Non c’era scelta migliore del Liverpool, per Federico Chiesa

L'ex attaccante della Juventus cercherà di ritrovarsi in un grande club, in un grande campionato, dopo anni difficili.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona. Il paragone con Paolo e Francesca è azzardato, a tratti fuori luogo, ma l’Amore per chi dà del tu al pallone non risparmia nessuno. Neanche Federico Chiesa e la Juventus, due amanti ormai perduti, consumati da quella stessa passione iniziata a ottobre del 2020. Da allora sono passati quasi quattro anni, quattro anni in cui Chiesa ha disegnato calcio e di fatto ha regalato all’Italia un titolo Europeo difficilmente pronosticabile, tra pennellate e accelerazioni, tra tocchi di classe e personalità. Poi però le cose sono iniziate ad andare male, fino alla rottura totale. Che è tutta racchiusa in quel «dispiace» pronunciato poco prima dell’addio, della partenza direzione Liverpool: Federico ha teso la mano salvo poi tornare sui propri passi, abbandonato a sua volta di una Juve a caccia di redenzione e alibi, reduce da una stagione infernale, troppo brutta per essere vera. E che, con l’arrivo di Thiago Motta, ha avviato un nuovo progetto in cui Chiesa, semplicemente, non sarebbe riuscito a trovare spazio.

L’inizio della fine, tra Chiesa e la Juve, coincide proprio con quell’Europeo itinerante dominato in lungo e in largo. La Chiesa al centro del villaggio, con la Nazionale orfana di uno di quei numeri 10 tutta fantasia che da sempre scandiscono la storia della maglia azzurra: l’ormai ex Juventus non ha mai rappresentato in senso assoluto il trequartista per eccellenza, ma nell’album dei ricordi di Euro 2020 si trovano tutte le fotografie calcistiche contemplate dall’occhio umano. Protezione della palla lavorata poi con l’esterno, mancino a pennellare o a rifinire, dribbling e stop orientati, conclusioni di potenza e di precisione. Gol a parte, in quell’Europeo Federico Chiesa si è tolto di dosso un’etichetta ingombrante: quella del figlio d’arte in cerca di un’affermazione che fosse solo sua. Tre anni fa Federico è diventato Federico II, sovrano capace di guidare la Nazionale fino alla vittoria: fu proprio Chiesa a dare la scossa nel momento peggiore della finale contro l’Inghilterra, un’azione palla al piede terminata con un fallo a 20 metri dalla porta. Forza e coraggio, fantasia e voglia di riscatto, necessità di essere incoronato lì nel luogo sacro, Wembley. Fu l’apice di un percorso iniziato qualche giorno prima, con i gol contro l’Austria e la Spagna.

E poi quella rottura del crociato, infortunio terrificante e debilitante. Durante un Roma-Juventus, dopo un contrasto con Smalling, Chiesa ha subito quel colpo diretto all’orgoglio e al ginocchio sinistro, croce e delizia che lo ha costretto a saltare una stagione, forse nel momento migliore della sua carriera. «Gli accertamenti diagnostici eseguiti questa mattina presso il J|Medical hanno evidenziato la lesione del legamento crociato anteriore. Sarà necessario intervenire chirurgicamente nei prossimi giorni». Questo fu l’impietoso bollettino medico. Da quel momento, nulla è stato più lo stesso. Per tanti motivi, che adesso scolorano o comunque non ha più senso approfondire, visto che c’è un nuovo capitolo da inaugurare, da vivere. Ed è un capitolo piuttosto esaltante.

Sfortune e tormenti a parte, infatti, Federico Chiesa resta infatti un giocatore che può ancora rilanciare una carriera lasciata in sospeso da circa tre stagioni. Perché in fondo ha solo 26 anni, perché in passato ha dimostrato che credere in lui può essere una buona idea. Ci ha creduto il Liverpool, orfano di Jurgen Klopp e che ha iniziato un nuovo corso con Arne Slot: il 4-2-3-1 disegnato dal nuovo allenatore dei Reds va a sostituire il 4-3-3 che col tempo, era diventato il marchio di fabbrica dell’ex tecnico del Borussia Dortmund. A prima vista, sembra il contesto migliore perché Chiesa possa tornare a essere Chiesa: da esterno, senza particolari obblighi in fase difensiva, Federico ha mostrato il meglio del suo repertorio. L’unico dilemma, a cui sarà davvero complicato dare una risposta sensata nel giro di poche partite, rimane quello del ritmo infernale che la Premier League impone ai calciatori: una condizione difficile da assorbire se le gambe rispondono a giorni alterni, come capitato a Chiesa negli ultimi anni.

Per il resto, come detto, gli incastri sono promettenti. Anche perché Federico Chiesa è un esterno maggiormente duttile rispetto a Luis Diaz, e quindi all’occorrenza potrebbe ricoprire quel ruolo tanto caro al padre, rigettato in Italia e dalla Juventus: largo da entrambi i lati oppure dietro la punta, a dare del tu al pallone insieme a Momo Salah e Diogo Jota. Tutto questo ad Anfield Road, uno stadio che mette i brividi soltanto a nominarlo.

Nella sua esperienza alla Juventus, Federico Chiesa ha accumulato 131 presenze e 32 in gare ufficiali di tutte le competizioni (Isabella Bonotto/AFP via Getty Images)

Chiesa al Liverpool è un affare eccitante da qualsiasi punto di vista lo si guardi. Anche oltre il campo. Per esempio c’è il fatto che un top club come il Liverpool abbia deciso di investire su un giocatore italiano che deve ritrovarsi, sì, ma che ha tutta l’intenzione di cancellare il passato tornando al top della forma. E questa è sempre una buona notizia, per il nostro calcio. Solo un anno fa il Newcastle aveva tentato di contribuire alla consacrazione di Sandro Tonali, rimandata causa fattori esterni, e la stessa cosa – con esiti migliori – l’ha fatta il Tottenham con Vicario. Il Liverpool ci proverà con Chiesa, e per lui sarà un’esperienza cruciale, se non addirittura necessaria, per far esplodere il suo potenziale. In fondo è andata proprio così a Gigio Donnarumma, per esempio: l’ex portiere del Milan, per quanto ciclicamente soggetto a critiche anche feroci, è cresciuto tantissimo durante la sua esperienza a Parigi. E non a caso è stato tra i migliori nella disastrosa spedizione dell’Italia agli Europei di Germania.

In relazione a Chiesa, è inevitabile pensare che un ambiente differente, delle partite giocate in Premier e Champions League e anche una sana competizione interna per un posto in campo – con i già citati Luis Díaz, Diogo Jota, Salah – possa dare dei nuovi impulsi alla sua carriera. E possa far comodo anche alla Nazionale di Luciano Spalletti, in vista della ricostruzione che porterà al prossimo Mondiale. In ogni caso, il passaggio di Federico Chiesa al Liverpool è una notizia che fa ben sperare nell’immediato: valorizzare i propri giocatori all’estero è un’opzione che storicamente non appartiene al nostro calcio, ma che adesso può rappresentare una strada per curare un’evidente emorragia di talenti. Certo, è pur vero che la Serie A continua a farsi scappare giocatori importanti, giovani di talento che ormai non sono più giovani a causa di gestioni discutibili, di una fiducia messa a dura prova dalle scelte degli allenatori e da una critica feroce. Ma chissà che a Liverpool, proprio a Liverpool, Federico Chiesa riuscirà a riconquistare la corona d’alloro scivolando come un artista sotto la Kop, tra le lacrime e You’ll never walk alone, magari ribaltando la convinzione di essere uno degli ultimi figli di una generazione di fenomeni ormai perduta tra i ricordi.