Con la vittoria in Conference League Maresca ha chiuso una grande stagione, e adesso è un tecnico d’élite

Il tecnico italiano ha riordinato il Chelsea, l'ha riportato in Champions e ha vinto anche il suo primo trofeo internazionale. Difficile chiedere di più.

Al destro a giro di Jadon Sancho che gli ha regalato il primo trofeo europeo da capo allenatore, Enzo Maresca ha esultato esattamente come qualsiasi altro gol della stagione: un pugnetto shakerato dolcemente verso i suoi collaboratori e un sorriso leggero ma sereno. Come di chi sa che il suo valore va oltre un singolo risultato, anche se si tratta di una finale internazionale. Eppure, a pensarci bene, Maresca non aveva bisogno di dimostrare nulla. Quantomeno non ieri sera. Perché in dieci mesi ha ribaltato il mondo del Chelsea e gli ha restituito una nobiltà che negli ultimi anni stava diventando un po’ cafona, più ostentata che sostanziale.

Quello del tecnico italiano è stato un lavoro lungo e faticoso. Cominciato in estate, quando ha ereditato una rosa da 45 giocatori che riuscivano ad allenarsi solo perché il centro tecnico di Cobham dispone di novi campi. Maresca si è presentato con il CV da assistente di Pellegrini prima e Guardiola poi, e con una promozione dalla Championship ottenuta con il Leicester. L’ultimo che era arrivato con un background di questo genere aveva sbandato, solo che non gli avevano potuto dire più di tanto perché era Frank Lampard e a Stamford Bridge, tutti i giorni, è sempre affisso uno striscione a lui dedicato con la scritta “Il giocatore, il capitano, la leggenda”. Insomma, uno che non si discute.

Premesse, quindi, buone ma non buonissime. Eppure Maresca ha avuto il coraggio di fare quello che dal 2022 nell’ovest di Londra non aveva fatto nessuno: scegliere. Tutto, dai giocatori effettivamente dentro il progetto ai metodi di allenamento, poi le regole e la routine prepartita. La bulimia sul calciomercato portata dal nuovo proprietario Todd Boehly aveva abituato l’ambiente a una filosofia di vita da Winnie the Pooh, ovvero prendere e accumulare finché si poteva, tanto poi una soluzione si sarebbe trovata. Per questo la dirigenza si era affidata a un manager dalla grande esperienza di gestione come Pochettino, allievo della scuola platonica di Bielsa, in cui si cerca di insegnare l’essenza del calcio a più giocatori possibili. Risultato? Un dodicesimo e un sesto posto, ma soprattutto niente Champions League. L’habitat naturale del Chelsea.

Allontanato il coach argentino, il management ha chiesto una sola cosa a Maresca: di rimettere ordine, riportando la squadra nella coppa più prestigiosa nel giro di un paio d’anni. Il tecnico campano ci è riuscito al primo colpo, centrando il quarto posto e conquistando pure l’ultimo titolo europeo che mancava nella bacheca di Stamford Bridge, la Conference League. Fin da subito ha spiegato al suo gruppo l’importanza di questa competizione, di quanto fosse necessario onorarla per salire di livello. Il piano era semplice: «Io faccio giocare due formazioni completamente diverse», ha detto ai giocatori, «voi dimostratemi che siete bravi allo stesso modo». Un metodo perfetto per tenere sul pezzo una rosa di 28 ragazzi, dopo i 17 tagli (anche qui, le scelte) dell’estate. Un cambiamento radicale ma silenzioso, fatto passare sottotraccia, come le migliori rivoluzioni. Si è sempre dimostrato molto schietto e aperto, spiegando chiaramente a ciascuno se e per quale ragione rientrasse o meno nel progetto. Un lavoro che ha facilitato l’operato del club, in grado di muoversi più agevolmente sul mercato in uscita. Dei giocatori che se ne vogliono andare, infatti, si piazzano meglio.

Sul lato tattico Maresca è un figlio di Guardiola. Nel costruire i suoi Blues è partito da un classico 3-2-2-3 con gli esterni molto larghi disponibili a tagliare e dialogare con la punta centrale. Pppure, meglio ancora, puntare il diretto avversario. In un sistema del genere diventano fondamentali le funzioni dei due di metà campo, Caicedo e Enzo Fernández, non a caso due dei marcatori nel 4-1 che ha steso il Betis in finale di Conference. Caicedo deve leggere le linee di passaggio in fase difensiva e innescare la manovra rapidamente. Dall’argentino, invece, Maresca pretende che leghi il gioco e si inserisca costantemente nello spazio lasciato vuoto dalla punta (Nkunku, Neto o Nicholas Jackson) e da Cole Palmer. Già, Cole Palmer, divenuto a un certo punto della stagione Cold Palmer, per quanto raggelasse gli avversari. Per tutta l’annata, Maresca gli ha imbastito intorno un struttura che sa di libertà. Ossimoro azzeccato, tanto che l’ex City ha messo insieme 15 gol e 12 assist. All’interno dei compiti di link tra centrocampo e attacco può fare quello che preferisce, aggirarsi per il campo e aspettare la partita.

La capacità di attesa è stata anche l’arma in più di tutta l’annata di Maresca, sul terreno di gioco e fuori: «Mi aspettavo un inizio di grande impatto del Betis», ha ammesso il manager del Chelsea nel post partita. «Loro avevano giocato un giorno prima in un match senza ambizioni, mentre noi avevamo lottato per 100 minuti per un obiettivo importante come la Champions League». Parole non scontate, specie se si ha a disposizione la rosa più forte e giovane della Conference. Maresca è come quel medico che si ripete di continuo cosa può andare in un’operazione per prepararsi a ogni evenienza. Nella sua idea di calcio, fatta di partite dentro le partite, sapere leggere i momenti è vitale, segna la differenza tra vittoria e sconfitta.

Proprio quello che è successo in finale, quando nell’intervallo ha sostituito uno spento Malo Gusto, in difficoltà contro Ezzalzouzi, già giustiziere della Fiorentina e autore dell’1-0 che aveva mandato in paradiso il Betis. Risolto quel rebus, Maresca si è preoccupato di svincolare Palmer dalla marcatura di Cardoso, alzando Enzo di una decina di metri. In questa maniera, il centrocampista inglese ha potuto cercare aria sugli esterni, attaccare il nuovo entrato Ricardo Rodri2guez e trovare due meravigliose tracce, una per il taglio di Fernández, come da copione, e l’altra per Nicolas Jackson, velocissimo nell’anticipare i due centrali Bartra e Natan. L’ingresso di Dewsbuty-Hall è stato poi il capolavoro tattico dell’ex allenatore del Leicester. L’inglese ha fornito intensità fin dal primo pallone giocato. Ne sono conseguiti i due recuperi alti che hanno dato il via all’1-3 di Sancho e alla rete finale di Caicedo.

Gestione, applicazione tattica e saggezza comunicativa. Maresca ha tutte le doti doti dei grandi allenatori contemporanei. Durante tutto l’anno ha mantenuto i piedi per terra quando il Chelsea volava al secondo posto a dicembre, ricordando sempre l’obiettivo societario di tornare in Europa, e poi non si è abbattuto nel periodo di fine inverno, quando i Blues sembravano destinati a crollare di nuovo. Una strategia riuscita ma che ha portato tanto stress, liberato nell’intervista flash dopo il successo contro il Forest nell’ultimo turno di campionato. «Com’è che dite qui in Inghilterra a chi rema sempre contro, a chi tende a buttarti giù?» ha domandato al giornalista retoricamente. «F**k off, vero?». Non le ha mandate certo a dire. Senza mezze misure, come tutta la sua stagione 2024/25: la stagione che l’ha portato nell’élite.

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