Appuntamento al centro dell’area piccola. Al posto giusto, nel momento giusto. Chissà se, da bambino, l’avrebbe immaginato così, Sandro Tonali, il suo primo gol con la maglia azzurra della Nazionale. Dopo il calvario e il tempo sospeso. Ma quale, a pensarci bene: i dieci mesi di squalifica e ricerca di sé lontano dal campo, o il periodo precedente, da protagonista del Milan e nuova star del Newcastle? «Prima era come se ci fossero due persone dentro di me, ora mi sento semplicemente Sandro», ha già risposto lui. Un giorno alla volta, fino a quel piattone catartico che ha scardinato il Belgio e ha portato l’Italia di Spalletti alla fase finale di Nations League. «È bello segnare e vincere così: in questo gruppo ora c’è tanta serenità», ha detto Tonali. C’è anche la leggerezza di poter soltanto risalire, il calciatore insieme alla squadra. Un nuovo centrocampista per la nuova Italia.
Sarà una lunga strada, in ogni caso. Non basta brillare in Nations League per cancellare un infamante Europeo. Non basta un gol, a chi guarda, per collegare Tonali al suo talento e non più a quel vizio – «lo sbaglio», per usare una parola sua – che rischiava di portarglielo via. Eppure se il riscatto sportivo richiede tappe doverose, quello umano e personale dovrebbe essere già un fatto compiuto. Si era autodenunciato, Sandro. È stato deferito per condotta illecita, le scommesse calcistiche proibite ai professionisti. Ha intrapreso un positivo percorso di riabilitazione. E ora ha pagato il suo conto. Fine. L’unica macchia indelebile di questa vicenda è un anno di carriera perduta, pegno necessario anche per la sua serenità. Nessuna rovina morale. Invece Tonali, abbracciato dalla folla del St James’ Park sin dal rientro, si è detto «colpito dai tifosi del Newcastle: per strada o allo stadio, qui non c’è mai stato alcun giudizio». Lo stupore, per definizione, è la reazione a qualcosa di fuori dall’ordinario. Nel caso specifico il Regno Unito, da parte di un calciatore abituato all’Italia. Ai suoi processi mediatici. Alle colpe – effettive o soltanto presunte – che l’opinione pubblica traduce spesso in marchio nero perenne. Anche una volta scontata la pena – per intenderci: nella lingua inglese, il termine ‘giustizialismo’ come lo intendiamo noi non ha ragione di esistere.
È sempre stato così. Pure peggio. Per ottenere il perdono della sua gente, a Paolo Rossi ci volle un Mondiale da capocannoniere. Aveva 24 anni circa, la stessa età di Tonali, quando fu travolto dallo scandalo Totonero. Era il 1980. Le stagioni di squalifica per il grande attaccante furono due. E lui si è sempre dichiarato innocente: lo dimostreranno anche i fatti, quando sarà troppo tardi. «Da un po’ di tempo ho scoperto che il calcio è un inferno”» diceva Pablito appena prima di diventarlo, in quell’estate ‘82, ogni settimana bersagliato dai fischi. «Tornando in Nazionale, i fantasmi del passato mi sono ripiombati addosso. Tutti». Per fortuna le cose prenderanno una piega molto diversa da lì a pochi giorni. Ma l’ambiente attorno agli Azzurri, prmia che l’Italia si arrampicasse fino alle vittorie contro Argentina, Brasile e Germania, era sull’orlo della sollevazione popolare – chi invocava Pruzzo, chi crocifiggeva Bearzot – e alla vigilia dei sei gol che riscrissero la storia, era pesantissimo. Dopo il pareggio contro il Perù, ricorderà poi il ct, i giornali scrissero perfino che «Rossi non segna più nemmeno per scommessa». Mai battuta infelice fu tanto propizia.
Il problema è che non tutti sono Pablito. La gogna pesa, talvolta opprime. Ma il torto subito dall’eroe di Spagna, se non altro, ha contribuito a far evolvere l’atteggiamento collettivo. E nei confronti di quei calciatori che danneggiano soprattutto se stessi – a scanso di equivoci, non parliamo di chi si è venduto la partita – c’è una nuova benevolenza anche da parte dei club. Oggi il reo confesso Tonali è un testimonial contro la ludopatia. Lo stesso vale per Nicolò Fagioli. Non per eccezionale pietà – «a me salvarono Boniperti, Trapattoni e Bearzot», ribadirà Rossi – ma per un sistema che ha deciso di non lasciarli più soli. Al contrario, la visibilità dei loro errori potrà essere d’esempio a un mondo, giovane e adulto, sopraffatto dall’incapacità di analizzarsi. C’è un’altra cosa di cui infatti è rimasto colpito Tonali: «Le tante persone con il mio problema, che prima non erano mai riuscite a parlarne: soltanto dopo averle incontrate hanno deciso di farsi aiutare».
Senza scomodare il Mundial, sognandone un altro, il ritorno al gol di Sandro Tonali è ben più di un semplice sblocco tecnico e psicologico: vale una memoria sulla tv di stato. A cui se ne aggiungeranno altre. Fino a quando l’Italia spettatrice tornerà a commentarlo da calciatore come tutti, più forte di molti, al centro del progetto di Spalletti. Com’è già avvenuto domenica sera, quando Tonali contro la Francia – dopo un assist al bacio nella gara di andata – ha rivisto le luci di casa a San Siro, ma anche il sapore insalubre e in fondo “normale” di una sconfitta. Dopo un anno e una vita fa. Ora però l’idolo dell’ultimo scudetto del Milan ha un altro capitolo da raccontare. Ancora più importante: quella del campione che sbaglia, paga, si rialza. E come lui, può farlo chiunque. Mica male, come storia di sport.