Theo Hernández è un giocatore dell’Al-Hilal, manca solo l’ufficialità, mentre per Mateo Retegui all’Al-Qadisiyya pare sia solo una questione di tempo. A due anni dal primo mercato faraonico fatto dai club sauditi, è quasi inutile scrivere – e quindi ribadire per l’ennesima volta – che le offerte arrivate al Milan e all’Atalanta, così come ai due giocatori, erano praticamente irrinunciabili. E quindi non è più tempo di interrogarsi sul perché due giocatori di primissimo livello vadano a giocare in Arabia, non ha più senso indignarsi – o anche solo sorprendersi – che un 27enne (Theo) e un 26enne (Retegui) decidano di lasciare il calcio europeo: sarebbe molto più intelligente, anche perché più utile, provare a ribaltare la prospettiva, a comprendere quali sono le nuove dinamiche del reclutamento saudita. Perché sì, siamo di fronte a dinamiche nuove. Non tanto nella forma, quanto nella sostanza.
Per capire cosa intendiamo, basta riavvolgere il nastro e guardare allo scorso anno: nell’estate 2024, i club più ricchi della Saudi Pro League (quelli la cui proprietà appartiene al Fondo PIF, Al-Hilal, Al-Nassr, Al-Ittihad e Al-Ahli, ma anche Al-Qadisiyya e Al-Ettifaq) non hanno ripetuto l’abbuffata del 2023, ma si sono concentrati su colpi mirati, su giocatori giovani o comunque non oltre una certa soglia d’età. Ecco una lista inevitabilmente incompleta: Galeno (27 anni), Toney (28), Dams (20), Marcos Leonardo (21), Cancelo (30), Diaby (25), Bergwijn (26), Aouar (26), Durán (21), Simakan (24), Ángelo (19), Bento (25), Fernández (22), Puertas (26). Le uniche due eccezioni sono state fatte per il 35enne Aubameyang e per il 32enne Danilo Pereira, quindi si può parlare tranquillamente di un trend, di un modello certificato. E che in qualche modo ha “toccato” tutti i più grandi campionati al mondo: Toney, Cancelo e Diaby hanno accettato l’offerta saudita anche se militavano in club di Premier League, Simakan giocava nel Lipsia e quindi in Bundesliga, Marcos Leonardo e Galeno militavano rispettivamente nel Porto e nel Benfica.
Insomma, la strategia dei manager sauditi è cambiata: se nell’estate 2023 l’attenzione era rivolta essenzialmente al “nome” del giocatore, inteso come riconoscibilità sulla platea internazionale, dall’anno successivo si guarda anche alla sua anagrafica, al suo potenziale sul medio-lungo termine. Gli stessi dirigenti ai vertici della lega lo hanno detto – oltre che dimostrato – in modo chiaro, inequivocabile. In virtù di questo scenario, il colpo-Theo e il colpo-Retegui – in attesa di capire se ci saranno altri movimenti, e guardando alla Serie A si era parlato di un possibile interesse per Orsolini e Kean – devono essere accolti e metabolizzati in maniera diversa: è vero, il nostro campionato perde due talenti importanti, ma lo fa perché non può competere a livello economico con quello saudita.
Per dirla brutalmente: per quanto possa sembrare assurdo, oggi come oggi la Saudi Pro League deve essere considerata come una sorta di Premier League extraeuropea, come una destinazione che i giocatori valutano e accettano senza tener conto di parametri che ormai vengono considerati solo dai giornalisti e/o da calciatori con un approccio nostalgico – vale a dire la distanza dall’Europa, la scarsa visibilità per la convocazione nelle varie Nazionali, la competitività relativa del campionato saudita. In fondo, da un punto di vista puramente economico e di mercato, è anche giusto che sia così: i calciatori – e i loro agenti – ricevono proposte con cifre che in Europa non otterrebbero mai, o comunque mai così rapidamente. Sta a loro “pesare” i pro e i contro dell’eventuale trasferimento in Arabia Saudita, e il fatto che in molti stiano accettando certe offerte, anche a 21, 24 e 28 anni, significa qualcosa. Significa che, al di là dei dubbi etici e delle ombre che si addensano sulla Saudi Pro League, oggi esiste un altro fronte di mercato, che c’è più concorrenza, e allora bisogna lavorare per trovare delle contromisure. Solo così i club italiani, e di tutta Europa, potranno continuare a tenere i Retegui e i Theo Hernández.