Sta arrivando Endrick, e vuole prendersi tutto

Ha 17 anni ma è già un giocatore completo, una star globale. E ora, in attesa di sbarcare al Real Madrid, ha già conquistato la Nazionale brasiliana.

Se guardiamo una compilation di giocate di Endrick, il prossimo centravanti del Real Madrid e della Nazionale brasiliana, una delle prime cose che ci salta all’occhio è la velocità. Quella che riesce a raggiungere sul lungo – che è fuori dal normale, visto che tocca i 36.5 km/h palla al piede – ma anche quella con cui, al momento dello scatto, diventa imprendibile. Il suo primo passo è bruciante ed esplode anche negli spazi stretti, che domina in movimento grazie a una sensibilità di tocco magnetica. Per il modo in cui combina rapidità e tecnica, e forse anche per la speranza dei brasiliani di aver ritrovato un numero nove generazionale, è stato accostato a Ronaldo. In realtà il paragone più frequente, e anche più centrato, è quello con Romário: in effetti Endrick – nato a Taguatinga, vicino Brasilia, nel 2006 – è una punta mancina, brevilinea (al momento è alto 173 cm), con una straordinaria agilità nel portare palla nello stretto, nel superare i difensori facendosi bastare uno spazio minimo tra sé e i loro corpi, come se stesse passando attraverso un tornello, con un senso del gol che lo porta a segnare in qualsiasi modo, che quando ha la palla tra i piedi trasmette una costante impressione di iperattività.

I punti di riferimento nel suo ruolo, in Brasile, sono giocatori di venti o trenta anni fa, ed Endrick come loro ha una varietà di caratteristiche che lo colloca fuori dal tempo. Allo stesso tempo, però, parliamo di un giocatore straordinariamente moderno, aggressivo ed efficace nel recupero del pallone, capace di imporsi con l’uso del fisico: quando ha spazi aperti a disposizione non ci pensa due volte a strappare in velocità, anche con uno stile molto diretto, allungandosi il pallone oltre l’uomo come il suo idolo Mbappé. Il baricentro basso e le cosce grosse, che lo fanno sembrare un po’ tarchiato, gli permettono di reggere gli urti con difensori molto più grandi di lui, di ricevere palla spalle alla porta e, con un movimento di bacino, crearsi lo spazio per esplodere in un allungo, ma anche di sradicare palla all’avversario quando va a contrasto.

Un corpo così autosufficiente basterebbe di per sé per rendere pericoloso un attaccante, e invece è soltanto una parte, e nemmeno quella più importante, del giocatore che è e che può diventare Endrick. Scambiarlo per un freak fisico, per una punta che basa il proprio gioco sull’atletismo, quando in realtà ciò che lo rende un giocatore diverso da tutti gli altri è il modo in cui la combina all’istinto per la giocata, alla creatività, al modo in cui si relaziona con i compagni attraverso il pallone. Endrick, da questo punto di vista, è un giocatore estremamente simile a Vinícius Júnior, suo futuro compagno di attacco: non soltanto perché entrambi, pur essendo due dribblatori, sono perfettamente a loro agio in un calcio fatto di triangolazioni e uno-due, ma perché condividono la stessa capacità naturale di generare connessioni senza mai abbassare il ritmo delle loro giocate, anzi, alzando quello a cui gira la squadra.

Endrick ha un modo di interpretare il ruolo di centravanti spaventosamente completo: ha una facilità di calcio enorme, prende tiri potentissimi e precisi anche da fuori area, sa segnare in tutti i modi (contro l’Athletico Paranense si è disteso per raccogliere un cross basso e piazzarlo con la testa all’angolino come se stesse usando l’interno del piede), svaria in tutte le direzioni ed è naturalmente portato a rifinire l’azione, a servire con precisione sulla corsa i compagni che scattano. Insomma, non c’è un aspetto del gioco che sembra essergli precluso, o che non possa arrivare a dominare con un po’ di abitudine. Ora al Palmeiras. quanto al Real Madrid in futuro, per sviluppare al massimo il suo potenziale avrà bisogno di un contesto che cerchi di stimolare tutte le corde del suo gioco: forse è per questo motivo che il suo primo anno tra i professionisti lo ha visto alternare bagliori di puro talento a lunghi momenti difficili. Il suo allenatore Abel Ferreira lo ha inizialmente schierato da prima punta, utilizzandolo per tenere in allerta la linea difensiva avversaria con la minaccia di colpire in profondità, ma senza preoccuparsi molto di coinvolgerlo nella manovra. Poi però ha cambiato idea: «Se lo metto centravanti, tutto il suo potenziale si perde», ha detto recentemente Ferreira. E infatti nell’ultimo mese, per renderlo più partecipe al gioco, ha iniziato a schierarlo più defilato: «Endrick è forte quando ha spazio sulle fasce, quando può utilizzare la sua velocità, il suo dribbling, la sua finalizzazione».

Per quanto, nella concezione del suo allenatore, l’Endrick velocista prevalga sull’Endrick associativo, questo cambiamento ha avuto il pregio di liberarlo dall’area e avvicinarlo più al cuore del gioco, permettendogli di toccare più palloni. Nel mese di novembre, Endrick ha già segnato quattro gol in quattro partite e ha trascinato il Palmeiras in vetta alla classifica, superando un Botafogo che tre mesi fa, con un vantaggio di sedici punti sulla seconda, sembrava irraggiungibile. Vincere questo campionato da protagonista sarebbe la prima grande impronta lasciata da Endrick nel calcio vero, oltre che nella storia del Palmeiras – il club a cui a cui lui e la sua famiglia hanno sempre espresso gratitudine per averli sottratti a una condizione di povertà. A dieci anni era già così forte che il Verdão, pur di prenderlo e quindi farlo trasferire a San Paolo da Valparaíso de Goiás, vicino Brasilia, ha offerto un lavoro anche al padre, come addetto alle pulizie della sede del club.

Vedendo i suoi video nelle giovanili, Endrick sembra sempre in controllo come un giovane adulto in mezzo ai bambini, al punto che spesso veniva accusato dagli altri genitori di essere un “gato”, come si dice in Brasile, ovvero di imbrogliare sulla propria età – l’esultanza con il dito indice sulle labbra, ha detto, è in parte rivolta a queste voci. La realtà è che ha sempre giocato sotto età di due anni. E nche oggi, 17enne tra gli adulti, il suo talento ha un aspetto sovradimensionato rispetto a chi gli sta intorno. Ogni partita sembra lasciare un segno, un dettaglio di quanto sia un giocatore eccezionale. Quella che racchiude meglio l’essenza di Endrick è anche la sua miglior prestazione, la vittoria per 4-3 contro il Botafogo, arrivata al termine di una rimonta incredibile da 3-0 a 3-4 a cui ha dato il via con una doppietta, e che di fatto ha riaperto la corsa al titolo. Il primo gol descrive bene la parte più appariscente del suo calcio: palla al piede, passa attraverso due difensori come Super Mario quando trova la stella che lo rende immune a tutto, poi accelera per non farsi raggiungere da altri due e segna. Il secondo, invece, racconta il lato più speciale del suo talento, ovvero il suo rapporto con l’impensato: al limite dell’area, si ritrova davanti una palla a mezza altezza dopo un rimpallo e, invece che metterla giù normalmente, la smorza a terra col ginocchio sinistro per portarsela di qualche centimetro verso l’esterno, dribblando così l’uomo che si aspettava il tiro al volo ed era andato a chiuderlo. In una frazione di secondo, calcia secco e dritto sul primo palo e infila il portiere. È un tipo di giocata che non esiste nella nostra memoria, non esiste finché Endrick non decide di darle forma, di plasmarla con una creatività visionaria. Ma è, soprattutto, una giocata di un’intelligenza pura e immediata, perché qualsiasi altro modo di stoppare il pallone lo avrebbe costretto a muovere il corpo più di quanto abbia fatto schiacciandolo col ginocchio e gli avrebbe tolto l’equilibrio per il tiro successivo, praticamente da fermo.

Una prestazione accecante, al di là della doppietta

Endrick dice che cerca sempre di fare la cosa più difficile. E non è raro vederlo trasformare palle a mezz’aria in rovesciate improvvise, o alzarsi palloni per superare l’uomo con un sombrero, anche se in realtà è l’opposto di un calciatore fumoso, perché la sua fantasia sfocia sempre in qualcosa di incisivo e funzionale. Oggi ha 17 anni, da un anno è di proprietà del Real Madrid, che lo ha pagato circa 60 milioni di euro, e a breve debutterà con la Seleção, di cui è il più giovane convocato di sempre dopo Pelé ed Edu. La sua crescita, anche se ha già attraversato momenti difficili, al momento sembra inarrestabile, inoltre è un ragazzo estremamente disciplinato: racconta di impegnarsi a mantenere un’alimentazione sana, a imparare inglese e spagnolo, ripete a ogni intervista di dover mantenere i piedi per terra e sottolinea l’importanza della forza mentale. Anche in questo sembra più grande dell’età che ha, o perlomeno più preparato, visto che firma contratti con sponsor e vive in una bolla di hype da quando è entrato nell’adolescenza.

A livello tecnico, l’impressione è che per esprimersi con una continuità sempre maggiore avrà soltanto bisogno di giocare. E di lasciare che il tempo costruisca attorno al suo talento un calciatore sempre più forte, sempre più determinante. I suoi futuri allenatori, più che riempire dei buchi che in realtà non ha, dovranno permettergli di esprimersi liberamente, di svariare, di mettere in luce tutte le sfaccettature del suo gioco, senza confinarlo in compiti e posizioni troppo rigidi: in questo senso, Fernando Diniz sembra l’allenatore ideale per inserirlo nel contesto della Seleção – così come Carlo Ancelotti, che a quanto pare prenderà il suo posto. In un Real Madrid senza un centravanti davvero titolare, orfano della genialità di Karim Benzema ma ancora costruito sulle connessioni istintive dei suoi giocatori di maggior talento più che su meccanismi codificati e riferimenti rigidi nelle posizioni, Endrick avrebbe forse potuto dare il suo contributo già in questa stagione. Il fatto che il club in cui metterà piede la prossima estate con ogni probabilità non sarà quello di Ancelotti resta un piccolo rimpianto. Ma in fondo, di fronte all’arrivo di un giocatore con tutte le potenzialità per segnare la sua epoca, questo diventa quasi un dettaglio.