Il benessere mentale degli atleti professionisti è uno dei grandi scheletri nell’armadio del mondo del calcio e dello sport: si sa che esiste, che è un tema diffuso, ma spesso di fa fatica a vederlo, ad accettare che se ne parli, e allora il disagio resta nascosto dietro l’idea diffusa per cui un adulto che guadagna milioni non possa avere bisogno di aiuto. L’ultimo a uscire allo scoperto — dopo atleti come Álvaro Morata e Naomi Osaka — è stato l’attaccante del West Ham Michail Antonio, 34 anni, nazionale giamaicano, che al podcast High Performance ha confessato di aver sofferto di problemi di salute mentale così gravi da averlo lasciato mentalmente prosciugato. Al punto tale da non aver festeggiato la vittoria della Conference League nel maggio 2023 e da aver sperato di infortunarsi in modo da non dover scendere in campo per diverso tempo.
«Ero arrivato al punto di odiare il calcio. Ho iniziato la terapia perché stavo davvero soffrendo», ha detto Antonio. «Stavo cercando di riprendermi dal mio divorzio e non avevo la testa per potermi concentrare sul calcio. Dopo la vittoria della Conference League, mentre i miei compagni erano a festeggiare, io ero a dormire in hotel. Ero mentalmente prosciugato». Antonio ha poi raccontato che i suoi problemi sono iniziati nel dicembre 2022, quando si è reso conto che scendere in campo non gli dava più alcun tipo di emozione, e contemporaneamente aveva divorziato dalla moglie dopo cinque anni di matrimonio. La convocazione con la nazionale della Giamaica — di cui ha ottenuto la cittadinanza nel 2021, dopo alcune presenze con la maglia dell’Inghilterra — era l’unica forma di sollievo, di fuga, con cui sperava addirittura di infortunarsi per poter rimandare il rientro sui campi della Premier League.
Nonostante lo staff medico del West Ham e l’associazione calciatori si fossero offerti per aiutarlo, Antonio ha deciso di trovare uno psicologo per conto proprio. E da circa un anno sta affrontando un percorso di terapia: «Ho sempre pensato che fosse una cosa per le persone pazze, ma mi ha davvero cambiato la vita. All’inizio è stato molto strano essere seduto in una stanza con qualcuno che ti chiede come stai veramente», ha detto. «Ho sempre pensato di essere una persona che non piange, ma mentre parlavo con il terapista sono scoppiato in lacrime in maniera incontrollabile. Piangere mi ha dato moltissimo sollievo, è stato come togliersi un enorme peso dalle spalle». L’intervista si è conclusa con un aneddoto della sua adolescenza, un brutto episodio durante le scuole medie che gli ha fatto perdere la fiducia nelle persone, un problema con cui convive ancora oggi e che è stata la causa primaria dei suoi problemi di salute mentale: «Quando avevo 14 anni il gruppo di ragazzi con cui uscivo decise di rubare una bicicletta e quando la polizia ci fermò tutti diedero la colpa a me. Ci frequentavamo da tre anni, andavamo a scuola insieme tutti i giorni, credevo fossero i miei amici. Da quel giorno ho iniziato a non fidarmi più di nessuno».