Contro i tempi supplementari

Li stanno abolendo un po' ovunque, dai Mondiali alla Coppa Italia. Hanno ancora un senso, in un calcio in cui si gioca sempre di più?

Il 18 gennaio 2012 a San Siro c’erano 1.920 spettatori paganti: probabilmente fu una delle partite con meno pubblico nella storia del Milan. I rossoneri affrontavano il Novara negli ottavi di finale di Coppa Italia, e tra quelle 1.920 persone c’ero anch’io. Ricordo quella sera perché in curva ci si poteva muovere con la libertà di Mkhitaryan negli ultimi sei derby, ma soprattutto la ricordo per il freddo, un freddo familiare a chiunque abbia visto almeno una volta nella sua vita un ottavo di finale di Coppa Italia a San Siro — altro che le notti di Stoke. La ricordo anche perché il Milan vinceva uno a zero fino al minuto 88, poi Radovanovic, dopo un calcio di punizione battuto corto a trenta metri dalla porta di Amelia, mi obbligò all’ultima cosa a cui avrei voluto assistere in quella gelida serata: i tempi supplementari. Per la cronaca, il Milan vinse poi 2-1 con un gol di Pato al minuto 100.

Dalla prossima stagione, per fortuna, non potrà più accadere: è notizia di qualche giorno fa che la Coppa Italia ha abolito i tempi supplementari, fino ai quarti di finale compresi, almeno fino al 2026/27. La coppa nazionale si è uniformata alla Supercoppa italiana, che dall’edizione di quest’anno, disputata a gennaio in Arabia Saudita con la formula della final four, ha deciso che in caso di parità al termine dei tempi regolamentari le squadre sarebbero andate direttamente ai calci di rigore. I supplementari non ci sono più neanche nella Supercoppa europea (da Manchester City-Siviglia del 2023, che si è decisa proprio dal dischetto), nella Carabao Cup inglese (dalla stagione 2018/19, fino ai quarti di finale compresi) e nella Youth League, e non dimentichiamoci che i tornei giovanili sono spesso degli incubatori delle modifiche regolamentari, come le Next Generation ATP Finals nel tennis con i quattro game e il golden point sul 40 pari. Addirittura, al prossimo Mondiale, nel 2026, i tempi supplementari non si giocheranno fino alle semifinali.

La tendenza è chiara: i supplementari stanno scomparendo dal calcio. E francamente era ora. Sir Alex Ferguson lo chiedeva già nel 2016 («Non credo che ci piaccia vedere i calciatori esausti nei tempi supplementari. Quando l’arbitro fischia la fine dei 90 minuti, io ho sempre la sensazione che si andrà ai calci di rigore. È inevitabile che si vada ai rigori. La domanda è: come possiamo migliorare la situazione?»), e dalla sua parte — una volta tanto — si erano schierati anche Arsène Wenger e José Mourinho. La proposta venne discussa nel forum Uefa per allenatori di quell’anno, per uniformare le coppe europee alla Libertadores sudamericana (dove i supplementari si disputano solo in finale), ma fu osteggiata dall’allora direttore tecnico della Uefa, Ioan Lupescu, «perché potrebbe essere un vantaggio per le squadre più piccole, che tenderebbero a difendersi ancora di più».

Ma sarebbe davvero così? Ribalto l’argomentazione: in un calcio sempre più votato alla ricerca dello spettacolo anche a costo di rompere con la tradizione, perché le nuove generazioni vogliono solo vedere gli highlights, nell’era dello Sportify, come da perfetta definizione di Angelo Carotenuto sullo Slalom, sono meglio 90 minuti di pullman davanti alla porta o 120, ben trenta in più? I calci di rigore saranno anche brutali, ma restano una fase della partita in cui effettivamente succede qualcosa — e, a parte i tifosi delle due squadre in campo, a tutti piacciono i calci di rigore, dai. Per dare un dato molto piccolo ma comunque rilevante, nell’ultima edizione della Champions League solo il 33% degli incontri che sono andati ai tempi supplementari ha poi evitato i calci di rigore. In otto casi su 12, invece, i supplementari sono stati inutili: Urartu-Zrinjski Mostar nel primo turno di qualificazione, KÍ Klaksvík-Häcken e Servette-Genk nel secondo, Copenaghen-Sparta Praga e Panathinaikos-Marsiglia nel terzo, Atlético Madrid-Inter e Arsenal-Porto agli ottavi di finale, Manchester City-Real Madrid ai quarti. Diciamocelo: non succede quasi mai nulla, nei tempi supplementari.

Nella finale di Europa League del 2022/23 tra Roma e Siviglia, i tempi supplementari sono durati 43’26” di cronometro, ma si è giocato solamente 18’24” di tempo effettivo. Naturalmente, alla fine sono serviti i calci di rigore per decretare la squadra vincitrice (Odd Andersen/AFP/Getty Images)

C’è poi un altro tema, molto più importante e di strettissima attualità: si gioca sempre di più, si gioca troppo, ed è inevitabile, tra la nuova Champions League, il nuovo Mondiale per club, la Nations League, le amichevoli in Australia, i maxi recuperi e i campionati nazionali che si ostinano a rimanere a 20 squadre, eliminare il più possibile i minuti inutili, potare i rami secchi. I tempi supplementari, in questo caso. È anche una questione di prevenzione degli infortuni. Nell’estate del 2022, sulla rivista scientifica National Library of Medicine, è stato pubblicato uno studio finanziato dalla Uefa «per indagare gli effetti fisiologici, prestazionali, di recupero e psicologici dei tempi supplementari nel calcio agonistico». Anche se i risultati potrebbero sembrare lapalissiani, Magni Mohr, il principale autore dello studio, si è detto «un po’ sorpreso» dall’impatto dei dati ottenuti. «La conclusione è che i tempi supplementari stanno compromettendo l’intensità di gioco, che i calciatori sono affaticati e che il rischio di infortuni potrebbe essere notevolmente più elevato», ha dichiarato Mohr, e dalla ricerca si può citare qualche numero qua e là come il calo del 10% della corsa ad alta intensità, della velocità media di corsa e della distanza percorsa correndo; la diminuzione del 5% del tasso di passaggi riusciti; l’accorciamento del 27% dell’altezza dei salti dei giocatori; l’abbassamento del 10% della forza dei flessori e degli estensori del ginocchio. Inoltre — e questo potrebbe spiegare perché nei tempi supplementari si fa molta più fatica a segnare — in quei 30 minuti la glicemia scende del 15% rispetto a un calo costante nei primi 90 minuti di gioco, mentre l’acido lattico raddoppia.

Non me ne vogliano i nostalgici, dunque, ma nel calcio del futuro non c’è spazio per i tempi supplementari, un’anacronistica eredità del Novecento che qualche decennio fa aveva provato a farsi pop con il golden gol e il silver gol, due esperimenti se possibile ancora peggiori. Di Italia-Germania ce n’è una sola, ed è giusto così, i supplementari potranno rimanere solo nelle finali dei tornei più importanti — del resto due delle ultime quattro finali dei Mondiali si sono risolte ai supplementari (2010 e 2014) e una terza (2022) è diventata una delle partite più belle di sempre anche in virtù di quello che è successo nei supplementari — ma nelle fredde serate di Coppa Italia a gennaio verranno spazzati via dal progresso e, soprattutto, dalla salvaguardia della materia prima del gioco: i calciatori stessi.