Se a tre anni passi da Brooklyn a Hamilton (città a 70 km da Toronto dove d’inverno, quando si sta caldi, fanno -10 gradi), vuol dire che il cambiamento non ti spaventa. Lo stesso Jonathan David lo ha detto in maniera piuttosto chiara: «Voglio un club che creda realmente in me. Un club ambizioso, nel quale possa alzare l’asticella del mio gioco». Dopo anni a sperarci, finalmente, da martedì sera, l’attaccante canadese ha trovato quel club. Ed è arrivato in Italia, con la quale era promesso sposo. E quando il treno passa, dopo averlo aspettato parecchio, non c’è spazio per lasciarsi prendere dalla paura o dall’emozione. Mancano ancora l’ufficialità e la firma, ma David sarà il nuovo attaccante della Juventus. Un accordo raggiunto il primo giorno di luglio dopo una lunga trattativa.
Nelle ultime sessioni di mercato, David era stato accostato al Milan, al Napoli e anche all’Inter – praticamente a tutte le big della Serie A. Non soltanto per una questione di gol, ne ha segnati 109 in cinque stagione, una media di poco più di 20 all’anno: agli scout e ai dirigenti italiani piace la sua velocità abbinata ai piedi buoni e, soprattutto, alla forza fisica. In un campionato come la Serie A, fatto di duelli a tutto campo, un centravanti che attacca bene la profondità, che manda in porta i compagni e che lotta su ogni singolo pallone, può essere un asset importantissimo.
David è un predestinato: a 19 anni era già il miglior marcatore di sempre del Canada, il Paese che ha scelto di rappresentare. Lo stato dalla foglia d’acero è la sua terra d’adozione, quella a cui deve la formazione del suo carattere. Una personalità forte e dalla grande autostima. Anche questo è normale, se sei un figlio di seconda generazione in una posto non particolarmente chic. Esattamente come il suo idolo Shai Gilgeous-Alexander, MVP della stagione NBA e fresco vincitore del titolo con gli Oklahoma City Thunder, David è perfettamente conscio delle sue qualità e degli aspetti in cui deve migliorare. Non ha bisogno di flexare con scene da ghetto statunitense, non è lo stile canadese: fin da piccolo, i suoi genitori gli hanno insegnato l’arte della misura, che non significa falsa modestia. Non c’è bisogno di urlare, ma basta dimostrare cosa si è capaci di fare. La genetica haitiana, poi, se la porta in campo, in quelle giocate da campetto che ricordano molto il calcio giocato per strada, senza porte e su enormi vie in terra battuta piene di buche. Non è un caso, infatti, che sia molto abile nel dribbling nello stretto e nell’evitare il contatto con gli avversari. Quando c’è da scontrarsi, però, regge bene l’impatto. Anche perché non è altissimo (178 cm) ma è decisamente compatto, una sorta di blocco elastico ed esplosivo.
Nelle ultime 13 stagioni di Ligue 1, il Paris Saint-Germain non è riuscito a vincere il titolo solo due volte. In una di queste è stato per merito del Lille, nel 2020/21, quando David ha segnato 13 gol, contribuendo a trascinare Les Dogues alla conquista del quarto titolo di prima divisione francese in 80 anni di storia. David lascia il club francese come secondo miglior marcatore di sempre. Ma è il titolo vinto, non i gol segnati con continuità, a renderlo più orgoglioso: «In un campionato come il Paris Saint-Germain, è davvero difficile riuscirci» ha spiegato a The Athletic. Va via col sorriso David, con il cuore in pace e l’animo sollevato anche nei confronti dei tifosi, dopo aver dato tutto per centrare l’ennesima qualificazione in Champions League degli ultimi anni, sfumata solo all’ultima giornata a vantaggio del Nizza.
Ed è proprio in Champions che David si è messo definitivamente sulla mappa del calcio europeo. Il grande cammino dei francesi nella League Phase, chiusa al settimo posto, porta la sua firma, con sette reti in dieci match, di cui quattro spalmati tra Real, Atlético Madrid e Juventus, a cui ha rifilato una doppietta e che forse l’ha scelto proprio per questo. David non conosce la timidezza, sembrano lontani i tempi di quel ragazzo indeciso e impacciato arrivato a Gand a 17 anni. Poi però ci mise solo 13 minuti, durante la gara d’esordio contro lo Zulte Waregem, per trovare il primo gol europeo. Alla fine sono stati 14 in 43 gare ufficiali: cifre importanti per un ragazzo che, fino a poche settimane prima, non aveva neanche la patente. «In Belgio ero ancora giovane e più riservato», ha raccontato. «A Lille, con il passare degli anni, ho imparato a sentirmi a mio agio e ad aprirmi».
Per David, naturalmente, questo è un momento di svolta. Trasferirsi alla Juve significa cambiare registro: non deve essere più un attaccante che si mostra al mondo, ma uno in grado di decidere le partite in uno dei campionati più competitivi del mondo. «Quando guardo la Serie A noto che, rispetto alla Premier League, è più tattica. È più simile a una partita a scacchi, in un certo senso». Questa è l”analisi perfetta di un calciatore intelligente, il «più intelligente con cui abbia lavorato» secondo Jesse March, il ct della Nazionale del Canada. Di cui David è stato numero 10 e capitano alla recente Gold Cup. Da persona arguta, sa benissimo che non avrà molto tempo per inserirsi, specie se la Juve dovesse acquistare anche Osimehn e rinnovare il prestito di Kolo Muani. Con tre prime punte, al netto di Vlahovic ormai fuori dal progetto, la concorrenza non manca. Ma anche se non lo mostra in modo arrogante, David ha una certa consapevolezza di sé: «Non so come sarà il futuro, ma penso che sia entusiasmante sapere che avrai una nuova sfida», ha sottolineato. Perfetto, è Jonathan David. In purezza.