Da quando sono diventati delle aziende, i club brasiliani sono sempre più ricchi e sempre più forti

Prima erano associazioni senza scopo di lucro, ora sono entità aperte agli investitori, anche quelli stranieri. Ed è così che stanno dominando il calcio sudamericano.

Forse non sarà una cosa molto romantica da rilevare e da raccontare, ma il Brasilerão sta al Sud America come la Premier League sta all’Europa: tra il campionato brasiliano e tutte le altre leghe del subcontinente, infatti, si è aperto un enorme gap economico e quindi competitivo. A dirlo in maniera inequivocabile sono il presente e il recente passato della Copa Libertadores: dal 2010 a oggi, infatti, ben nove club brasiliani diversi (Internacional, Santos, Corinthians, Atlético Mineiro, Grêmio, Flamengo, Palmeiras, Fluminense) hanno iscritto il proprio nome nell’albo d’oro del torneo; e tra tre giorni, come se non bastasse, si giocherà la finale tra Atlético Mineiro e Botafogo: la quarta tra due squadre brasiliane nelle ultime cinque edizioni della Libertadores. Questa supremazia assoluta, com’è naturale che sia, ha determinato le condizioni perché avvenisse una vera e propria diaspora di talenti in direzione Brasilerão. Da anni, ormai, praticamente tutti i paesi del Sud America – compresa e persino l’Argentina – vedono i propri migliori giocatori emigrare verso il Brasile – ovviamente se prima non sono stati opzionati/acquistati da club europei.

Il problema – per gli altri, non certo per i brasiliani – è che questa forbice si sta allargando sempre di più. E continuerà ad allargarsi. Per un motivo molto semplice: da quando sono diventati delle aziende vere e proprie, i club brasiliani sono sempre più ricchi e sempre più forti. Per capire cosa intendiamo, bisogna fare un piccolissimo excursus storico-politico: fino al 2021, le società sportive brasiliane erano giuridicamente inquadrate come associazioni civili senza scopo di lucro. Oppure, in casi più rari, come società per azioni. Poi, però, la legge 14193 del 2021 promulgata dal governo Bolsonaro ha determinato la nascita di un nuovo possibile assetto, quello delle SAF (acronimo di Sociedade Anônima do Futebol). Con questo passaggio, in pratica, le istituzioni hanno creato un nuovo ecosistema per i club brasiliani, fornendo meccanismi ad hoc – per esempio un regime centralizzato per i club indebitati, in modo che potessero pagare i propri creditori – per consentire alle società di emettere titoli e incentivare l’ingresso di nuovi investitori.

In pratica, al di là del linguaggio tecnico, in Brasile sono passati da un calcio a vocazione popolare a un sistema chiaramente capitalista. E così diversi club hanno cambiato il loro inquadramento, si sono ristrutturati come SAF. Gli esempi più significativi sono proprio quelli di Botafogo e Atlético Mineiro, le due squadre che si giocheranno la finale di Copa Libertadores: il Botafogo è tornato grande grazie agli investimenti dellla multiproprietà guidata dall’americano John Textor, che a Lione sta vivendo un’esperienza a dir poco complicata ma a Rio ha messo su una squadra di qualità, tanto che l’anno scorso si è fatto soffiare il titolo dopo aver dominato il campionato e ora è di nuovo lì, in testa alla classifica, e può seriamente pensare all’accoppiata con la Libertadores; la maggioranza delle azioni dell’Atlético (75%) appartiene invece alla Galo Holding, un fondo di investitori brasiliani che ha preso il controllo del club in cambio di 175 milioni di euro. Anche il Cruzeiro, dopo l’addio dell’ex proprietario/presidente Ronaldo (sì, proprio il Fenomeno), è passato nelle mani di Pedro Lourenço, businessman brasiliano. E così, dopo anni bui culminati addirittura con una clamorosa retrocessione in Série B, il club di Belo Horizonte ha ricominciato a fare risultati: è settimo in classifica nel Brasilerão 2024 e, soprattutto, ha disputato la finale di Copa Sudamericana 2024, l’equivalente della nostra Europa League, persa contro il Racing Avellaneda.

Oltre a Botafogo, Atlético Mineiro e Cruzeiro, altre otto squadre brasiliane di prima e seconda divisione sono attualmente inquadrate come SAF: Cuiabá, Botafogo (San Paolo), America MG, Coritiba, Vasco da Gama, Gremio Novorizontino. E poi ci sono Bahía e Fortaleza, due casi a parte: il Bahía era ed è di proprietà del City Football Group, la conglomerata che fa capo al Manchester City e allo sceicco Mansour; il Fortaleza, invece, ha tratto ispirazione dallo statuto del Bayern Monaco e ha deciso di mettere sul mercato solo il 50% meno una delle proprie quote azionarie, in modo che il club potesse attirare nuovi investitori ma potesse continuare ad appartenere, almeno formalmente, ai suoi stessi tifosi.

È chiaro che i grandi risultati raggiunti da Atlético Mineiro, Botafogo e Cruzeiro, come dire, possano rappresentare un’ispirazione per altre società e per altri fondi di investimento. Anche il calciomercato, da questo punto di vista, parla chiaro: il Botafogo ha potuto spendere circa 35 milioni di euro per l’arrivo di Matheus Martins e Thiago Almada, l’acquisto più oneroso nella storia del calcio brasiliano; anche il Cruzeiro ha investito la stessa cifra per un buon numero di colpi in entrata, tra cui quelli che hanno portato a Belo Horizonte giocatori riconoscibili come Matheus Pereira e Kaio Jorge. José Francisco Manssur, avvocato, dirigente e ispiratore della legge che ha portato all’istituzione delle SAF, è stato intervistato dal quotidiano spagnolo Marca e ha spiegato come «questo passaggio sembrava poter causare la scomparsa di club brasiliani tradizionali, invece stiamo vivendo una situazione opposta. Squadre che avevano perso appeal hanno ritrovato il centro della scena, e l’hanno fatto grazie all’aumento significativo degli investimenti locali e internazionali. Avremo senza dubbio un aumento delle SAF a partire dal prossimo anno, non ci sono dubbi». In uno scenario del genere, tocca agli altri club club e alle altre nazioni trovare le giuste contromisure.