Se c’è una cosa che più di tutte rimane impressa, quando si visitano i centri giovanili dei più grandi club portoghesi, quando si ascoltano coloro che lavorano in quelle che sono delle vere e proprie miniere di talento, è la chiarezza di intenti che si percepisce in ogni club, dal più piccolo (ma non meno ambizioso) Braga, sino alle realtà più importanti come Benfica e Porto. L’obiettivo è uno solo, limpido e inequivocabile: produrre talento. E ogni sforzo, dagli investimenti corposi sulle infrastrutture (poche squadre di Serie A A hanno a disposizione una reggia calcistica paragonabile a quella del piccolo Braga), fino alla costante ricerca scientifica in collaborazione con le università del territorio, è volto al raggiungimento di questo obiettivo. C’è un concetto che viene ripetuto da tutti i coordinatori dei settori giovanili: se si tratta di settore giovanile, la performance nell’immediato non interessa; che un U13 vinca un campionato seguendo la scorciatoia più semplice, magari garantendo un salto di carriera al suo allenatore, non è certo una priorità.
Le difficoltà come occasioni di crescita
Si lavora sempre sul lungo termine: l’obiettivo è fare acquisire conoscenze ai ragazzi. Perché questo avvenga, occorre metterli in difficoltà, fargli superare fasi di crisi che, magari pur rendendoli meno competitivi nel presente, li renderanno calciatori più forti una volta arrivati tra i grandi. Un esempio chiaro, in questo senso, è quello fornito da Hugo Machado, coordinatore del settore giovanile del Porto ed ex scout del Milan: secondo lui, ogni squadra giovanile del suo club non solo deve giocare sotto età di un anno, ma deve anche seguire alcune regole di apparente “auto-sabotaggio” tecnico-tattico, quindi degli eservizi volti a plasmare calciatori più completi.
Ecco un esempio: quasi tutte le Under, pur giocando a quattro in difesa, impostano il gioco a tre e mantengono un terzino sempre alto già dalla prima costruzione, in modo da scoprirsi un po’ di più. Così abituano i difensori a ritrovarsi in situazione di parità (o addirittura) numerica in transizione negativa. ossia una volta perso il possesso palla. In sostanza, il Porto decide di concedere un apparente vantaggio agli avversari, col fine di allenare i difensori ai duelli a campo aperto, una condizione tattica sempre più frequente nel calcio moderno.
Sempre in riferimento ai terzini, proprio quando un giovane giocatore ha una predisposizione ad utilizzare un solo piede, gli viene richiesto di giocare dentro al campo, in modo da obbligarlo a controlli più complessi, a ricezione che lo obblighino a limare le carenze sul piede debole. È chiaro che, di fatto, in questo modo le Under del Porto si auto-impongono degli handicap, e in alcuni casi tali sabotaggi gli possono costare punti e vittorie in campionato. Ma questo, nell’ottica della formazione del talento, non interessa. L’idea è quella di accettare di perdere tre punti oggi, nella speranza di allevare calciatori più completi, più pronti quando quei punti persi verranno ricompensati. Come? Con tonnellate di milioni dai club esteri interessati ai giocatori formati dal club. È questo il vero patrimonio.
L’importanza dei fondamentali
Anche il coordinatore delle metodologie di allenamento delle giovanili del Benfica, evidentemente, la pensa così: il club di Lisbona parla spesso con fierezza degli 1,3 miliardi guadagnati grazie ai giocatori ceduti negli ultimi dieci anni (record europeo). Per arrivare a certi risultati, però, bisogna lavorare moltissimo. Prima e dopo che i giocatori si aggregano al vivaio. Ecco un piccolo aneddoto: «Sapete come siamo riusciti a prendere João Félix? Perché nell’Under 17 del Porto non giocava. Il Benfica poi l’ha venduto all’Atlético Madrid per 120 milioni di euro. E Rúben Dias, venduto al City per 70 milioni? Pensate che ai tempi delle giovanili avesse la pulizia tecnica di oggi? Al contrario, era il fondamentale su cui abbiamo lavorato di più, perché era indietro rispetto ai compagni».
Qui, è necessaria una breve digressione: fondamentale tecnico è un’altra delle parole chiave di questa settimana di immersione nella pancia del calcio giovanile portoghese. Ogni squadra lavora in modo ossessivo sul miglioramento tecnico dei giovani, già a partire dalla squadra Under 9: gli analisti del Braga utilizzano un database che contiene i nomi di tutti i giocatori per ogni loro rappresentativa giovanile. Basta schiacciare su uno di questi nomi, e si apre una tabella che contiene nella colonna di sinistra ogni fondamentale tecnico: passaggio, controllo orientato, ricezione, tiro, colpo di testa etc. Sul database sono caricate sia clip di errori che di esecuzioni corrette del giocatore in questione, e a partire da queste, si lavora sul migliorare i punti deboli che vengono individuati. Il Benfica fa una cosa simile, ma coinvolgendo anche i giocatori: a ognuno viene richiesto di auto-valutarsi per ogni fondamentale, e poi anche di scegliere un giocatore professionista di riferimento (con caratteristiche simili) e valutarlo negli stessi attributi. L’obiettivo è quello di sviluppare un senso critico nel giocatore, il quale, vedendoli palesati in video, diventa consapevole dei propri difetti. Così, in pratica, si sentirà stimolato dal sogno di raggiungere il livello di un suo idolo nel calcio dei grandi, e quindi magari lavorerà col doppio della motivazione per colmare il gap tecnico.
Visto il lavoro minuzioso sui fondamentali, alla domanda su quali siano i fondamentali più difficili da migliorare, João Silva – Performance Analyst del Braga che lavora al database in questione – risponde in modo deciso e immediato: «Quelli tecnici, legati al rapporto del giocatore col pallone. Se non lavorati a dovere nei primi anni di formazione, recuperarli a un età più avanzata è come imparare a sciare a trent’anni: si può migliorare, ma con chi ha iniziato da bambino ci sarà sempre un abisso nella fluidità dei movimenti».
Tornando alla conferenza del coordinatore del settore giovanile del Benfica, vengono lanciati altri due nomi di alto calibro: Bernardo Silva e João Cancelo. «Entrambi», dice il coordinatore, «hanno fatto con me tutta la trafila delle giovanili, ma giocavano poco sino alle ultime fasi di formazione. Gli si riconosceva grande abilità tecnica col pallone tra i piedi, ma non erano in grado di reggere l’impatto fisico». Eppure entrambi sono rimasti in rosa, coltivati con pazienza fino ad attendere il momento giusto, quello della manifestazione del loro scintillante talento. È questa consapevolezza dei tempi dilatati, propri del calcio giovanile, a contraddistinguere la grande scuola portoghese. La consapevolezza del fatto che anche il talento più florido, in età giovanile, possa seguire un percorso di crescita tortuoso e discontinuo. Quello che conta, però, è essere preparati al punto d’arrivo: quando ci si affaccia al calcio dei grandi.
I bambini non giocano più per strada, neanche in Portogallo
Un altro tema significativo – a dimostrazione di come non se ne parli solo in Italia, dove sembra la motivazione semplicistica che si deve tirar fuori a ogni disfatta della Nazionale – è quello del calcio di strada. Al congresso “Scientific Insights on Football Training” tenutosi a Lisbona qualche giorno fa, Andrè Gonçalves – Youth Athletic Developement Coach del Benfica – ha iniziato la sua presentazione con citazioni di Romário, Ronaldinho, Neymar e altri fuoriclasse sull’importanza che il calcio di strada in età infantile ha avuto nella loro formazione tecnica. Dopodiché, passa a presentare gli orizzonti tragici del quadro attuale: agende impegnatissime, compiti in eccesso e città sempre più pericolose come “campi da gioco” di strada sono alcune cause di quella che definisce una «Motor Illiteracy» diffusa tra i giovani di oggi. Il problema, aggiunge, è che le scuole calcio sembrano lavorare su abilità motorie e cognitive molto specifiche e avanzate. Laddove invece, in assenza di un’educazione motoria di base, mancano le fondamenta, ossia le FMS (Fundamental Movement Skills), le quali prima venivano apprese nel gioco libero, scevro di feedback di insegnanti o di regole imposte dall’esterno che ostacolano la creatività.
Di fatto, quindi, anche in Portogallo quello dei bambini che non giocano più per strada è un tema di dibattito. La differenza sostanziale, però, sta nella reazione a tale constatazione, Lato Italia, la passione tutta nostrana per la lamentela e l’autocommiserazione prende il sopravvento, e il tema diventa quindi una scusa pronta a essere chiamata in causa come un parafulmine per tutte le stagioni, a ogni fallimento del sistema, in modo da assolvere tutti i reali colpevoli. Lato Portogallo, invece, i talenti continuano a emergere a grappoli per un semplice motivo: quando si manifestano dei problemi, si cercano soluzioni. Non tutte funzionano, ma intanto si agisce, ci si libera dal torpore pigro di chi imbraccia un alibi per giustificare la propria passività. E così, proprio per sviluppare tutte quelle competenze motorie che si ottengono solo in un orizzonte di gioco libero, le squadre giovanili portoghesi adottano diverse soluzioni creative: il Benfica, per esempio, organizza diverse sessioni di futsal (anche noto come fútbol sala), disciplina di calcio a 5 su cemento fondamentale per arrivare a padroneggiare il pallone e sviluppare fondamentali specifici quali l’utilizzo della suola; non a caso, proprio in Brasile, la terra del calcio di strada per antonomasia, spesso i bambini partono proprio dal futsal, prima ancora di solcare l’erba dei classici campetti da calcio.
Oltre al futsal, vengono organizzate sessioni di tiri, controlli e passaggi con palle da tennis, di gomma, da rugby, oppure giocando bendati da un occhio. Così si mette in difficoltà il bambino, esponendolo a un contesto anomalo in cui deve fare i conti con difficoltà ancor più ardue di quelle che può incontrare in partita. In questo modo si migliorano le sue capacità motorie, la reattività cognitiva, la capacità di adattamento alla difficoltà. Soprattutto, l’idea è quella di incentivare al gioco libero, dimensione difficile da riprodurre nei classici allenamenti di squadra, divisi scientificamente in segmenti tra tattica, possesso, ed esercitazioni spesso meccaniche.
Le gabbie, la danza, tre partite in un weekend
Un’altra novità è quella delle “Cages”, gabbie in stile FIFA Street in cui i giocatori possono utilizzare le sponde e giocare senza ruoli, feedback esterni o limitazioni circa la possibilità di avventurarsi in colpi di tacco, biciclette o skills di ogni tipo. La soluzione più sorprendente, però, è quella della danza: al Benfica, è stato cooptato un istruttore di ballo per guidare i giovani giocatori in esercizi di coordinazione via via più complessi, fino ad effettuare vere e proprie coreografie. A primo impatto l’effetto, vedendo i bambini con la maglia rossa intenti a un ballo da centro estivo, è quasi comico. Ma la funzione è presto detta: i calciatori di livello sono veri e propri maestri delle capacità coordinative motorie. Allenarli in tal senso, abituandoli sin dai primi anni ad effettuare diversi sport (dalla danza fino al judo), non può che renderli atleti più completi e capaci di padroneggiare il proprio corpo.
Hugo Machado, lato Porto, affronta lo stesso problema guardandolo da una prospettiva un po’ diversa: per lui, la mancanza del gioco in strada toglie ai ragazzi tante ore di sviluppo. E le sole ore di allenamento nelle scuole calcio non sono sufficienti. La soluzione adottata dal Porto prevede tre partite a weekend: una ufficiale, una amichevole e una di futsal; a rotazione, tutti i ragazzi ne giocano almeno due ogni fine settimana. In questo modo i bambini giocano più tempo. E, soprattutto, giocano sempre almeno una partita a weekend in cui siano liberi di divertirsi senza pressioni esterne.
Preparazione polisportiva
Un altro pilastro su cui si regge il sistema giovanile portoghese sono i centri sportivi all’avanguardia, capaci di ospitare campi di ogni superficie e per tutte le discipline. Il Benfica non è solo calcio, è una polisportiva che vanta 900 trofei in 29 campionati diversi. Nel museo del club di Lisbona, dentro lo stadio Da Luz, ciascuno di questi trofei è valorizzato in nome di un senso di comunità della cultura sportiva ben distante dalle logiche monopolistiche del calcio in Italia. Lo stesso vale per il Braga, un piccolo club che non ha mai vinto la Liga portoghese ma che vanta una “Cisdade Deportiva” all’avanguardia. Dal 2017, tutte le squadre della polisportiva si allenano nella stessa fortezza, con decine di campi da calcio posti a pochi passi dal suggestivo Estádio Municipal. Così i bambini dell’Under10 si allenano a pochi minuti di passeggiata dai senior, da quei professionisti che un giorno sognano di raggiungere.
Nella prima squadra del Braga, attualmente al quarto posto in campionato, ci sono ben sei ragazzi formati nel settore giovanile. Il Porto, da questo punto di vista, rappresenta un caso sui generis: non ha una centro sportivo paragonabile a quello di Benfica e Braga, dove le giovanili si allenino a pochi passi dalla prima squadra. Anche a livello di formazione, lavora più sulle scuole calcio all’estero, in virtù del progetto “Dragonforce”, fonte del 25% dei giocatori membri del settore giovanile dei “Dragoes”. Il progetto prevede la collaborazione con 33 scuole (quattro internazionali, dislocate in Brasile, Mozambico, Zimbabwe e Turchia), da cui il club seleziona i migliori giocatori per effettuare provini prima di aggregarli alle giovanili.
Per facilitare la transizione da società e Paesi metodologicamente distanti, il Porto invia periodicamente i suoi coordinatori tecnici nelle sue scuole, in modo da educare gli allenatori a metodi e modelli di lavoro più vicini a quelli adottati in Portogallo, e da facilitare poi la transizione dei giocatori che vengono a mano a mano selezionati.
Ricerca e università
L’ultimo punto che va sottolineato è l’importanza data alla ricerca. Al congresso “Scientific Insights on Football Training”, stupisce la presenza massiccia di Sports Scientists provenienti da piccole città portoghesi come Coimbra, professionisti che collaborano coi club per fornirgli materiale di studio sulle metodologie di allenamento, la prevenzione di infortuni e i temi più disparati legati al gioco, sempre analizzati da un punto di vista prettamente scientifico. Il congresso, aperto dal presidente della Federazione calcistica portoghese Pedro Prorença, ha visto la partecipazione di accademici di tante università inglesi, scandinave e portoghesi. Purtroppo, nonostante il prestigio dell’evento, non una sola presentazione né un caso di studio hanno visto coinvolti italiani, a riprova del fatto che nostri club, per il momento, non sembrano aver intuito il potenziale di eventuali collaborazioni con le istituzioni universitarie.
Intanto, il mondo del calcio progredisce alla velocità della luce, e solo chi è disposto ad aggiornarsi alla stessa velocità riesce a tenergli il passo. Infrastrutture all’avanguardia, focus sullo sviluppo del talento a lungo periodo e collaborazione con le università per garantire un costante aggiornamento: le fortune dei club portoghesi, che ogni anno producono due o tre giocatori pronti a fare le fortune delle big d’Europa, parte da molto lontano. L’Europeo del 2004, che ha favorito la costruzione di gran parte degli stadi, ha dato senz’altro un primo impulso decisivo, mentre l’esplosione di Cristiano Ronaldo ha piantato la bandierina della nazione nel calcio d’èlite. La voglia di focalizzarsi su un obiettivo chiaro – produrre talenti per poi venderli a cifre astronomiche – ha fatto il resto: la strategia è chiara, l’esecuzione chirurgica. Una macchina che non sbanda mai, perché sa perfettamente dove vuole andare. E non cerca scuse.
Leggi anche
- Il Benfica fa fare lezioni di ballo ai suoi giovani perché sappiano improvvisare in campo
- Quali sono i settori giovanili più prolifici d’Europa e del mondo?