Per descrivere il valore di un calciatore è importante tener conto diversi aspetti: oltre al ruolo, alla tecnica, al suo impatto sulle partite, è importante considerare il concetto di status. È chiaro che alcuni giocatori abbiano uno status superiore rispetto agli altri, del resto un fuoriclasse è tale se ha grandi qualità, ovviamente, ma anche per il pensiero, l’intelligenza, la leadership. Un aspetto da considerare è che tutte queste doti possono manifestarsi fin dall’inizio di una carriera, in modo subito visibile, quasi prepotente: senza scomodare Messi e Cristiano Ronaldo, si può pensare al mondiale 2018 di Mbappé e alla stagione appena conclusa da Lamine Yamal. Altri calciatori, invece, arrivano a un certo status più silenziosamente, con il passare del tempo, si guadagnano l’etichetta di fuoriclasse grazie all’allenamento, all’esperienza, allo sviluppo delle proprie doti e all’evoluzione del proprio gioco. A questo secondo gruppo appartiene Rodri, che ha cominciato a mostrare una netta superiorità sugli altri, sui compagni e sugli avversari, grazie a un lavoro silenzioso e incessante, passato quasi sottotraccia fino alla partita che ha cambiato la sua storia e la sua vita: Manchester City-Inter 1-0, la finale di Champions League del 2023 decisa da un suo gol.
Pensiamoci un attimo: in quanti, prima del fischio finale della gara di Istanbul, avrebbero inserito Rodrigo Hernández Cascante in un dibattito sui migliori dieci calciatori al mondo? Esatto: pochi o forse pochissimi, ovviamente guardando al pubblico mainstream. A un anno di distanza, dopo un Europeo vinto da dominatore e con il premio di MVP del torneo in bacheca, è diventato quasi scontato pensare a Rodri come uno dei migliori centrocampisti al mondo. Anzi: a uno dei giocatori più forti al mondo. Qualcuno sostiene addirittura che sia il migliore, senza distinzione di ruoli, che sia meglio di Mbappé, di Bellingham, di Vinícius Júnior.
Ma come siamo arrivati a questo punto? Quali sono gli aspetti in cui Rodri è cresciuto così tanto e così bene? Per analizzare il suo percorso e il modo in cui ha conquistato lo status di fuoriclasse, bisogna considerare due variabili fondamentali: eredità ed evoluzione. Parlare di eredità vuol dire fare riferimento alla fenomenale scuola di centrocampisti spagnoli, che ormai da un ventennio esercita un dominio e una padronanza del gioco che ha pochissimi eguali nella storia di questo sport. La seconda, invece, è più cognitiva e personale, ed è da rintracciare nella storia di Rodri giocatore e nel contesto in cui è inserito: il pivote spagnolo non è solo l’erede di una grande dinastia, ma è soprattutto un prodotto in costante evoluzione, con un’incredibile predisposizione all’apprendimento, E infatti Rodri, una stagione dopo l’altra, ha aggiunto elementi in grado di ampliare e migliorare il suo gioco. Le sue doti e la sua intelligenza, non a caso, lo hanno reso il perno attorno a cui gira il Manchester City di Guardiola capace di vincere tutto, nonché il leader della Spagna campione d’Europa, una delle Nazionali più spettacolari comparse sulla scena negli ultimi dieci anni.
Ma procediamo con ordine. Il 17 aprile 2016, dopo la formazione nelle giovanili dell’Atlético Madrid, Rodri esordisce in Liga con il Villareal. Già si parlava di lui come di un talento potenzialmente in grado di raccogliere il testimone di quei giocatori che si avviavano sulla la strada del tramonto: Xavi si era trasferito da poco in Qatar, all’Al-Sadd, Iniesta sarebbe migrato in Giappone due anni dopo, Fàbregas e David Silva vivevano le ultime annate da protagonisti in Premier League, Xabi Alonso entrava nell’ultima stagione da professionista. L’unico grande centrocampista spagnolo ancora nel vivo della carriera, per motivi essenzialmente anagrafici, era Sergi Busquets. Ma la Spagna, dopo l’epopea della Generación Dorada, stava mettendo in atto un fisiologico ricambio generazionale, durante il quale sono arrivati risultati deludenti — il 5-1 subito dall’Olanda nel Mondiale 2014, lo 0-2 incassato dall’Italia nei successivi Europei.
Al Villarreal, Rodri conferma di essere un prospetto molto interessante, e così si guadagna il ritorno all’Atlético, il club in cui era cresciuto. Il Cholo Simeone, nonostante abbia allenato Rodri solo per un anno, è decisivo nel plasmarne la tempra, mentre le qualità fisiche e tecniche sono talmente evidenti da risultare lapalissiane: basta una stagione con i Colchoneros, a Pep Guardiola, perché convinca il City a investire 80 milioni di euro su di lui. Naturalmente il lavoro del tecnico catalano ha contribuito, un tassello dopo l’altro, a trasformare Rodri nello scienziato del gioco che possiamo ammirare oggi. Appena arrivato al City si poteva applicare a Rodri la famosa massima che Vicente Del Bosque aveva coniato per Busquets, quella per cui «se guardi la partita nel suo complesso Busquets non si nota, ma guardando Busquets riuscirai a capire la partita nel suo complesso»: il ruolo di Rodri, infatti, sembrava passare in secondo piano rispetto al gioco corale della squadra, alla verticalità di De Bruyne e ai duelli uno contro uno di Sterling e Mahrez. Era la sua presenza, però, a garantire l’equilibrio che consentiva a Guardiola di schierare contemporaneamente così tanti giocatori offensivi. È proprio in questo senso che Rodri si poneva come erede della scuola spagnola: la sua propensione alla gestione del pallone, al vedere in anticipo cosa accadrà in una determinata azione, e le sue qualità nel posizionamento lo rendevano davvero la cosa più simile ai suoi predecessori, primi tra tutti Busquets e Xabi Alonso — due giocatori che, non certo a caso, hanno avuto un rapporto strettissimo con Guardiola.
La grande differenza tra Rodri e i suoi predecessori, oltre a un fisico molto più strutturato, si vede nel maggiore impatto offensivo, che lo rende molto più decisivo — in termini di giocate — all’interno delle sue partite: il centrocampista spagnolo possiede grandi qualità balistiche, che abbina a un elevatissimo senso del momento opportuno. Si dice spesso, infatti, che i gol non si contano, ma si pesano: se la pensate così, sappiate che Rodri, di gol pesanti, ne ha segnati diversi. Ecco un elenco non completo: il pareggio contro l’Aston Villa nella rimonta valsa la Premier League del 2022; il sinistro a giro che ha sbloccato il quarto di finale di andata, contro il Bayern Monaco, della Champions 2022/23; il già citato gol vittoria nella finale contro l’Inter; il gol del pareggio contro la Georgia nel primo turno a eliminazione diretta di Euro 2024.
Dall’inizio del 2023 — quindi nell’ultimo anno e mezzo — Rodri ha vinto otto trofei con il Manchester City e la Spagna, esattamente il doppio delle partite che ha perso nello stesso periodo (quattro, per l’appunto).
A tutto questo, Rodri aggiunge le sue capacità di legare la squadra, di gestire i tempi di gioco, di fare la scelta giusta per orientare l’azione dove vuole lui. Insomma, stiamo parlando di un direttore d’orchestra con licenza di eseguire degli assoli. Al City come in Nazionale, nella quale ha vissuto un percorso ancora più particolare: a Qatar 2022, Luis Enrique aveva scelto di schierarlo come difensore centrale, così che potesse giocare con Busquets, così che potesse osservarlo, guardargli le spalle, assorbirne le qualità di gestione del pallone nello stretto e il posizionamento in mezzo al campo. Non è un caso che, proprio dalla seconda parte di quella stagione, il suo livello sia cresciuto esponenzialmente fino ad arrivare alla conquista del Treble con il City. E come una macchina che apprende da sola, nell’ultima stagione il suo contributo realizzativo è aumentato ancora, al punto che Rodri sembra aver raccolto l’eredità offensiva di Gundogan: nell’annata 2023/24, il centrocampista spagnolo in totale ha messo insieme nove gol e 13 assist in tutte le competizioni.
Un altro aspetto che ha contribuito a conferire a Rodri lo status di fuoriclasse va ricercato in una statistica mostruosa: quella dell’imbattibilità. A cavallo tra la stagione 2022/23 e la 2023/24, infatti, il Manchester City non ha mai perso una partita — nei 90 minuti regolamentari — con il centrocampista spagnolo in campo. Le uniche sconfitte nell’ultima Premier sono coincise con le sue assenze per squalifica, e così Rodri ha toccato quota 74 gare di campionato senza subire una sconfitta. Un record che difficilmente verrà superato.
Quest’aura di imbattibilità ha contribuito a legittimarne la leadership e la capacità di dominio in tutti gli aspetti del gioco, e lo stesso Rodri non ha fatto fatica a riconoscersi nel ruolo di leader tecnico e carismatico. L’ha dimostrato anche agli Europei: la Spagna ha chiuso il torneo con sette vittorie in sette partite, tra cui i big match contro Croazia, Italia, Germania, Francia e Inghilterra, e alla guida della Roja c’era proprio lui, per la prima volta da titolare nel suo ruolo dopo l’addio di Busquests. E se, come detto, un primo riconoscimento del suo nuovo status di fuoriclasse è arrivato con il premio di MVP dell’Europeo, in molti si augurano di vederlo con il Pallone d’oro tra le mani il prossimo 28 ottobre. Perché Rodri è esploso in un momento storico in cui il calcio cerca nuovi padroni dopo l’era di Messi e Cristiano Ronaldo, che hanno monopolizzato tutti i premi individuali per 15 anni — con le sole eccezioni di Modric e Benzema — e che, di fatto, hanno privato alcuni dei migliori interpreti del gioco di un riconoscimento che avrebbero meritato.
Premiare Rodri, in un certo senso, sarebbe anche un modo per “risarcire” i vari Xavi, Iniesta, Busquets e Xabi Alonso. Il nuovo uomo-simbolo della Spagna oggi può essere iscritto a questo gruppo, perché in qualche modo è l’erede di quella filosofia, di quella scuola tecnica e tattica, ovviamente aggiornata alla modernità. Ecco, questo è il vero, grande impatto avuto da Rodri: ha preso il calcio spagnolo e l’ha trasportato nel futuro, smussando alla grande tutti gli incastri grazie al lavoro, all’intelligenza. Il fatto che tutto questo sia avvenuto senza troppi proclami, quasi sottotraccia, non cambia la sostanza delle cose: oggi Rodri è probabilmente uno dei centrocampisti più forti del mondo, forse anche il migliore in assoluto. E tutti ne sono consapevoli.