Gloria e splendore del breaking alle Olimpiadi

Abbiamo assistito dal vivo alla prima finale olimpica nella storia di questo sport.

Jordan Thompson, opposto degli Usa, attacca l’ultima palla della finale olimpica di volley femminile contro l’Italia che comanda due set a zero e 24-17: fuori, le azzurre hanno vinto la medaglia d’oro per la prima volta nella storia della pallavolo. Alla South Paris Arena 1 partono… i Ricchi e Poveri, “Sarà perché ti amo”, neanche fossimo a San Siro prima di una partita del Milan. I festeggiamenti proseguono con “Dove si balla” di Dargen D’Amico, tra un punto e l’altro dell’Italia abbiamo udito classici senza tempo come “Nel blu, dipinto di blu”, “L’italiano”, “Gianna”, ma anche recenti tormentoni estivi come “Disco Paradise”. Da un momento all’altro potrebbe spuntare Al Bano, anche qui.

Lo sport e la musica vivono intrecciati ormai da anni. La cassa dritta è l’intermezzo perfetto per coinvolgere il pubblico tra un tempo e l’altro, tra un’azione e l’altra, persino tra un punto e l’altro come nella pallavolo. Le note guidano le esibizioni della ginnastica e del nuoto artistico. Qualche settimana fa, prima dei Giochi per cui non è stato convocato, l’italiano Giorgio Minisini ha gareggiato per l’ultima volta nella sua carriera e lo ha fatto su una colonna sonora che aveva in mente da tempo, anche se «non pensavo l’avrei usata così presto»: “My way” di Frank Sinatra, ma nella versione punk dei Sex Pistols. A modo suo, fino alla fine, in uno sport che sembrava pronto per la rivoluzione ma invece non lo è ancora.

E poi c’è il breaking. Nel breaking — disciplina che ha esordito alle Olimpiadi di Parigi 2024 ma che non è stata confermata per l’edizione di Los Angeles 2028 — la musica ha un ruolo ancora più importante, se possibile. Non è il contorno, è il mezzo. È il pallone nel calcio, la racchetta nel tennis, l’acqua nel nuoto. Filosoficamente è ancora più importante dell’arbitro o dei giudici: senza la musica, il breaking proprio non si può fare. «La musica è il carburante di chi si esibisce», ha detto qualche giorno fa a L’Équipe Nicolas Guilloteau, nome d’arte DJ One Up, «è una forma di energia, è l’essenza della danza, deve ispirare, motivare ed essere una fonte di creatività per chi gareggia. Deve elevare i concorrenti al livello più alto possibile, in uno stato di grazia, deve condurli nel “flow”».

Sempre secondo DJ One Up, poiché i concorrenti del breaking non conoscono i brani su cui si esibiranno e devono dunque improvvisare, «la musica e l’atmosfera sono destinate a influenzare l’umore degli atleti e il loro modo di ballare. Noi dj cerchiamo di raccontare una storia lungo un evento che dura tre o quattro ore. La cosa più importante che prepariamo sono le transizioni, perché è fondamentale mantenere la coerenza nelle parti ritmiche e nelle melodie. Non si può passare da 115 battiti per minuto a 95, non sarebbe possibile».

A Parigi c’erano due dj: DJ Fleg, statunitense, e DJ Plash, polacco. A Place de la Concorde hanno ispirato i primi 16 B-Boys e le prime 16 B-Girls della storia olimpica mixando circa 390 canzoni preautorizzate dal Cio per una questione di diritti. Anche questa, nel suo piccolo, è stata una novità per il breaking: fino a poco tempo fa non giravano molti soldi per pagare i copyright, neanche nelle principali gare internazionali, e i dj si dovevano accontentare delle cosiddette musiche creative commons o di band che suonavano dal vivo, peggio ancora. Invece alle Olimpiadi abbiamo sentito James Brown, Busta Rhymes, gli A Tribe Called Quest, Dennis Coffey e Homeboy Sandman, oltre naturalmente a un bel po’ di hip hop francese in onore della scena del Paese ospitante. Un solo paletto: non erano autorizzati brani con insulti o incitamenti all’odio razziale.

«Chi altro viene alle Olimpiadi con un dj?», si chiedeva prima delle gare la B-Girl tedesca Jilou. Intervistato dal Los Angeles Times, DJ Fleg ha spiegato: «Un arbitro deve stare fuori, un giudice deve stare fuori, sono entrambi completamente separati dall’evento. Quello che facciamo noi invece no: noi siamo direttamente coinvolti nelle battle». E infatti i due dj avevano i posti migliori nell’arena di Place de la Concorde, in piedi nella posizione più alta di tutti. I nove giudici che valutavano le esibizioni degli atleti secondo cinque categorie (tecnica, originalità, musicalità, esecuzione e vocabulary, cioè la varietà delle mosse) avrebbero potuto dividere e probabilmente hanno diviso il pubblico, uno può preferire una performance rispetto a un’altra, è così da sempre negli sport con i giudici e così sempre sarà. I dj, invece, sono stati acclamati da tutti, dall’inizio alla fine. Zack Slusser, il vicepresidente di Usa Dance, sostiene che una volta ha sentito dire a uno spettatore del breaking: «È la prima volta che assisto a un evento sportivo in cui nessuno era al telefono». Quel giorno tutti erano immersi nell’atmosfera creata dalle musiche di DJ Fleg.

La breaker italiana B-Girl Anti, all’anagrafe Antilai Sandrini, 26 anni, livornese cresciuta in Friuli, eliminata durante la fase a gironi di Parigi 2024 con due round vinti e 19 voti a favore dai giudici. (Elsa/Getty Images)

In un gruppo di amici di cui mi onoro di fare parte, nato per seguire la squadra di hockey su ghiaccio di Milano ma ben presto trasformatosi nel luogo ideale (seppur molto spesso solo virtuale) per commentare qualsiasi altra cosa, dal calcio al rugby, dal tennis allo sci alpino, siamo soliti abbinare a ogni atleta, club, nazionale o scuderia un aggettivo possessivo (la mia Federica Brignone, la tua Corea del Sud, eccetera) secondo il mantra per cui non val la pena guardare lo sport senza partigianeria. L’ho fatto naturalmente anche venerdì sera mentre mi trovavo a Parigi per assistere dal vivo alla prima finale olimpica nella storia del breaking, quella femminile. Poco prima di arrivare a Place de la Concorde, a cena, dato che l’italiana B-Girl Anti era già stata eliminata nelle qualificazioni del pomeriggio, ho affidato le mie simpatie per mere questioni geografiche alla lituana B-Girl Nicka senza conoscere minimamente le sue abilità nel cypher, come viene chiamato il cerchio in cui si esibiscono gli atleti.

Un’ora e mezza dopo mi sono ritrovato a tifare come il più lituano dei lituani (che peraltro erano in maggioranza, nell’arena all’aperto nel cuore della capitale francese) per questa 17enne con la bandana in testa che, arrivata in finale, aveva la possibilità di scrivere una pagina storica per lo sport olimpico del suo Paese: una medaglia d’oro della Lituania ai Giochi, infatti, mancava da ben 12 anni, da Londra 2012, quando Rūta Meilutytė e Laura Asadauskaité vinsero rispettivamente nel nuoto (100 rana) e nel pentathlon moderno. Non c’è stato il lieto fine a Parigi, perché nell’ultima battle B-Girl Nicka è stata sconfitta dalla giapponese B-Girl Ami, ma in fondo ho passato una serata come allo stadio, al palazzetto del basket o nella piscina del nuoto: ho tifato, esultato, imprecato, e alla fine qualcuno ha vinto e qualcuno ha perso.