Ogni tennista è figlio della propria epoca. Nessun giocatore più di Jannik Sinner, nuovo numero 1 del mondo da lunedì 10 giugno, incarna meglio lo spirito dei nostri tempi. Il dibattito attuale è concentrato sull’intelligenza artificiale, se ne parla a proposito di politica, cultura, economia, arte, di come cambierà il mondo del lavoro, di come rivoluzionerà la medicina. Usano l’intelligenza artificiale architetti, biologi, giornalisti, traduttori, pubblicitari. L’intelligenza artificiale si perfeziona a partire dalla capacità di apprendere, di assimilare saperi, dati, mostruose quantità di conoscenza, proprio a partire da lacune e errori. In questi ultimi luminosi anni di attività, Jannik Sinner ha dato la stessa identica impressione. La sua più grande dote è la velocità di apprendimento. Impara dai giocatori che sfida, in particolare da chi è (era) più forte. Perde, sbaglia, fa sua la lezione, assorbe. Tra tutte le definizioni che sono state date di Sinner forse la più illuminante è dell’autunno 2023: «Il ragazzo a cui non piace commettere lo stesso errore due volte».
Nella storia del tennis, alcuni giocatori si sono imposti nel circuito e nella classifica mondiale per doti atletiche, potenza da fondo campo, impressionante velocità del servizio, forza fisica, strategia inedita, innovazioni portate nei colpi. Sinner non ha corretto nessun colpo speciale, ha puntato sull’evoluzione di tutti gli aspetti complessivi del gioco e del suo corpo. A Pechino, nell’ottobre 2023, dopo la vittoria nella semifinale contro Carlos Alcaraz, dice: «Una bella conquista, ma più della classifica sono contento dei miglioramenti». La finale di quel torneo è contro Daniil Medvedev. Fino a quel momento ha perso con il russo sei partite su sei, che gli sono servite per capire come batterlo e infatti lo manda in crisi e vince il torneo. A Gaia Piccardi, in un’intervista, racconta: «Ho imparato dagli errori e mi sono piaciuto». E soprattutto: «Per me è importate non ripeterli”. Si riferisce agli errori commessi durante gli Us Open appena trascorsi e al fatto che, dopo aver vinto a Toronto, è uscito al primo turno di Cincinnati (infatti non capiterà più). Il suo mantra è: «Sono impegnato a conoscere il mio cervello, ma serve tempo».
Dopo la vittoria a Pechino va a Shanghai. Perde con Ben Shelton. Quando lo incontra di nuovo a Vienna per la rivincita, sono passate solo due settimane, qualcosa è già mutato e questa volta lo batte. Vince anche il torneo a Vienna, la finale è contro Medvedev e alla fine commenta così: «Un anno fa non sarei riuscito a stare lì per tre ore, a quel ritmo. E invece alla fine ne avevo ancora, e avrei potuto continuare». I commentatori sportivi, quando parlano del rapporto tra Sinner e i suoi antagonisti, spesso dicono che Jannik «ha decodificato» l’avversario. È un’espressione molto pertinente, Sinner elabora i dati, smonta i problemi, cerca soluzioni sempre diverse, con l’agilità e l’elasticità dell’intelligenza artificiale. È in grado di perfezionarsi accumulando nuove informazioni.
Alle ATP Finals di Torino, lo scorso novembre, la città impazzisce, la sinnermania è esplosa, aumentano gli iscritti nelle scuole tennis. Incontra i migliori tennisti della classifica di fine anno. Prima dell’inizio delle sfide confessa: «Ci ho messo un po’ a capire come battere Medvedev, con Rune e Djokovic devo ancora riuscirci, le cose inedite mi piacciono» Effettivamente tutto procede bene nel suo percorso verso la vetta del mondo ma ci sono ancora dei tabù, dei rebus che non è ancora in grado di sciogliere. Incontra Djokovic a Torino e dimostra di aver imparato a batterlo. Dirà: «Ci ho messo un po’ però alla fine ci sono riuscito». Non esistono veri ostacoli, solo rompicapo da interpretare, chiavi giuste da cercare. Poi batte anche l’altro suo mostro, Rune, e giustifica così l’impresa: «Con Rune non avevo mai vinto, ci tenevo».
Va ancora allo scontro finale con Djokovic: «A me interessa migliorarmi, questa è la mia mentalità». E a questo punto, in un’intervista, spiega il suo metodo di lavoro con la celebre metafora legata al cibo (il padre cuoco si sente): «La prima volta che fai gli spaghetti al pomodoro magari ti dimentichi il sale. La seconda usi i pomodorini freschi, la terza aggiungi il basilico. Il tennis è così: facendo, impari». Purtroppo, anche se a dirlo è Sinner, non è vero. La maggior parte dei tennisti pur facendo non impara, tutti replicano all’infinito gli stessi errori. Escono dai tornei perché i loro punti deboli sono noti a tutto il pianeta, perché non sono in grado di migliorarsi, perché si schiantano sempre con gli stessi sfidanti, annientati da colpi identici, incapaci di fare altro se non riproporre sempre lo stesso gioco.
Dopo aver vinto la Coppa Davis (e aver battuto di nuovo Djokovic annullando i famosi tre match point) inizia un anno nuovo. Il 2024. È l’anno dell’intelligenza artificiale e guarda caso anche l’anno del tennista che incarna al meglio il nostro mondo, Jannik Sinner. «Comprendere, analizzare, inghiottire e metabolizzare nuovi bocconi di tennis», scrive Piccardi sul Corriere della Sera. Sono azioni che valgono per Sinner ma si addicono anche alle menti digitali che imparano a conoscere il mondo, a conoscere gli esseri umani, a inghiottire e metabolizzare la realtà. Il primo Sam vinto da Sinner sono gli Australian Open. Batte in finale Medvedev (sempre dopo aver mandato a casa Djokovic). È il risultato più importante della sua carriera, è la vittoria che tutti aspettavano. È felice? Si, ma. A proposito della finale vinta contro Medvedev nel rispondere a un’intervista commenta: «A un certo punto Vagnozzi mi ha detto: fai un passo indietro. Dovevo pensarci io, farlo prima, quel passo indietro. Vede che ancora c’è da lavorare?» .
Per essere un tennista della nostra epoca, un elemento però non torna. Oggi viviamo anche nell’epoca della mancanza di concentrazione e di attenzione. Bombardati giorno e notte da notifiche, notizie, informazioni, messaggi, stimoli in arrivo da smartphone e social network è impossibile tenere la mente fissa su una attività sola. È difficile leggere, non libri di mille pagine, è difficile leggere senza interruzioni un articolo di giornale. È difficile studiare. È difficile vedere un film senza controllare il cellulare. Questa inclinazione a non essere concentrati è lampante in ogni partita del tennis di oggi, con giocatori che di continuo perdono la concentrazione e sono afflitti da mini blackout mentali. Ma Sinner deve aver appreso anche questo. Della nostra epoca ha scartato sicuramente un vizio: l’infinita dispersione di energie mentali. Non usa i social («Ho i miei contatti più stretti che hanno il mio numero di telefono. E basta», dice al Tg1). E tra i suoi segreti, rivelati qualche mese fa, oltre a mangiare meglio e andare a dormire presto, compare: «Uso meno il cellulare». I piedi nella nostra epoca, la testa altrove. Nel tennis.