Come abbiamo visto nell’ultimo episodio di questa rubrica, le due grandi scuole di pensiero tattico contemporaneo tendono a preferire giocatori in grado di dedicarsi al collettivo sia in fase offensiva che in fase difensiva piuttosto di affidarsi all’estro del singolo, in grado spostare gli equilibri di un match, senza la collaborazione dei compagni. In altri termini, ci troviamo di fronte al declino inevitabile del ruolo classico del trequartista.
L’inizio del nuovo millennio ha visto il ruolo del trequartista ergersi a faro degli studi tattici dei vari allenatori. Non è un caso che l’argomento scelto da Roberto Mancini per la sua tesi di Coverciano verta su tutte le possibili declinazioni del ruolo del trequartista nei vari moduli. Il paper arriva a definire le caratteristiche principiali che chi andava a ricoprire quel ruolo, doveva saper egregiamente padroneggiare. L’allenatore jesino individua in Zinedine Zidane, Roberto Baggio e Lamberto Zauli la migliore personificazione del trequartista negli anni 2000.
Capacità eccelse di smarcamento, qualità nel mandare in gol con disinvoltura gli attaccanti in vari modi, predisposizione al dribbling e alla giocata individuale, grande imprevedibilità. In una parola Zidane.
Capacità di prendere in mano le redini della squadra quando le cose in campo e fuori non vanno bene. Capacità di sbloccare o chiudere la partita in un momento delicato del match. Vedi alla voce Zauli.
Oggi, tutte queste caratteristiche sono chiaramente obsolete. Il trequartista non deve soltanto esprimere il proprio estro a fasi alterne per risolvere il match, ma anzi – e soprattutto – deve saper mantenere un rendimento costante all’interno della manovra offensiva della propria squadra per tutti i novanta minuti. Inoltre deve anche essere in grado di partecipare alla fase difensiva o pressando le linee di impostazione dal basso degli avversari, oppure abbassandosi sulla linea dei mediani per compattare il centro del campo e ottimizzare possibili transizioni a favore. Chi pertanto ha voluto mantenere inalterato il ruolo del trequartista senza modificare il proprio modulo di gioco si è dovuto adattare a questi dettami e puntare su giocatori à la Sneijder.
Questo declino del ruolo del trequartista è in parte dovuto al fatto che nella cosiddetta “zona 14” ormai non è più richiesta la presenza di un giocatore. In un contesto tattico come quello moderno, in cui si dà ampia importanza all’accentramento delle fasi di gioco, la presenza statica di un trequartista classico tra le linee difensive avversarie risulta eccessiva, perché non fa altro che attirare un ulteriore marcatore in una zona cruciale già sovraffollata. Un esempio è data dall’arretramento al ruolo di mediano basso con cui Sarri ha reinventato Hamsik.
Pertanto negli ultimi anni si è vista un’evoluzione radicale di questo ruolo che, piuttosto di andare a definire diversi sistemi di manovra per aiutare il suo inserimento dinamico nel gioco di squadra, è andata a creare interpreti atipici di trequartista. Un esempio ci può essere fornito dalle movenze di Brozovic nell’Inter di Mancini. Proprio l’allenatore jesino, che come abbiamo già visto ha fatto della conoscenza del ruolo del trequartista il primo mattone della sua carriera, è stato all’avanguardia nello sperimentare nuove soluzioni per questo ruolo. Il Brozovic “manciniano” è solito agire nella linea mediana del campo adempiendo sia a compiti difensivi che di impostazione dal basso; inoltre, spesso durante la partita viene esulato dal mantenere strettamente la posizione assegnatagli così da farsi trovare più avanti per sfruttare le sue doti da fantasista.
Un altro sviluppo tattico che ha cercato di sostituire l’imprevedibilità che un buon trequartista sapeva dare, consiste nello spostare nelle fasce la zona di azione del giocatore addetto al portare fantasia alla squadra. In questo modo, si evita il traffico centrale e allo stesso momento si evita di rinunciare alla cosiddetta “variabile impazzita” che può decidere le sorti di un incontro. Ciò richiede la presenza (dopo un periodo iniziale di “adattamento”) di un giocatore nuovo rispetto a quelli esistenti prima: un giocatore più completo, che sappia fare allo stesso tempo e con la stessa qualità sia il trequartista sia l’esterno. In altri termini può sia attaccare la fascia sia accentrarsi verso la porta essendo pericoloso qualsiasi sia la scelta compiuta, e questo rende molta più confusione al difensore addetto a marcarlo rispetto a ciò che faceva il trequartista classico. David Silva, come anche Adem Ljajic , Marco Reus e Philippe Coutinho, sono i prototipi ideali di questo fantasista atipico.
Capito?
Come abbiamo notato il concetto di trequartista negli ultimi anni sta venendo completamente rivisto: se fino al decennio scorso questo ruolo era strettamente legato alla copertura di una determinata posizione in campo, ora il posizionamento non è più il requisito fondamentale che contraddistingue il fantasista. In quest’ottica i giocatori che più hanno rivoluzionato il sistema di gioco nella trequarti sono fondamentalmente tre: Mesut Özil, Thomas Müller e Christian Eriksen. Come vi abbiamo già mostrato in questo articolo parlando di Özil , questi giocatori hanno trovato un modo tutto loro di rendersi pericolosi in avanti.
Insomma, il trequartista è ancora tra noi. Solo non lo troviamo più nel punto in cui eravamo soliti cercare e forse, queste evoluzioni, stanno portando il ruolo non a un progressivo declino ma a una rinnovata necessità.