Quello di Sergio Conceição al Milan è stato un fallimento clamoroso e inevitabile

La sconfitta contro il Bologna, in finale di Coppa Italia, segna la fine di un'avventura che sembrava promettente. E che invece ha prodotto tantissime delusioni.

La consapevolezza di una scelta sbagliata a volte può arrivare in un istante. O forse in un’istantanea, di quelle che non guardi mai, ma non vuoi neanche cancellare dalla galleria del telefono. Anche se a vederle fanno male, infatti, ricordano quanto eri felice qualche tempo prima, quando ritenevi quella decisione la migliore della tua vita. Pensieri simili devono aver attraversato la mente di Sergio Conceiçao nel momento in cui è stata scattata la foto che vedete in apertura, a pochi minuti dall’addio all’unico obiettivo rimasto al Milan, la Coppa Italia. Un trofeo che avrebbe dovuto salvare la stagione dei rossoneri e invece l’ha chiusa in anticipo. Così come chiusa, presumibilmente, è anche l’avventura di Conceição da allenatore del Milan.

Nello scatto, Sergio Conceiçao si strizza il viso con la mano. Occhi chiusi, capo abbassato. Sembra dire: ma chi me l’ha fatto fare? Certo, una chiamata del Milan è irresistibile, eppure i segnali del disastro imminente c’erano tutti. Lo ha riconosciuto lui stesso nelle scorse settimane, e poi anche nel post partita della finale persa contro il Bologna: «I problemi esistevano già prima che arrivassi io», ha ribadito in conferenza stampa e nelle interviste. Con la voce bassa e lo sguardo verso i piedi. Una frase che si ripeteva non tanto per autoassolversi, quanto per passare il momento di delusione, per non gettarsi addosso altra energia negativa.

Conceiçao ci ha sempre messo il corpo, in questa sua avventura al Milan. La sua è stata una presenza fisica e costante. Nei momenti più allegri, come nel balletto con il sigaro in bocca dopo la vittoria della Supercoppa in Arabia, a gennaio, pochi giorni dopo il suo arrivo in rossonero. E nei giorni più complessi, quando si è preso la responsabilità dell’eliminazione della Champions League contro il Feyenoord, a cui il Milan aveva appena rubato Santiago Giménez, il miglior giocatore della squadra, e quando ha discusso con Calabria al fischio finale del match contro il Parma. Una lite che ha segnato l’addio dell’ex capitano dal Milan, in direzione Bologna.

Col tempo, con il passare delle settimane, Conceição è come se si fosse trasformato quasi in un fantasma, mai realmente seguito dal gruppo. Da centrale che voleva essere, si è sentito sempre più relegato, da squadra e società. I continui rimandi al suo curriculum e alla sua esperienza internazionale, per non far passare il messaggio che si trovasse a Milanello per caso, ne sono un esempio: «Non sono nel calcio da due giorni, adesso la mia testa cerca solo di capire quello che non è andato e cosa si poteva fare di più. La coppa è persa, non si può fare altro se non guardare avanti, con dignità», ha ammesso davanti ai giornalisti dopo la finale.

In occasione delle sue ultime uscite pubbliche, Conceição ha parlato spesso di mancanza di rispetto nei suoi confronti, sia nelle critiche dei media che nella gestione di alcune dinamiche interne. Di fatto l’ex allenatore del Porto si è lentamente allontanato dal suo stesso ambiente, forse perché lo ha protetto poco o gli è piaciuto sempre meno. Fatto sta che, campo a parte, a livello di visione il Milan e Conceiçao parevano su due isole diverse, senza un ponte che le collegasse. Le molteplici indiscrezioni su un nuovo assetto dirigenziale e tecnico, poi, non hanno certo aiutato la sua serenità mentale. Proprio quando sembrava aver trovato il modo di dare un minimo di continuità alla squadra, con il passaggio alla difesa a tre, è arrivata la sconfitta più dolorosa. Per altro nella partita che un poteva valere un trofeo, un posto in Europa e la sensazione che l’annata non fosse proprio da buttare. Un po’ come quando sta per finire una storia d’amore e ci si sforza di raddrizzarla, ma poi succede qualcosa che rimette tutto in discussione.

Il problema, naturalmente, va oltre Sergio Conceição, oltre un uomo centrato che ha fondato il suo metodo educativo su fermezza, applicazione e rigore, e per cui deve essere stato complesso entrare dentro un Milan così confusionario. Ci ha provato in tutti i modi, convinto che la fatica pagasse. E invece la fatica non ha pagato. Anzi, gli ha chiesto il conto. Al tecnico portoghese è mancato qualsiasi tipo di supporto reale da parte di dirigenza e proprietà, l’idea che tutto potesse risolversi/esaurirsi con il mercato di gennaio è stata quantomeno azzardata. E alla fine si è rivelata sbagliata. Poi certo, Conceição ci ha messo anche del suo: dopo un inizio di grande impatto emotivo, il Milan ha manifestato solo dei leggerissimi miglioramenti tattici. Avrà vissuto delle grandi serate, si pensi in questo senso alla semifinale di Coppa Italia contro l’Inter, ma sono stati expolit sporadici, partite vinte più con la testa che con il gioco. E infatti, se guardiamo tutte le altre gare, ciò che ha colpito dei rossoneri è stata la povertà di idee, soprattutto dal punto di vista creativo e offensivo.

La notte dell’Olimpico ha restituito perfettamente la dimensione di questo fallimento clamoroso e inevitabile. E anche l’immagine di un allenatore profondamente deluso, quasi svuotato, da come sono andate le cose. Il Milan non è stato così inferiore al Bologna sul piano delle occasioni create, poche per entrambe, ma lo è stato sul piano dell’intensità, della voglia, della pura qualità. Per quanto questo mood stia diventando un difetto atavico nei rossoneri, Conceiçao lo ritiene inaccettabile. È il più sconfortato di tutti, lo si è notato anche durante la premiazione, quando ha preso frettolosamente la medaglia ed è sfilato via veloce, scurissimo in volto. Saranno giorni di riflessione pure per lui. Ma dovranno esserlo soprattutto per il Milan, un club a cui serve un progetto. E che non può più provare a nascondersi dietro il volto, il corpo, il lavoro di un allenatore.

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