L’evoluzione completa di Jannik Sinner abita in due colpi nascosti dentro la finale dominata contro Taylor Fritz alle ATP Finals di Torino: una smorzata nel primo e una smorzata nel secondo set, entrambe eseguite facendo passare la palla a una lacrima dal nastro, entrambe pensate e giocare nel momento perfetto. Uno o due anni fa Sinner non solo non sapeva giocare la palla corta con questa efficacia, ma non riusciva nemmeno a leggere i momenti in cui infilare un po’ di poesia dentro il suo tennis già preciso e devastante. È stato un salto di qualità tecnico ma anche mentale, il chiaro frutto di lavoro sul campo e di studio fuori dal campo, la dimostrazione pratica che Sinner non è umile solo a parole ma lo è anche sul campo mentre si allena. Perché non è automatico aver voglia di imparare a fare cose nuove mentre si è uno dei migliori del mondo.
La fredda cronaca della settimana appena conclusa – al termine della finale Andrea Gaudenzi, presidente ATP, ha annunciato che le ATP Finals, il torneo conclusivo della stagione tennistica, si giocheranno in Italia fino al 2030 – racconta che Sinner è il numero uno del mondo per distacco e ha alzato la coppa al cielo dopo aver battuto due volte in una settimana Taylor Fritz. Un italiano non aveva mai vinto il master finale, e Sinner ha ribadito ancora una volta di essere il più forte tennista italiano di ogni epoca se ancora ci fossero dei dubbi.
A vederlo dal vivo è allo stesso tempo musicale e muscolare. Musicale perché la palla – più di tutto quando la colpisce con il rovescio – suona e canta in un modo emozionante e francamente inaspettato. Muscolare perché la velocità e la violenza con cui Jannik colpisce è devastante, forza bruta alla conquista del tennis mondiale. Si sente lo schiocco, ed essere dall’altra parte della rete deve essere tutto meno che piacevole. In televisione il tennis di Sinner può risultare anche noioso, ma dal vivo la questione si fa diversa. Perché Jannik mostra continuamente che, meglio di così, non si può giocare.
Al netto della sua prima partecipazione nel 2021, quando da subentrato all’infortunato Matteo Berrettini – quell’anno sfidò anche Medvedev che gli sbadigliò in faccia: una storia più che altro giornalistica, e infatti Jannik glissa sull’argomento a ogni intervista – poté fare poco, l’edizione 2023 delle Finals sono state forse il grande momento di svolta per la carriera di Sinner, insieme ovviamente alla vittoria della Davis. Un anno fa arrivò la sconfitta in finale contro Djokovic, che però venne battuto durante il girone. Jannik ieri sera lo ha ammesso candidamente: «Essere qui è sempre quello ma quest’anno le emozioni sono un po’ diverse». Dodici mesi fa a Torino, Sinner ha capito di poter diventare il numero uno del mondo, lo ha capito durante quella netta sconfitta in finale. Perché, come in un videogioco anni Novanta, si è trovato davanti il mostro finale, Novak Djokovic. E da li in poi l’ha sempre sconfitto.
Da quella caduta è iniziata una nuova carriera che lo ha portato a vincere la Davis da trascinatore assoluto e poi il primo torneo del Grande Slam della sua vita. Una parte del mito di Sinner è nato proprio dentro al Pala Alpitour, e nella finale contro Fritz ha preso forma in maniera ancora più netta. Come se non fosse bastato il girone vinto in pantofole e ancora di più la semifinale da circolo di provincia contro Ruud, poco più di un’ora per una dimostrazione di forza devastante che ha lasciato a bocca asciutta le migliaia di tifosi che avevano pagato un biglietto per niente economico.
Sinner ha ormai scavato un solco tra sé e gli altri e questo gli permette di rendere banali vittorie contro tennisti come Ruud, classico giocatore che porta sempre a casa quello che deve. Sabato sera il norvegese non ha avuto tempo neanche di prendere il respiro e di capire quello che gli stava succedendo. In questo momento non c’è nessun tennista forte come Sinner, lo dice ovviamente la classifica, ma lo racconta anche il modo in cui vince le partite dominandole dal punto di vista mentale ed emotivo. Tra tutte le persone che l’hanno visto scendere in campo a Torino, nessuno ha mai avuto il minimo dubbio che lui vincesse ogni partita. Durante la finale, ogni tanto Fritz stringeva le spalle e guardava in alto perché stava giocando a un livello così alto che gli avrebbe permesso di battere chiunque, chiunque tranne Jannik. Deve essere molto frustrante colpire così bene ma trovarsi sempre ad inseguire, ad arrancare, a servire con la paura di non mettere la prima perché Jannik poi salta sopra a ogni seconda con il rovescio. Quanto ha fatto male con il lungolinea, forse durante l’intera la settimana l’ha giocato meglio che in tutta la vita.
La sintesi della finale
Una buona parte degli spettatori presenti alla finale contro Fritz erano bambine e bambini. Piccole persone che, grazie a Sinner, stanno diventando degli adulti appassionati di tennis. È merito del gioco, in primis, perché il tennis ha dimostrato e sta dimostrando di essere più importante di tutti i giocatori – siamo qui a infiammarci nonostante non ci siano più i Big Three, e in fondo è sempre andata così – ma è merito anche della faccia di Jannik e del suo gioco cristallino.
Il tennis italiano deve molto al suo campione che sta diventando giorno dopo giorno lo sportivo italiano più importante di tutti. È così forte che sta cancellando anche lo snobismo elitario di chi si arrocca dietro la passione del tennis che arriva da lontano noi guardiamo il tennis da anni, facile adesso con Sinner. Come ripete spesso Teo Filippo Cremonini durante le puntate di Un podcast sul tennis, la cosa migliore che potete ascoltare in Italia su questo gioco, non ci sono diplomi o lauree per chi si appassionava con Sanguinetti, Cipolla, Starace o Volandri. Erano tempi e mondi diversi ma adesso c’è Sinner. E, sinceramente, è tutto molto più bello.