Il cambiamento climatico e l’apertura a nuovi mercati stanno cambiando la geografia degli sport invernali

Lo sci e tutte le altre discipline che si praticano sulla neve sono sempre state un’esclusiva europea o al massimo nordamericana, con pochissime eccezioni. Ora, invece, le cose stanno cambiando.
di Massimiliano Gallo 19 Dicembre 2025 alle 03:01
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La mitica Streif è la Harvard della discesa libera. In Austria, ovviamente. Il muro che al solo guardarlo in tv, mette i brividi. Quello schuss finale dove si sfiorano i 150 chilometri all’ora e dove nel 1975 Franz Klammer vinse per un centesimo di secondo su Gustav Thoeni. Poi ci sono la 3-Tre di Madonna di Campiglio, dvenuta uno dei templi di Alberto Tomba. La Lauberhorn, storica pista di Wengen, in Svizzera. E ancora: Adelboden. O la Kandahar, fiore all’occhiello della Germania delle nevi, pista di Garmisch-Partenkirchen – nome che incute timore con la sola onomatopea.

Lo sci è sempre stato considerato patrimonio europeo, con qualche metabolizzata parentesi nordamericana e le incursioni estive in Argentina. Uno sport riservato quasi esclusivamente a gente di montagna. Introversa, taciturna. Che gli sci li usava da bambino per andare a scuola. Persino Tomba, l’Alberto, veniva considerato uno spurio. Uno di città. Un guascone. Che stravolse quell’ambiente poco incline all’esibizionismo, anche delle vittorie. Ma le cose cambiano. L’evoluzione, diciamo la trasformazione, sta contagiando ogni sport, con le classiche divisione tra tradizionalisti e innovatori. Nel tennis come nel calcio gli organizzatori studiano e riflettono sull’introduzione di nuove regole. Il pubblico oggi si annoia prima. È questione di tempo. Ma, soprattutto, di soldi. Di business. Anche il nuoto, sia pure con qualche difficoltà finanziaria e qualche battuta d’arresto, si è creato la propria Champions, la International Swimming League.

Il nuovo sta avanzando anche nello sci. È di qualche tempo fa la notizia che la Federazione internazionale sci ha rifiutato 400 milioni di euro dai fondi CVC (per l’acquisto dei diritti tv, d’immagine, di marketing) scatenando la reazione non proprio conciliante degli atleti: la tradizione va bene ma non a scapito dei guadagni né del futuro. Nello sci, per altro, la rivoluzione è accompagnata anche da altri fattori. Su tutti, quello naturale. Nevica di meno. Fa meno freddo. È uno sport che potremmo considerare a rischio. Il tema “cambiamento climatico”, assieme a quello della sostenibilità, viene puntualmente affrontato nelle interviste agli atleti. La centralità dell’Europa è ancora solida ma le crepe cominciano ad affiorare, sono evidenti. E gli addetti ai lavori, gli organizzatori, si stanno mentalmente allenando alla nuova realtà. Non sta scritto da nessuna parte che lo sci rimarrà ancorato a quelli che sono stati i suoi templi sacri. Anzi.

In Francia, qualche tempo fa, è stato pubblicato uno studio del Grec-Sud, ossia esperti del clima della Bassa Provenza. I risultati sono stati sconfortanti. Ad alta quota per sciare ci sarà sempre bisogno di più neve artificiale. Ma la neve artificiale costa. E di conseguenze i prezzi saliranno sempre di più, fino ad allontanare le famiglie. Nelle località più a bassa quota, secondo lo studio, tra il 2030 e il 2050 tra le Alpi e i Pirenei spariranno 175 stazioni sciistiche. La neve artificiale – oggi utilizzata dal 35% delle piste francesi – è considerata una soluzione non sostenibile. Per due metri cubi di neve, è necessario un metro cubo di acqua e per un ettaro di pista sono necessari quattromila metri cubi di acqua. Occorrerebbero 25 milioni di metri cubi a stagione per le località francesi. Mentre il consumo medio annuo di acqua, per una famiglia di quattro persone, è di 150 metri cubi.

Per sopravvivere, quindi, il circo bianco deve rinnovarsi, cambiare le proprie abitudini, abbandonare le proprie tradizioni. E mentre la Frankfurter Allgemeine, storico quotidiano tedesco, pubblicò un reportage sul declino della celebre Sankt Moritz, potrebbe arrivare presto il momento in cui la settimana bianca più prestigiosa sarà organizzata a Trojena, la futuristica stazione sciistica in Arabia Saudita: la zona montuosa della nuova megalopoli Neom. Avrà 36 chilometri di piste, un enorme lago artificiale, una teleferica e ospiterà – decisione che ha suscitato grande scandalo – i Giochi asiatici invernali del 2029. L’unico posto – scrivono nei depliant pubblicitari – in cui nello stesso tempo sarà possibile sciare e fare immersione nel lago artificiale. L’ennesimo passo in avanti del progetto politico dell’Arabia Saudita di diventare la capitale mondiale dello sport e allo stesso tempo ripulire la propria immagine. Lo sportswashing.

Sciare in Arabia Saudita. La notizia dell’assegnazione dei Giochi Asiatici invernali del 2029, potenziale preludio di future Olimpiadi saudite della neve e del ghiaccio, sollevò indignazione tra i tradizionalisti. Markus Wasmeier, due ori olimpici a Lillehammer, nel 94, disse: «È spaventoso. A quanto pare non hanno imparato nulla. È semplicemente assurdo come si riesca ancora a considerare sostenibile un tema del genere». Il commento più originale fu quello di Fayik Abdi, l’unico titolare della Nazionale saudita che a Pechino 2022 per la prima volta ha partecipato alle Olimpiadi Invernali (nel gigante è arrivato 44esimo su 91 concorrenti): «Non avrei mai immaginato di poter sciare nel mio paese d’origine». Non avverrà domani, ma presto l’indignazione più o meno diffusa potrebbe anche trasformarsi in abitudine. A livello politico-organizzativo il dibattito è aperto da tempo. A marzo 2024, l’Arabia Saudita ha ospitato la prima gara di freestyle: la “Snow Blast KSA Cup” di Riad. Tantissime le star che si sono lanciate da un salto lungo 150 metri, alto 30 e largo 20. Cinquecento le tonnellate di neve trasportate e ovviamente montepremi ricchissimo. «È decisamente strano», ha detto Xavi Jesi, uno dei partecipanti. «Dopotutto siamo a soli 45 minuti dal deserto».

Nel salto con gli, sci Sandro Pertile, il vulcanico race director della FIS, ha più volte disegnato con naturalezza un futuro in cui il circuito possa montarsi e smontarsi in giro per il mondo. Qualche tempo fa ha parlato di «grandi opportunità. Possiamo saltare sulla neve. Sui tappetini. Possiamo passare all’ibrido. Potremmo andare a gareggiare in Brasile, in Cina. Dove c’è tanta gente. Non vendiamo sci o tute. Vendiamo emozioni. Siamo e rimarremo uno sport invernale. Ma teniamo gli occhi aperti. Stiamo pensando a un sistema mobile. Potremmo andare a Rio, al Maracanã e allestire uno spettacolo grandioso. E c’è la possibilità di costruire strutture interne, per esempio a Dubai, se riuscissimo a trovare un investitore. Il nostro obiettivo è il sistema mobile con una collina di 150 metri. Con questo potremmo andare ovunque nel mondo. Siamo ancora al livello di una sessione di brainstorming. Ma dovremmo essere aperti a cose nuove».

Anche l’idea che si debba sciare obbligatoriamente sulla neve potrebbe diventare démodé, nel settore è da tempo presa in considerazione. In Germania ha destato polemica la decisione degli impianti di risalita di Hocheck, ad Oberaudorf, di aprirsi a quella che viene definita la neve tessile: a prima vista un misto di erba artificiale e zerbini. C’erano venti gradi, troppo caldo per la neve, anche quella artificiale. E allora via a sciare sui tappetini di plastica, come avviene in Russia e in Polonia. Scelta avversata dagli ambientalisti, che hanno denunciato la produzione ad alta intensità energetica, la sovraproduzione di microplastica e il danneggiamento dei prati. Sta di fatto che le imprese specializzate stanno aumentando produzione e fatturato. La richiesta aumenta ovunque. Come scrissero in Germania, «esiste un’alternativa per il periodo senza neve ma non è ancora socialmente accettabile». Oberaudorf ha evitato che la scuola sci chiudesse. Non solo, ma a Copenaghen i tappetini li usano abitualmente per la mini pista di sci che hanno realizzato sull’inceneritore: la celebre Copenhill, ormai divenuta meta anche di turisti. Lì la pista di plastica è italiana, di un’azienda di Bergamo. Forse non siamo troppo lontani dal giorno in cui la discesa libera più importante della stagione si disputerà su un comprensorio ecologico, tra tappetini con plastica biodegradabile e monumenti alla trasformazione dei rifiuti. In Arabia Saudita, in Cina o magari in Brasile. I puristi storceranno il naso ma dovranno arrendersi all’insistenza dei loro figli: «Andiamo anche noi?».

Da Undici n° 60
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