Perché i centravanti non hanno più l’esclusiva del gol

Haaland, Mbappé e Kane continuano ad aggiornare i record realizzativi. Dietro di loro, però, ci sono tanti prototipi diversi in grado di segnare moltissimi gol.

Manchester, Etihad Stadium. Il quarto di finale che si gioca la sera del 17 aprile tra City e Real è, a tutti gli effetti, una finale anticipata. Per i trofei in bacheca, per il valore dei giocatori, per il carisma di Ancelotti e Guardiola. Al 12esimo minuto accade qualcosa, un lampo, che rompe la partita: lancio lungo dalle retrovie a cercare Bellingham che si esibisce in un aggancio “zidanesco”. Sullo slancio la palla si allontana leggermente, ma il 5 del Madrid riesce a coordinarsi e in meno di un metro quadrato di campo salta  Rúben Dias, premiando la sovrapposizione di Valverde, che a sua volta manda la palla in profondità per Vinícius. Il brasiliano entra in area, disorienta Rúben Dias (di nuovo) con una finta, e mette in mezzo il pallone per il connazionale Rodrygo, che dal limite dell’area piccola calcia una volta, trovando la respinta di Ederson, per poi spingere la palla in rete sul secondo tentativo. Zero a uno per il Real. Tutto in quindici secondi.

Questo gol del Real Madrid, con la sua apparente semplicità — alla fine siamo alle basi del calcio: un lancio lungo, uno stop, un paio di sovrapposizioni e un cross rasoterra su cui si segna a pochi metri dalla porta — rende alla perfezione uno dei trend del nostro tempo: i grandi finalizzatori sono esistiti, esistono oggi e esisteranno anche in futuro, ma molte squadre hanno compreso che per vincere si può anche farne a meno. Sia chiaro, non stiamo vivendo una crisi degli attaccanti: Haaland e Kane e Lewandowski continuano a segnare tantissimo, Mbappé è l’archetipo della seconda punta in grado di frantumare ogni record di gol, Gyokeres è esploso come finalizzatore ma anche come assistman. Il punto è che il calcio, forse, sta sbloccando il livello successivo: al centravanti non viene più chiesto solo di segnare, di giocare per la squadra e saper passare il pallone, quello ormai è un passaggio che abbiamo assimilato negli ultimi anni grazie ai Benzema, ai Suárez, ai Firmino, costruttori e finalizzatori allo stesso tempo, ma nel 2024 l’evoluzione del gioco sta permettendo ad altri marcatori di emergere. Sono i trequartisti, le ali d’attacco, le seconde punte, in alcuni casi anche gli interni di centrocampo, a fare gol. Segnano le punte, ma non solo le punte. Non a caso, sono solo nove i giocatori che nei top cinque campionati europei sono stati in grado di superare il tetto delle 20 reti stagionali, mentre in doppia cifra sono arrivati calciatori molto differenti tra loro, ma in ogni caso ben lontani dal centravanti classico.

E partiamo proprio da Bellingham e dal Real Madrid, che più di ogni altra squadra ha saputo costruire i suoi successi stagionali su questa evoluzione del gioco. Nell’estate del 2023 i “Blancos” hanno perso Karim Benzema, ovvero il miglior giocatore della squadra, il più carismatico, il leader. Per sostituirlo, Florentino Pérez ha deciso di richiamare a Madrid Brahìm Díaz dal Milan e di acquistare il 33enne Joselu. E poi, naturalmente, di prendere Jude Bellingham. Che inizialmente è stato preso per avviare un ricambio generazionale del centrocampo, ma a cui Ancelotti ha ritagliato ruolo al centro dell’attacco del Real Madrid. Bellingham ha risposto benissimo: tanta, tantissima corsa, tanto, tantissimo pressing, inserimenti, tiri da fuori, assist. E gol, tanti gol: 18 in Liga e quattro in Champions. Prima di arrivare al Madrid, non aveva mai raggiunto la doppia cifra.

Un altro caso simile a quello di Bellingham è quello di Cole Palmer al Chelsea. Acquistato un anno fa dai Blues – durante la loro fase di bulimia da calciomercato – per 47 milioni di euro e sbarcato a Londra tra lo scetticismo generale, in soli otto mesi ha saputo diventare uno degli uomini copertina del campionato inglese, senza ombra di dubbio il punto di riferimento di un Chelsea che sta vivendo l’ennesima stagione difficile. In 30 presenze, Palmer ha fatto un po’ di tutto: la prima punta, la seconda punta, l’ala destra, il trequartista. E lui ha sempre offerto un riscontro eccezionale: 21 gol in Premier League, solo quattro in meno rispetto a Erling Haaland – a cui vanno aggiunti nove assist. Sono dati ancora più significativi se pensiamo che, al City, Palmer non aveva mai segnato in Premier League.

Anche il calcio italiano sembra seguire questo trend: su 18 calciatori arrivati in doppia cifra finora, solo la metà sono considerabili come delle vere e proprie prime punte. Si tratta di Lautaro Martinez, Vlahovic, Osimhen, Giroud, Zapata, Lukaku, Zirkzee, Scamacca e Pinamonti — ci sarebbe poi da aprire un altro capitolo relativo al fatto che Zirkzee, Scamacca e in fondo anche Lautaro e Vlahovic abbiano caratteristiche particolari. Gli altri marcatori migliori in Serie A non sono prime punte classiche: sono degli esterni puri come Kvaratskhelia, Pulisic, Soulé e Orsolini, delle seconde punte capaci di legare il gioco come Dybala, Thuram e Gudmundsson, oppure dei centrocampisti – per quanto atipici – come Calhanoglu e Koopmeiners.

E ci sarebbero ancora molti casi da trattare, anche di formazioni di primissima fascia che sono delle vere e proprie cooperative del gol e sanno fare a meno di una vera prima punta. In questo senso il Bayer Leverkusen di Xabi Alonso è forse il caso più eclatante, più estremo: Bundesliga già vinta con largo anticipo, zero sconfitte in 49 partite, una finale di Europa League e una di Coppa di Germania; il tutto senza un vero centravanti titolare, con Wirtz, un trequartista, capocannoniere (per modo di dire) a quota 11 in campionato, coadiuvato da due esterni — che fino a un anno fa erano dei terzini — come Grimaldo e Frimpong, che hanno raggiunto quota 10 assist ben prima di aver raggiunto quella di gol. E poi c’è anche l’Arsenal, un altro caso piuttosto significativo: nell’estate del 2022 i Gunners una vera prima punta l’hanno acquistata e l’hanno pagata pure tanto, stiamo parlando di Gabriel Jesus, poi nel Nord di Londra si sono resi conto che l’impianto di gioco di Arteta poteva fare a meno del brasiliano e che il resto della squadra riusciva addirittura a performare meglio senza di lui. Per riconquistare un titolo di Premier che manca dal 2004, è stato dato spazio a Saka (16 gol), Trossard (11), Martinelli (sei), Odegaard (otto), Havertz (12), con quest’ultimo che molto spesso si è ritrovato a vestire i panni della prima punta atipica, soprattutto se guardiamo al suo modo di interpretare il ruolo, da trequartista, da regista offensivo.

L’utilizzo del centrocampista, del trequartista o della seconda punta invece del centravanti puro è ormai istituzionalizzato: è la conseguenza di un costante processo di evoluzione del gioco, un’evoluzione che però è ciclica, che riprende concetti del passato e li affina sulle caratteristiche tecniche dei giocatori di oggi. Gli allenatori sono arrivati a rendersi conto che il gol può arrivare da giocatori schierati in tutte le zone del campo e non è più un’esclusiva dell’attaccante classico. In un certo senso si può dire che la trasformazione del centravanti è la stessa che ha avuto il pivot nella pallacanestro: fino a qualche anno fa a entrambi era richiesto solo di essere dei terminali offensivi, gli uomini deputati a capitalizzare il lavoro fatto dai compagni di squadra. Oggi invece capita spesso di vedere entrambi servire un assist pregevole, di giocare per la squadra, di calarsi nella parte dei comprimari, e raramente viene loro concesso di avere un limitato bagaglio tecnico, visto che hanno il dovere di creare il gioco, di legarlo. E allora meglio fare qualche gol o qualche canestro in meno, sacrificare un po’ di gloria personale e concederla anche ad altri, in nome della vittoria e dell’evoluzione tattica. In fin dei conti, tre giocatori da dieci gol sono meglio di un giocatore da 25 gol: è semplice questione di matematica, con buona pace dei nostalgici.