Chi gioca o ha giocato a Footbal Manager, beh, ne è pienamente cosciente: la strategia migliore per portare qualsiasi squadra a essere competitiva per i trofei più importanti – non l’unica possibile: la migliore – è quella di scandagliare il calciomercato e riempire la propria rosa virtuale di giovani talenti. Di postadolescenti comprati a prezzi contenuti e messi in campo fin da subito, così da valorizzarli come giocatori e/o come asset econmico. Ed è ancora meglio, nel senso che è ancora più efficace, lavorare in questo modo dimenticandosi le barriere geografiche: fin dalla primissima stagione di una nuova carriera, infatti, tutte le nazioni del mondo di Football Manager fanno “nascere” nuovi giocatori che nella realtà non esistono – i cosiddetti regen – e così il gioco diventa potenzialmente infinito. Sia come bacino di nuovi calciatori che come riproducibilità temporale. Certo, magari è più facile che dei nuovi campioni nascano in Colombia e non a Malta, da questo punto di vista il gameplay è piuttosto realistico. Ma ciò non toglie che, a tempo perso, buttare un occhio alla Nazionale Under 20 del Guatemala può rivelarsi una buona idea.
In virtù di tutto questo, un club della vita reale che avvia una politica di reclutamento basata su giovani talenti, soprattutto se ancora poco conosciuti dal grande pubblico, viene definito un club «che fa il mercato come se fosse su Football Manager». È successo e succede spesso soprattutto all’estero, ma ora sta succedendo anche in Italia. E ai livelli più alti possibili. Perché il Como, la società con la proprietà più ricca della Serie A e del nostro calcio in generale, sta esasperando questo modello di business. Basta leggere i nomi degli ultimi acquisti annunciati ufficialmente dal club biancoazzurro: Jesús Rodríguez, Martin Baturina, Jayden Addai, Álex Valle, Fellipe Jack. E se allarghiamo l’obiettivo anche alle due sessioni precedenti, alla lista possiamo aggiungere Maxence Caqueret, Assane Diao, Nico Paz, Alieu Fadera, Maxi Perrone, Yannik Engelhartd, Anastasios Douvikas. Sono tutti ragazzi – sì, è il termine giusto – che al momento del loro arrivo non andavano oltre i 24 anni. Anzi, in realtà Addai, Diao, Rodríguez e Paz sono arrivati a Como ancora prima di compierne 20; Alex Valle ne ha solamente 21, Baturina va per i 22. Nicolas Kuhn, appena arrivato dal Celtic, rappresenta l’unico strappo alla regola, ma non più di tanto: il giorno di Capodanno 2026 festeggerà il suo 26esimo compleanno.
Insomma, si può dire: siamo in piena zona-Football Manager. E poco importa se, intorno a tutti questi acquisti, il Como abbia preso o stia trattando alcuni profili d’esperienza come Belotti, Butez, Reina, Moreno, Sergi Roberto, Varane, Morata: il programma degli Hartono – la famiglia indonesiana che possiede e gestisce il Como – e di Cesc Fàbregas è quello per cui la squadra deve essere fondata su giocatori ancora da formare, che devono ancora esplodere davvero, ma che hanno tutte le potenzialità per farlo. Perché, andando per un attimo al di là delle suggestioni legate a FM, i nomi di Baturina, Addai, Caqueret, Diao e Jesús Rodríguez, ma anche di Nico Paz e Perrone e Douvikas, sono sconosciuti soltanto ai tifosi che non vanno oltre il mainstream: gli osservatori di tutto il mondo sapevano e sanno benissimo chi sono, tantissimi club avrebbero voluto e potuto prenderli. E invece, eccola la grande notizia, li ha presi il Como. Li ha convinti il Como.
Ecco, in Italia questo tipo di approccio è una prima volta assoluta. Perché sì, è vero, tantissime altre società – l’Udinese, l’Empoli, il Sassuolo, il Palermo ai tempi di Zamparini, volendo anche il Napoli di De Laurentiis fino a qualche anno fa – hanno operato benissimo sul mercato dei giovani a livello internazionale, ne hanno trovati e ne hanno lanciati tantissimi. Il Como, però, sta mettendo insieme la quantità, la profittabilità ipotetica e anche la qualità. Nel senso che ha preso moltissimi giocatori di prospettiva e che la maggior parte di questi erano/sono considerati come delle stelle potenziali, come dei predestinati. Non erano/sono degli azzardi ragionati come potevano esserlo, al tempo del loro primo approdo in Italia, Alexis Sánchez, Edinson Cavani, Javier Pastore, Ezequiel Lavezzi: sono considerati più promettenti, quindi sono inevitabilmente più costosi (per il pacchetto Jesús Rodríguez-Baturina-Addai, il Como ha investito poco meno di 55 milioni di euro) e anche più “attesi”. Sono dei colpi di mercato in piena regola, in pieno stile-Premier League.
Da questo punto di vista, quindi, l’esistenza e la forte presenza – intesa anche come forza economica – del Como sul mercato dei talenti del futuro rappresenta una novità davvero promettente. Perché in qualche modo avvicina la Serie A a ciò che succede all’estero, dove ci sono più soldi da investire, dove forse ci sono anche più idee. Allo stesso modo va detto che si tratta di un modello difficilmente replicabile altrove: nessun club di Serie A ha le risorse della proprietà indonesiana del Como, inoltre nel nostro campionato ci sono pochissimi allenatori ambiziosi e anche irriverenti come Fàbregas. Per dirla brutalmente: nessuno ha la – grande, enorme – fortuna di poter riprendere le dinamiche di Football Manager e trasportarle nella propria realtà, di poter provare ad applicarle senza paura di cadere, di farsi male e fallire. Il Como da questo punto di vista è unico, e proprio per questo merita di essere raccontato, studiato, anche apprezzato. Perché una cosa è spendere tanti soldi e basta, una cosa è farlo seguendo un piano, un programma, un progetto.