Perché il mercato di gennaio è stato così deludente?

Pochi colpi, anche in Inghilterra e persino in Arabia Saudita. Non è una vera e propria recessione, ma una reazione a tutta una serie di contingenze.

Il calciomercato di gennaio ha un fascino tutto suo, perché arriva dopo le feste di Natale, nel tepore un po’ ovattato delle case mentre fuori c’è il freddo. Spesso è tempo di acquisti minori, rincalzi, puntelli e altri termini che sopravvivono solo nella lingua di plastica del calciomercato. Qualcuno lo usa per rivoluzionare la rosa, altri per sistemare quello che non ha funzionato in estate, altri ancora devono darsi una chance per continuare a sperare in obiettivi non previsti e forse irraggiungibili. Capita che la finestra di mercato invernale riunisca tutte le paranoie possibili dei club e diventi un pandemonio di spese illogiche, affrettate, come l’anno scorso, quando solo i club di Premier League avevano speso poco meno di un miliardo di euro, più della metà dei quali sborsati dal Chelsea per chiudere nove operazioni in entrata. Altre volte è tutto spento, in maniera anche un po’ triste e cupa, come quest’anno.

Per una volta la Serie A ha provato a muovere più pedine degli altri campionati, ma è stato per lo più un mercato di prestiti e acquisti minori. Lo prova il fatto che il Napoli, cioè la squadra che ha speso più di tutte (21 milioni di euro investiti, su poco più di 100 totali della Serie A), non è nemmeno nella top ten delle squadre che hanno speso di più in Europa. L’operazione più interessante e potenzialmente più costosa l’ha fatta la Juventus con Carlos Alcaraz del Southampton, ma il costo iniziale del prestito è inferiore ai quattro milioni – la vera spesa dovrebbe arrivare in estate in caso di riscatto a 49,5 milioni. Il premio per il movimento interno alla Serie A più intrigante va alla Roma, che ha preso Tommaso Baldanzi, rimpiazzato dall’Empoli con M’baye Niang – ma davvero? In che anno siamo? Come fa Niang ad avere meno di trent’anni? Poi c’è stato il mercato senza senso apparente dell’Hellas Verona, con nomi presi da una partita tirata troppo a lungo a Football Manager piena di regen e altre stregonerie – Centonze, un Mitrovic tra i tanti Mitrovic, Noslin, Belahyane, Tavsan. E poi, non ci sarebbe nemmeno bisogno di sottolinearlo, i soliti acquisti improbabili del Lecce e quelli impossibili di Walter Sabatini alla Salernitana.

Come sempre, se parliamo dell’economia del calcio e di tutte le sue diramazioni, la prima destinazione cui guardare è l’Inghilterra. C’è poco da girarci intorno. Se c’è un calo netto nella spesa di gennaio in Europa è colpa della Premier League. Quest’anno le squadre inglesi hanno speso 121 milioni di euro, con un calo dell’86% rispetto all’anno scorso. In totale gli affari in entrata sono stati soltanto 30. E inoltre undici squadre, quindi la metà del totale, non hanno tirato fuori un centesimo. Con l’eccezione del gennaio 2021, seconda finestra di mercato in piena pandemia, era dal 2012 che la spesa aggregata delle venti di Premier League non era così bassa. Ci si aspettava un Arsenal più attivo e più combattivo, alla ricerca di una punta per continuare la corsa al titolo, ma non è arrivato nessuno. Aspettando il Chelsea qualcuno aveva già preparato i popcorn, invece non si è mosso – come in quel meme con il bastoncino «C’mon, do something».

«Il motivo è chiaro ed è il Fair play finanziario che sta limitando i club in Italia e in Spagna, dove per anni ha frenato e sta continuando a frenare tutte le società, grandi e piccole», dice a Undici Fabrizio Romano, che per tutto il mondo è il grande uomo del calciomercato, se ce n’è uno. «Per la prima volta, adesso, c’è un Fair play finanziario che sta limitando anche le squadre inglesi, cioè il mercato più grande del calcio. E se Manchester United, Manchester City, Chelsea, Arsenal, Liverpool, Newcastle non fanno nemmeno un acquisto allora sono tutti fermi, perché non si muovono soldi, creando un collo di bottiglia». Il Fair play finanziario della Premier League è determinato dalle Profitability and sustainability regulations (PSR), che in buona sostanza comporta sanzioni per tutti i club che superano i 105 milioni annui di perdite in un triennio. Il regolamento è stato introdotto nella stagione 2013/14, due anni dopo il FPF della Uefa, ma è entrato in vigore solo lo scorso ottobre. Alla prima finestra di mercato, ha subito dimostrato di aver influito. Anche perché in estate l’Assemblea della Premier League aveva votato un provvedimento per far ricadere sul campionato in corso tutte le penalizzazioni relative a questa stagione. E quello che è successo all’Everton – penalizzato di 10 punti in classifica – deve aver spaventato molte squadre, così come le indagini in corso sul Nottingham Forest e sul Manchester City – gli investigatori però stanno approfondendo le cifre relative al Fair play finanziario della Uefa.

Nella sua newsletter On Soccer, Rory Smith del New York Times suggeriva anche una maggiore saggezza di alcuni club, più propensi alla programmazione di lungo periodo e quindi meno portati a spendere a stagione in corso. Ma questo gennaio spento e noioso da parte delle squadre inglesi è soprattutto un promemoria per chi guarda da fuori le evoluzioni del calciomercato. Ci ricorda che tutti i club, anche i più ricchi del mondo, vivono spesso al di sopra delle loro possibilità. Se vengono inserite nuove regole, nuovi metodi di controllo o nuove sanzioni dovranno necessariamente assumente un comportamento anomalo – in questo caso una sessione di mercato di sostanziale immobilismo – per evitare di essere puniti. In attesa di ripulire i conti, o di trovare il modo di aggirare le regole in qualche modo. «I club, a quanto pare, si stanno abituando a un ambiente in cui ci sono conseguenze concrete per le loro azioni», per usare proprio le parole di Rory Smith.

Una grande delusione, in termini di spesa, è stata anche la Saudi Pro League. Dopo la sfilza di acquisti estivi dall’Europa sembrava che a gennaio potesse esserci un altro round di grandi investimenti, un remake invernale. Invece gli arrivi di Renan Lodi e di Rakitic sono gli unici affari conclusi dall’Europa. E tutto questo, unito ai problemi già avuti da Karim Benzema, l’addio di di Jordan Henderson dopo soli sei mesi e le voci su altri giocatori non proprio entusiasti, restituisce la sensazione che chi gestisce il calcio a Riyad dovrà cambiare qualcosa in futuro per poter parlare ancora di Rinascimento Saudita, almeno in questo sport.

Il Tottenham è una delle squadre che si è mossa di più sul mercato: ha preso Timo Werner in prestito e ha acquistato Dragusin dal Genoa per 25 milioni di euro (Ryan Pierse/Getty Images)

Paradossalmente gli unici che hanno fatto qualcosa per animare il mercato di gennaio sono stati i campionati meno attesi, Ligue 1 e Liga spagnola. Nel campionato francese sono stati spesi in totale 190 milioni di euro. Nessuno ha fatto spese folli, anche perché nessuno avrebbe potuto permettersele a eccezione forse del Paris Saint-Germain, ma molti club hanno dovuto fare il massimo per cambiare volto alla stagione. Il Lione, ad esempio, ha speso 50 milioni di euro, più di tutti, perché la situazione di classifica obbliga il club a fare qualunque acrobazia per spostarsi dal precipizio della retrocessione. In Liga ci sono state 47 operazioni in totale, 14 solo nell’ultimo giorno, e quasi cento milioni di euro spesi, la cifra più alta dopo la pandemia per un mercato invernale. Alcuni sono anche acquisti interessanti, con prospettive sul presente e sul futuro, come Vitor Roque – pagato 40 milioni dal Barcellona – e Arthur Vermeeren, classe 2005, costato 18 milioni di euro all’Atlético Madrid. Il Real Betis ha speso 23 milioni per Pablo Fornals, Cédric Bakambu, Chimy Ávila e Johnny Cardoso, puntando su giocatori affidabili per cercare un posto in Europa nella prossima stagione. Nessuno degli altri club ha speso più di cinque milioni, sempre perché ogni mercato nazionale è un mercato in cui se non arriva la liquidità dall’Inghilterra non ci sono soldi per fare granché.

Nella conversazione con Fabrizio Romano si parla del fatto che il calciomercato «tornerà molto probabilmente sui suoi livelli già a giugno, perché molte squadre dovranno chiudere delle operazioni per motivi bilancio o portarsi avanti per la stagione successiva». È un’opinione condivisa da molti operatori e osservatori. Secondo Calum Ross, vicedirettore dello Sports Business Group di Deloitte, ad esempio, «con il nuovo anno finanziario ci aspettiamo di vedere la spesa tornare a livelli simili a quelli visti nelle ultime due finestre di trasferimento estive, magari con nuovi record». Sembrano parole pensate per preparare l’estate in cui Kylian Mbappé potrebbe finalmente andare al Real Madrid, quella in cui il Napoli mette in circolo i 130 milioni della clausola di Victor Osimhen, che potrebbe finire in Premier League, la stessa estate in cui il Bayern Monaco lascia andare Alphonso Davies, Matthijs de Ligt e Joshua Kimmich, magari anche Leroy Sané, Serge Gnabry e Leon Goretzka e organizza una rivoluzione che sembra quasi inevitabile. Poi, chissà, magari Mohamed Salah decide davvero di andare a giocare in Arabia Saudita, e con lui tanti altri giocatori che andrebbero a popolare un campionato finalmente di buon livello, portando altra liquidità in Europa. E forse l’unico a godere, come sempre, sarà Cristiano Ronaldo.