L’addio di Spalletti è una scelta dolorosa ma inevitabile

I risultati ottenuti dall'Italia nell'ultimo biennio sono stati troppo deludenti, per poter andare avanti.

Per quanto si tratti di due lavori fondamentalmente diversi, gli allenatori di club e i commissari tecnici delle Nazionali sono valutati secondo lo stesso identico criterio: i risultati ottenuti sul campo. E allora bisogna partire da qui, dai risultati, per comprendere l’esonero di Luciano Spalletti da parte della Federazione Italiana Giuoco Calcio: quando sono passati poco meno di due anni dal suo arrivo, l’Italia di Spalletti ha reso troppo poco. E la partita persa malamente in Norvegia, per dirla con parole non troppo velenose, in questo senso ha chiuso tutti i cerchi: a Oslo, gli Azzurri sono scesi in campo con una formazione talmente forzata da risultare illogica, totalmente fuori fuoco rispetto a quanto emerso nell’ultima fase della stagione dei club. E così a Haaland e ai suoi compagni è bastato giocare in maniera lineare, pulita, senza sbavature, per sbarazzarsi dell’Italia con un netto 3-0. E per mettere una seria ipoteca sul primo posto nel girone di qualificazione ai Mondiali.

Ovviamente, come avrete già intuito, il problema non è stata la singola prestazione contro la Norvegia. Il problema vissuto/causato da Spalletti sta nel fatto che questo tipo di partite le abbiamo già viste, nel corso della sua gestione: contro la Spagna e (soprattutto) agli ottavi contro la Svizzera agli ultimi Europei, contro la Germania (almeno nel primo tempo) ai recenti quarti di Nations League. Il fatto che una sconfitta così netta e così triste sia arrivata contro la Norvegia, una Nazionale lontana dall’élite del calcio mondiale, per altro in una gara già decisiva in chiave-Mondiali, beh, ha fatto precipitare tutto.

Saltando dall’altra parte dello spettro, in pochissime occasioni l’Italia di Spalletti ha offerto delle prove convincenti. Le partite brillanti giocate dagli Azzurri nell’ultimo biennio si possono contare sulla dita di una mano, forse solo la vittoria in casa della Francia – girone iniziale dell’ultima Nations League – verrà ricordata da qui a qualche tempo. Per il resto, anche i match positivi non sono mai stati accompagnati da una sensazione di entusiasmo e quindi di sviluppo reale, ogni piccolo passo in avanti è stato cancellato nelle gare successive, fino all’implosione definitiva di Oslo.

Non sembrerebbe esserci molto altro da aggiungere, alla fine come detto questo esonero è una questione di risultati, di feeling calciscarsissimo – per non dire assente – tra Spalletti e la sua squadra. Allo stesso tempo, però, non si possono ignorare l’atmosfera elettrica e le polemiche degli ultimi giorni, la pessima gestione trasversale del caso-Acerbi, il nervosismo e la tristezza manifestata da tutto il gruppo-Italia durante e dopo il viaggio in Norvegia, la surreale conferenza stampa interrotta dall’ormai ex ct dopo una domanda su un presunto tradimento subito negli ultimi giorni, nelle ultime ore.

Insomma, tutto era precario, tutto era sul punto di rompersi. E tutto è andato in pezzi in pochissimo tempo, come succede sempre quando i progetti non funzionano, non hanno basi e radici solide. Ecco, si torna sempre allo stesso punto: se l’Italia di Spalletti fosse stata una Nazionale almeno sufficiente, forse adesso non avremmo assistito a questo addio così atipico, nel bel mezzo di un break internazionale, a poche ore dal fischio finale di una partita e alla vigilia di un’altra partita che resta decisiva, che va comunque giocata e vinta. E allora questa scelta dolorosa era praticamente inevitabile, non c’era alternativa, l’Italia – intesa come Federazione – doveva cercare di salvare il salvabile e ha deciso di agire subito, senza perdere altro tempo.

Poi è chiaro, i problemi dell’Italia – stavolta intesa non solo come Federazione, ma come movimento calcistico in toto – non si risolveranno cambiando semplicemente una figurina all’interno del mazzo. Ma resta il fatto che Spalletti ha avuto due anni per lavorare sulla sua Nazionale e l’ha fatto male, quindi non è stato un professionista all’altezza del ruolo per cui era stato svelto. E così è stato esonerato, perché in fondo il suo mestiere era ed è tutto qui: le idee e i progetti calcistici possono anche essere promettenti, ma poi ci sono i risultati. Sono quelli a determinare il tutto, e vale sia per gli allenatori che per i commissari tecnici.

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