Sánchez il multiforme

Con lui, Wenger ha ripetuto l'esperimento Henry: cambiando ruolo, ma senza snaturare le sue caratteristiche, il cileno è il capocannoniere della Premier.

Il ragazzo alza di scatto le sopracciglia e accenna un sorriso, come se la cosa lo divertisse. Un giornalista della Bbc gli ha appena chiesto che difficoltà ha dovuto superare Alexis Sánchez durante l’infanzia a Tocopilla, piccola città da 25mila anime nel nord del Cile, e quel ragazzo – che si chiama Glen Vega ed è un amico di infanzia del Niño Maravilla – risponde che lui, Sánchez, «non è mai stato come tutti gli altri». E mentre lo dice con naturalezza, il suo viso si piega in una piccola smorfia, in quell’accenno di sorriso, che nasconde il ricordo caloroso del primo Sánchez. Le premesse alla sua storia sono note: la povertà di Tocopilla, l’abbandono prematuro del padre, le difficoltà economiche della madre. Ma lo sviluppo del racconto, di Sánchez che diventa uno dei migliori calciatori al mondo e del Sánchez che raccontiamo oggi, si basa su una premessa raccontata dall’amico Vega: «Viveva, Sánchez, con la convinzione assoluta del suo talento, sapeva in qualche modo che avrebbe fatto il calciatore. Mentre tutti gli altri bambini giocavano per passione, lui lo faceva con un orizzonte da professionista».

Per tutti, Alexis era semplicemente «piccolo, troppo piccolo» per intraprendere una carriera di alto livello. Ed è un vuoto, questo, fisico ma anche psicologico, di cui Sánchez è consapevole. Ma non lo interpreterà come limite, ma come motivo in più per sacrificarsi, lavorare, allenarsi. Se ne servirà nella sua carriera, in un perenne bisogno di miglioramento, una specie di volontà di potenza in atto, un perpetuo rinnovamento delle proprie qualità, una pulsione infinita verso l’apprendimento. Confermata, tra gli altri, da Totò Di Natale, suo compagno durante l’esperienza all’Udinese, che disse di essere rimasto folgorato «dall’atteggiamento positivo» di Sánchez e dalla sua «attenzione e voglia di migliorarsi». È una caratteristica necessaria per capire il Sánchez di oggi, un giocatore che a 28 anni e alla terza stagione all’Arsenal sta interpretando la migliore stagione della carriera, non solo nei numeri, ma anche per la pienezza di rendimento e per il veloce apprendimento di un nuovo ruolo, quello di centravanti.

Alexis nasce e cresce nel ruolo di esterno offensivo, ma il corpo possente e rigoroso costruito nel tempo – quasi fuori proporzioni essendo scolpito su 169 centimetri d’altezza – gli permette di reggere l’urto anche giocando al centro dell’attacco. Ma l’efficacia non è scontata. Quando un giocatore con caratteristiche così inquadrate viene spostato nel ruolo di centravanti, solitamente ingaggia una battaglia tra l’istinto e la ragione, tra la naturale interpretazione del gioco partendo dall’esterno e la necessità nuova di farlo da una posizione centrale, e la parte dominante è quasi sempre la prima. Non è banale dunque apprendere così velocemente un nuovo ruolo e diventare un valore aggiunto per la squadra. Ma qui torna in gioco la volontà di potenza del Niño Maravilla, che aggiunge a se stesso senza sostituire alcunché. Grazie a questa caratteristica davanti ai nostri occhi va formandosi un Sánchez centravanti a doppio effetto, che tocca più volte il pallone di una punta tipica e aggiunge partecipazione alla manovra dell’Arsenal, oppure che è in grado di evadere dallo spazio di competenza per autodeterminarsi partendo dalla fascia sinistra, quella preferita, dove sfiora di nuovo le sue origini e scardina le difese avversarie, tra l’altro private dei riferimenti nei suoi confronti.

Sánchez non dimentica come si fa l’esterno offensivo: riceve, punta e converge

Wenger ha passato la sua estate cercando un nuovo centravanti, avvolto dalla consapevolezza, giusta o sbagliata, che Giroud sia una delle ragioni per cui la squadra non compie il salto di qualità. L’eredità di Henry e Van Persie non è stata colta: da ormai cinque anni l’Arsenal è orfano di un peso offensivo di tale portata. Ma Wenger stavolta non ha pianto sul ricordo di Thierry, anzi, se ne è servito. Ha ripensato al primo Henry, quello ancora indefinito che arrivò a Londra dalla Juventus nell’estate 1999 dopo una stagione giocata come esterno offensivo, e si è ricordato che fu proprio lui a trasformare quell’ala dal fisico lungo e dal passo elegante in uno dei migliori centravanti della storia del calcio. Così Arsène ha fatto di necessità virtù e ha scelto Alexis Sánchez per il remake dell’esperimento-Henry. Bingo. Alla deliziosa idea del tecnico francese è corrisposta la positiva risposta del cileno, che si è rivelato sinceramente disposto ad apprendere altre necessarie al nuovo ruolo. Per Sánchez è stata un’investitura, e se ci sono giocatori che si esaltano nelle responsabilità, il cileno appartiene a questa categoria.

La partita di Sanchez da centravanti contro il West Ham, giocata il 3 dicembre scorso. Segnò una tripletta
La partita di Sánchez da centravanti contro il West Ham, giocata il 3 dicembre scorso. Segnò una tripletta

La nuova centralità della posizione in campo ha restituito il giocatore nella sua versione migliore. L’ultimo Sánchez è al tempo stesso spada e fioretto, è una delle componenti del gioco dell’Arsenal ma anche la sua più grande variabile, la via alternativa, la differenza. È colui che permette ai Gunners di passare dal pilota automatico alla guida manuale. Wenger cerca questo tipo di centravanti, uno “diverso”, che come Sánchez sublima la sforzo collettivo con giocate che alla vista sembrano un po’ anarchiche, spontanee, eppure in perfetta sintonia con i movimenti dei compagni. Il dato che stupisce del nuovo Sánchez non è solo quello relativo ai gol segnati – capocannoniere della Premier con 17 reti in 25 partite, mai così bene nella sua esperienza inglese – ma anche quello relativo agli assist, ben nove in campionato (più 5 in Champions League). Ventiquattro volte ha contribuito a un gol dell’Arsenal in Premier: considerando i cinque principali campionati, solo Suárez con 25 lo supera.

Il gol da centravanti vero sono ormai entrati nel repertorio. Così contro il Sunderland: di soppiatto e poi di slancio, come un rapace d’area di rigore

Esiste una totalità in Sánchez che trascende la squadra e il ruolo. Altrimenti non si spiegherebbe perché, dei principali cannonieri nei maggiori campionati europei, il cileno è l’unico insieme a Messi a inglobare una comprensione del gioco “da numero 10”. Lo dimostra la media di 2,5 passaggi chiave a partita. Messi si ferma a 2,3, Ibra a 1,9. Sánchez, dunque, è anche una coerente parafrasi di quanto afferma Daniele Adani, secondo il quale «il regista non è un ruolo ma un compito». Anche partendo dalla posizione di centravanti svaria su tutto il fronte, in una libertà tattica concessa da Wenger e utile a esaltare il suo gioco. Di nuovo, Alexis assorbe le nuove situazioni per imparare: giocando centravanti, ha paradossalmente affinato anche le doti da “10” puro, assumendosi anche la responsabilità dell’ultima giocata per il compagno. Non è utopico pensare che l’alto rendimento di Walcott e Özil (in Premier, 8 reti e 2 assist per l’inglese, 5 gol e 4 assist per il tedesco) in questa stagione dipenda dalla capacità di Sánchez di lasciar loro lo spazio necessario per essere protagonisti.

Controllo e filtrante in corsa, rapido e fluido: esecuzione da ala, pensiero da trequartista. E poi l’aggressione alla seconda palla, rapida, feroce, gelosa

Il connubio naturale tra Sánchez e Özil, in particolare, è il manifestarsi del ritorno ciclico della storia, se è vero che un’intesa magnetica di questo tipo non si vedeva all’Arsenal dai tempi di Bergkamp e Henry. E il caso vuole che il tedesco e il cileno abbiano un destino legato sia in campo che fuori. Sul terreno di gioco l’alchimia tra Sanchez e Özil è pura perché giustificata da un pensiero unico: entrambi sembrano individuare i giocatori che vivono il calcio sul medesimo piano sequenza, creando così un universo personale di filtranti, di uno-due, di sguardi d’intesa e sincronismi. Esiste poi una condivisione del tempo perché entrambi hanno 28 anni, sono all’apice della carriera e stanno vivendo il momento chiave per indirizzarne la seconda parte, dunque condividono i dubbi sul rinnovo di contratto che scade a entrambi nell’estate 2018. Ma se il tedesco ha scoperto le carte, legando la sua permanenza a quella di Wenger (il cui contratto è in scadenza la prossima estate e il futuro ancora incerto), Sánchez rimane in attesa, in un atto di distacco ruvido ma sincero. Preparandosi, forse, a essere l’uomo copertina del mercato che verrà.