Kaoru Mitoma sta incendiando la Premier League

Gol, assist e tanti dribbling saettanti: l'esterno del Brighton ha iniziato alla grande la stagione.

C’è una poesia di Takashi Mutsuo, dal titolo L’albero che non c’è, che fa così: «Se vogliamo parlare di un albero che non c’è/allora non ci sarà la pallida barba delle radici ad allargarsi sottoterra/non ci sarà il tronco possente che si erge fino a toccare il cielo (…) elencando negazioni/nella mia mente si disegna un albero. Il non essere di un albero che non c’è/e l’essere di un albero che c’è/si bilanciano l’un l’altro con uguale peso/se vogliamo parlare di un albero che non c’è». Ecco, se vogliamo parlare di un campione che ancora non c’è, ma che ha tutte le caratteristiche di un campione, allora dobbiamo parlare proprio di un calciatore giapponese come Takashi Mutsuo: si tratta di Kaoru Mitoma, ala classe 1997 preso dal Brighton nella stagione 2021/22 – che però ha trascorso in Belgio, in prestito all’Union Saint-Gilloise. Mitoma è esploso l’anno scorso: 41 presenze stagionali e dieci gol, di cui uno pazzesco contro il Liverpool in FA Cup. E ora ha iniziato la nuova stagione col botto, segnando una rete fenomenale contro il Wolverhampton.

È il 14esimo minuto del primo tempo, il punteggio è sullo 0-0: Mitoma parte palla al piede dalla fascia sinistra dirigendosi verso l’interno, sfugge al terzino destro dei Wanderers che prova a fermarlo trattenendolo per la maglia, innesta la quinta allungandosi sapientemente il pallone – solo in quel momento gli avversari comprendono il pericolo e accelerano il passo, ma è già tardi. Con un altro tocco entra in area, brucia Kilman che prova a sua volta a bloccarlo afferrandolo per il lembo della divisa, infine batte José Sá con un destro aperto. Pochi secondi dopo l’inizio della ripresa realizzerà anche l’assist per il 2 a 1 del Brighton, servendo un cross rasoterra apparentemente elementare nell’esecuzione, ma provvidenziale per portare la squadra in vantaggio. Di gol e assist del genere, in particolare, ne ha realizzati parecchi  anche quando giocava in patria, dove era la stella della più forte squadra giapponese degli ultimi anni, il Kawasaki Frontale – un nome che, tra parentesi, calzerebbe a pennello a una mossa finale o a un tiro speciale, uno di quelli che Holly Hutton e Mark Lenders si inventavano tra un torneo scolastico e l’altro.

Prova a prendere Mitoma/1

Per quel che si è visto nell’ultimo anno, è chiaro, Mitoma sembra destinato a un roseo futuro in Premier League, un ambiente competitivo in cui sa stare benissimo. Grazie a qualità tecniche eccezionali, per il rapporto profondissimo che ha con la palla. Perché Mitoma non è solo un giocatore completo da un punto di vista tecnico, in grado di calciare con entrambi i piedi e di creare superiorità numerica, ma sembra godere di un’aura talismanica, tipica di quei calciatori in grado di spezzare le partite all’improvviso. Potrà sembrare esagerato, ma osservando il suo impatto – e tenendo conto che sta entrando nel prime della sua carriera – viene da chiedersi se possa essere proprio lui la Next Big Thing della Premier League. Per il modo in cui si muove in campo, per come usa il pallone per farsi strada nella difesa avversaria, per l’energia che attraversa lo stadio quando parte in dribbling. Non stiamo parlando di un fuoriclasse che è già tale, perché per esserlo si devono prima vincere i trofei, ma di una promessa di campione: il suo rapporto tra potenza e atto, tra passato e futuro, vive un equilibrio così perfetto che è doveroso prenderne consapevolezza. 

Poi certo, Mitoma deve ancora dimostrare molte cose, nel calcio europeo. Ma i suoi highlights recenti aprono uno sguardo illuminante su come quest’ala sinistra interpreti il ruolo coniugando benissimo tutti i fondamentali del gioco. Nello specifico, Mitoma dribbla senza il gusto di umiliare l’avversario, passa con utilitaristica puntualità il pallone e conclude con tiri la cui tecnica sembra estrapolata dalle pagine di un ideale manuale calcistico. Il suo rapporto con la sfera, poi, sembra un compendio dei valori della cultura giapponese: non per il fatto che la sua formazione ricalchi quella di tanti altri calciatori del Sol Levante – famiglia di sportivi alle spalle, educazione universitaria, lo stakanovismo nel perseguire una vocazione che non contemplava piani di riserva – ma per cose più intangibili. Come una frugalità che in realtà è ricerca dell’essenza, o una severità nello studio dell’oggetto del proprio impegno che denota umiltà e ossessione, nonché l’atavico terrore che i giapponesi hanno del fallimento – punto in comune con il meno umile ma altrettanto ossessionato Occidente.

Solo quando esulta perde parte di quella compostezza erta ad habitus mentis, un’armatura attraverso la quale ha imparato a dominare i difetti e le forze che spesso finiscono col bruciare i giovani calciatori, quali impulsività e pressione. Quando era un ragazzo, Mitoma aveva evitato il salto diretto tra i professionisti preferendo continuare a formarsi in un contesto, quello universitario, meno competitivo ma per lui più congeniale. Ora quando è in campo, anche grazie a quel lungo apprendistato, riesce a contenere l’impulsività delle scelte e ad arginare la pressione degli avversari utilizzando il fondamentale più associabile all’estro – il dribbling – con un’austerità che sembra avvalersi del pensiero magico espresso nel da Antonia Byatt nel romanzo La vergine nel giardino :  «C’era un ragazzo, un giocatore di scacchi, il quale un giorno rivelò che il suo talento consisteva in parte in una nitida visione mentale dei potenziali movimenti dei pezzi, ognuno visto come un oggetto munito di una guizzante coda di luce colorata: vedeva uno schema vivo di mosse plausibili e selezionava quelle che rendevano lo schema più nitido, le tensioni più marcate. Sbagliava quando sceglieva le linee di luce più belle anziché le più fort»”.

Vede questo, Mitoma, quando parte palla al piede? Scie di luce e lampi di fantasia che deve filtrare attraverso l’intelletto? Quando parlavo di studio, poco sopra, pensavo alla tesi di laurea con la quale si è laureato in Scienze Motorie, incentrata proprio sul dribbling. Per cercare di capire la correlazione tra mente e corpo al momento dell’atto, Mitoma ha interrogato tanti suoi compagni di gioco e analizzato centinaia di ore di materiale video, arrivando infine a questa conclusione: i migliori dribblatori non guardano il pallone, ma tutto il resto. Come i cecchini e gli stenografi e Ludwig Wittgenstein, gli specialisti del dribbling non si soffermano sul medium che permette loro di assolvere la loro funzione, ma vanno oltre. Per essere un dribblatore d’élite, non puoi preoccuparti di dove sia la palla mentre cerchi lo spiraglio o il controtempo giusto da infilare. È scontato che tu debba sapere esattamente sapere dove sia, se sei padrone della materia. Mitoma sembra esserlo. Anzi, lo è. Basta osservarne le sterzate, i cambi di direzione, le conduzioni prive di barocchismi, la maniera in cui si libera della palla quando ne ha esaurito lo scopo. Mitoma segue la luce più forte per poi serrare tutto entro giocate che azzerano il flusso, come questo gol che gli è valso la tripletta contro il Seraing, ai tempi dell’Union Saint-Gilloise:

Prova a prendere Mitoma/2

Dopo aver preso il controllo del pallone e dato il via al contropiede, Mitoma attraversa la trequarti avversaria in diagonale, bruciando come una scia infuocata il piano inclinato lungo il quale gli avversari scivolano nel tentativo di fermarlo. Più che avvicinarsi alla porta pare allontanarsene, ma è tutto calcolato. La velocità, la direzione, persino – e soprattutto – il tocco con cui si allunga il pallone per superare l’ultimo marcatore, raggiungere il bordo dello schermo televisivo e zippare la conclusione sul palo opposto, formando un angolo acuto.

Osservando questa e le giocate che costituiscono il suo portfolio, tutto fa pensare che Mitoma abbia lavorato molto per arrivare a essere il giocatore che è oggi, andando di gavetta in gavetta. Talentuoso per natura, com’è consono ai migliori, ma pure consapevole di sé stesso, dei propri limiti, e dunque disciplinato, abituato a procedere per gradi. Il prossimo step potrebbe essere l’approdo in una squadra più forte e importante del Brighton, che prima dell’avvento di De Zerbi era conosciuta prevalentemente per essere la squadra che Brian Clough aveva mollato per scappare al Leeds United, a inchiostro sul contratto non ancora asciutto. Magari arriveranno le offerte delle Big Six, del Real Madrid o del Barcellona di turno, Mitoma le accetterà non appena vorrà smettere di essere un campione che non c’è e vincere qualcosa d’importante a livello di squadra. Perché il tempo passa e pure gli alberi invecchiano. E per fuggire il tempo, per non gettarsi oltre il senso di tutto questo, ce lo vedo Mitoma che diventa un giocatore giramondo, un attaccante eterno come il connazionale Kazuyoshi Miura, perdendosi nel flusso degli eventi e in un calcio sempre diverso, che cambia fino a snaturarsi. Tranne che per una cosa. Una cosa espressa sapientemente dai versi di Koike Masayo e alla quale Mitoma – mi piace pensarlo – dà corpo ogni domenica, mentre insegue il sogno di diventare uno dei migliori giocatori della sua generazione e, tra un dribbling e l’altro, si astrae per ripensare al passato e immaginare il futuro – tra loro legati dall’infinita costante, un unico uguale movimento.

«Da lontano arriva rotolando una palla/la palla rotola, spinta da un calcio (…) un bambino la insegue di corsa (…) i tempi non combaciano/ci siamo io il bambino e la palla/breve intervallo di un confronto senza nome/nessun rammarico/l’incredibile gentilezza della palla».