Jamie Vardy al Leicester è stato molto di più di una fiaba calcistica

Il capitano delle Foxes, che dirà addio a fine stagione, non è soltanto il bomber di provincia che ce l'ha fatta è stato in assoluto un grande attaccante. Tra i migliori in circolazione.

Doveva arrivare il momento. Quando si parla di Jamie Vardy, dall’Inghilterra all’Italia, qualunque dato o gesto attorno all’attaccante del Leicester è immediatamente traducibile in una pillola di romanticismo. Per esempio: la sua ultima stagione alle Foxes sarà anche l’ultima di Claudio Ranieri allenatore. Coincidenze? E l’annuncio del suo addio arriva a pochi giorni dall’anniversario – correva l’1 maggio 2016, 1-1 contro il Man United – dell’aritmetica conquista della Premier League. Sarà forse un caso? Ai tifosi piace fantasticare, si sa. E nulla è stato più fantastico dell’ultradecennale avventura di questa squadra e questo giocatore. Un signor giocatore, a dire il vero: a furia di essere gli eroi della fiaba, il rischio è di vedere offuscata la propria dimensione calcistica effettiva. Vardy sorride e sta al gioco.

‘«Sono qui da così tanto tempo», il congedo del numero 9 via social, «che pensavo davvero che non sarebbe mai finita. È stata una decisione difficile da prendere e da comunicare: il Leicester è la mia seconda casa, la mia famiglia allargata, la mia vita di questi ultimi 13 anni». Ma ecco il punto: «Voglio continuare a giocare e a fare ciò che mi piace di più: segnare gol. Spero di poterne realizzare ancora qualcuno per il Leicester, da qui alla fine. E molti altri in futuro altrove: potrò anche avere 38 anni, ma ho ancora il desiderio e l’ambizione di arrivare ancora più in alto». Non è solo mutua riconoscenza verso il pallone. Nel tempo, Vardy ha dimostrato di avere tutti i numeri dalla sua: gli mancano due partite per raggiungere le 500 presenze con la maglia delle Foxes e altrettante reti per centrare quota 200 (da oggi il vero obiettivo stagionale di tutto il King Power Stadium, visto che la squadra è già retrocessa anzitempo).

Sono grandi numeri in assoluto. È vero, Jamie è figlio della gavetta, del lavoro in fabbrica, del calcio dilettantistico ed è sempre rimasto l’uomo di popolo delle Red Bull scolate nel tunnel degli spogliatoi (commenti retorico-pallonari fra 3, 2, 1…). Ma è soprattutto uno dei migliori finalizzatori della sua generazione, ben oltre l’Inghilterra. Ha segnato 143 gol in Premier League, laureandosi capocannoniere nel 2020 – e le ultime sette, cosa non banale, sono arrivate in quest’annata fallimentare per le Foxes. Ha assaggiato la Champions e la Nazionale anche un po’ di più (26 partite e sette centri, come Robbie Fowler). E il tutto in un club che prima di lui non aveva mai conosciuto una simile dimensione sportiva, sfidando le grandi e talvolta rivelandosi meglio di loro. Non serve nemmeno tornare troppo indietro nel tempo: 26 gennaio scorso, rimonta vincente delle Foxes sul campo del Tottenham e lapidaria esultanza del capitano – l’uno e lo zero mostrati con le dita, come il numero delle Premier conquistate dalle due squadre.

Fino a questo momento – certo non per caratteristiche tecniche, ma per peso specifico – Vardy in qualche modo ha assomigliato a quel che Antonio Di Natale rappresentava nella Serie A del suo tempo. Una bandiera, un avversario scomodo per chiunque. E un idolo inarrivabile per la sua gente. Diciamo finora, perché se Totò ha aspettato il tramonto in Friuli, Jamie ha tutte le intenzioni di continuare a dire la sua. Magari da comprimario, in un club di altro spessore visto che le Foxes scenderanno in Championship. Non si sa come andrà finire. Ma di sicuro, Vardy ha fatto vedere a tutti di meritarsi la sua grande chance sul campo. Anche a 38 anni. La fiaba non c’entra nulla.

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