anni ha brillato quando non gli era richiesto di coprire da solo tutto il fronte offensivo. A Roma, Lukaku trova Dybala – un attaccante molto diverso da Lautaro, quello con cui si è trovato meglio in carriera – e formerà con lui una delle migliori coppie d’attacco del campionato, almeno sulla carta. Poi c’è bisogno di averli entrambi sani, di averli in campo insieme, di creare l’intesa e le condizioni migliori per farli associare e moltiplicare i loro talenti. E poi inserirli in un equilibrio di squadra, che la Roma quest’anno non ha ancora trovato e verosimilmente cercherà proprio a partire dai suoi due attaccanti.
Allora l’intera operazione Lukaku-Roma può essere, ancora, qualsiasi cosa. Una specie di acquisto di Schrödinger per cui, fin quando non arriva la primavera, o almeno la pausa di metà stagione, non possiamo stabilire se è stata un’operazione win-win o una grande delusione – difficilmente sarà una via di mezzo tra queste. Per Lukaku, soprattutto, quest’occasione somiglia tanto all’ultimissima spiaggia. Un giocatore intristito da dinamiche di mercato da paria, da reietto, respinto dall’unica squadra in cui sembrava poter brillare, ignorato da quella a cui si era promesso, finito in una che nemmeno sperava di poterlo comprare. I trent’anni per un attaccante possono essere l’inizio della fase matura e consapevole, quella in cui la tecnica e l’intuito prendono il posto dell’esuberanza fisica. Per Lukaku sembravano solo l’inizio della fine, ora è comparsa un’occasione da sfruttare. Il matrimonio con la Roma può essere una rinascita ma anche un fallimento colossale.